Stamane, proprio appena prima di entrare in stanza, accendere il pc, leggermi Martina e scoprirmi come al solito in sintonia con lei, mi sono attardata a guardarmi nello specchio dell'ascensore dell'ufficio.
Sono diventata grande da un giorno all'altro. E mi accorgo solo ora di portarne le tracce sul viso. Finché il sortilegio di cui ero vittima mi ha fatto restare bambina sono rimasta inaccessibile al flusso usurante dell'esistenza. La mia anima addormentata, protetta da un sonno letale come quello di Biancaneve nella sua bara di cristallo, emanava anche attraverso il mio corpo, d'aspetto, nell'avvicendarsi degli accidenti e delle stagioni, insolitamente resistente al naturale decadimento fisico ("non cambi mai, è straordinario!" mi dicevano tutti quelli che mi conoscevano), gli effetti di quella sterile incorruttibilità. Poi, a salvarmi da quella mortifera perfezione, invece del principe azzurro col suo bacio d'amore, è arrivata per caso una bestia affamata che ha per istinto animalesco spezzato con le zampe la lastra, cercando qualcosa da mangiare, incurante delle schegge che schizzando mi si sarebbero conficcate nella pelle, e che dopo avermi annusata e avidamente assaggiata se n'è andata così come era venuta, lasciandomi sola a sanguinare a lungo.
Cicatrici: sono questi i segni emersi oggi sul mio volto. Cicatrici recenti, vestigia di questa minutaglia di recenti piccole ferite, e di altre vecchie, più estese e più profonde, riapertesi sotto la superficie di quelle.
Ad ogni modo, comunque, mi sono svegliata. E' questo che conta. Come l'inconsapevole Giacinto sono stata colpita dal disco del feroce dio, che però non ha ucciso me, ma solo la mia innaturale eterna giovinezza. L'intaso di dolore che mi bloccava è stato lasciato libero di rifluire nelle mie vene, rendendomi umana, e donna. E ora, a distanza di un anno, scopro su di me quest'ornamento di singolare bellezza, questa sorta di nuova delicatezza che mi si è dipinta sul viso e che esprime potenza e fascino meglio dei variopinti tatuaggi di guerra di un capo Cherokee. Mi scruto: sono io, eppure non sono quella di prima. Ho perso quella serena lucentezza plastificata di bambola in vetrina. La spensierata montuosità dei miei zigomi si è smussata, l'asettica e anonima freschezza un poco stolida delle mie gote sode si è stemperata in una tenue friabilità di petali di rosa, una perlacea fragilità impreziosita dal ricamo del tempo.
Lasciami le rughe, diceva Anna Magnani al suo truccatore. Ci ho messo una vita a farmele venire.
Io ci ho messo una vita a cominciare a vivere. Però alla fine ce l'ho fatta a farlo succedere anche a me.
sono un vuoto a perdere
Sono diventata grande senza neanche accorgermene
e ora sono qui che guardo
che mi guardo crescere
la mia cellulite, le mie nuove
consapevolezze
consapevolezze
Quanto tempo che è passato
senza che me ne accorgessi
quanti giorni sono stati
sono stati quasi eterni
quanta vita che ho vissuto inconsapevolmente
quanta vita che ho buttato
che ho buttato via per niente
che ho buttato via per niente
Sai
ti dirò come mai
giro ancora per strada
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
a cercare qualcosa
qualche cosa di più
che alla fine poi ti tocca di pagare
Sono un'altra da me stessa
sono un vuoto a perdere
sono diventata questa
senza neanche accorgermene
ora sono qui che guardo
che mi guardo crescere
la mia cellulite, le mie nuove
consapevolezze
consapevolezze
Sai
ti dirò come mai
giro ancora per strada
vado a fare la spesa
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c'è più
perché il tempo ha cambiato le persone
ma non mi fermo più
mentre vado a cercare quello che non c'è più
perché il tempo ha cambiato le persone
Sono un'altra da me stessa
sono un vuoto a perdere
sono diventata questa
senza neanche accorgermene