Per uno di quei provvidenziali imprevisti che con una certa costante cadenza increspano lo stagno quieto delle mie giornate - ai quali mi assoggetto arbitrariamente a seconda dell'umore del momento, sconfortata e riottosa come dovessi affrontare un macigno piovuto dall'alto dinanzi allo stesso frangente che potrebbe suscitarmi l'entusiasmo di una bambina grata di una sorpresa inaspettata, e spesso in preda ad un'ambiguità di sentimento che ricomprende ambedue le reazioni - mi ritrovo, alle otto di sera dell'ultimo giorno di settembre, anziché nella vagheggiata pace della mia casa, errante in smagliante solitudine per lungotevere di Castello tra ponte Sant'Angelo e ponte Umberto.
Le fatali circostanze che mi costringono a concedermi all'opportunità di occupare quel repentino spazio d'ozio non cesseranno che di lì a un paio d'ore; e così per ora io non posso far altro che passeggiare svagata e tuttavia determinata, avvolta dalla soffice dolcezza del crepuscolo, sotto un cielo di un colore incredibile tra il viola e l'azzurro cupo, che sarebbe un mero grigio virato al nero senza l'ausilio dell'oro fluorescente della tersissima falce di luna spiccata al centro esatto della volta, senza i suoi bagliori amplificati nella replica di se stessa riflessa e rifranta nelle acque del fiume scintillante di luci, senza il torreggiare cupo e maestoso del grande mausoleo di pietra contrastante al nitore marmoreo dei palazzi stagliati nel panorama oltre la riva, e dei contorni verde cupo, perfettamente distinti ed emergenti dall'ombra, delle frondose chiome degli alberi a spezzare le squadrature monumentali degli antichi edifici, dei solenni ponti.
Una tristezza squisita si bilancia perfettamente nel mio spirito alla letizia in una tranquillità sublime, pacata e intensa. Finissime, l'una e l'altra: tenui ma esatte, disgiunte, armoniose, come gli accordi di una polifonia.
Con l'animo ostaggio e custode di questa duplicità che si replica all'infinito, passo dopo passo di colore alterno, ora bianco ora nero, ora somma dei colori ora totale assenza di colore, come avanzassi su una scacchiera, cedo all'intenzione e mi abbandono al caso di attraversare il fiume, camminare fino al ponte di Ripetta, arrivare ai piedi dell'Ara Pacis, restare brevemente ferma e ritta al centro del suo biancore, sentir fiorire nella mente un'idea di cimento che sarebbe stata una tentazione fino a ieri, e forse lo è ancora oggi, non c'è che provare, e anche provare è una tentazione, la tentazione di dire "proviamo", e infine accogliere un ricordo sinora accarezzato e respinto, non tollerato e rimpianto, e infine arrendermi, sedendomi quasi al sommo della sua scala esterna, poggiando contro il muro la spalla sinistra, replicando con buona approssimazione la postura di quel pomeriggio autunnale di tante stagioni fa, sovrapponendo la me stessa di oggi a quella di allora.
Non c'è che provare, e io ci sto provando. E improvvisamente provare non è più provare.
E' essere.
La me stessa di oggi si ricongiunge a quella di allora. Scoprendo che combaciano, quasi perfettamente. Lei, che oggi è così cambiata, è identica a quella. Inespressa, aerea, dove oggi invece è densa, compatta: però lei, sempre lei. Si riconosce. Si riunisce a se stessa.
Allora accanto a lei, accovacciata, affannata a tentare di contenerla e di calmarla, c'era una persona che oggi non c'è.
Non importa. Perché quell'assenza è talmente vivida, talmente bella oggi, depurata da ogni amarezza, da esser presenza. Come se l'alone di quella persona fosse rimasto qui ad aspettarla, a testimoniare l'evidenza, l'autenticità di un evento spartiacque della sua esistenza. Perché a compensare la mancanza di quella persona, al posto di quella persona oggi c'è lei tutta intera, nei suoi contorni. I contorni di lei.
I cui riflessi lei aveva creduto di intravedere specchiandosi in un altro essere umano.
Lei, che ora accarezza la memoria fragile, lacunosa, di quel pomeriggio, con tenerezza buona, sana.
Ha nostalgia di quel pomeriggio? Sì, tanta. No, per niente.
Quel pomeriggio lei soffrì. Soffrì molto, in quei giorni e dopo quei giorni, per lungo tempo. Oggi non soffre più. Il marasma di quel periodo si è coagulato nelle sue vene, si è riassorbito nella sua pelle, è tornato dentro di lei, la costituisce, la identifica. E' un segno irreversibile nella sua carne, un terzo occhio che mai più si chiuderà al centro della sua fronte, che le dona una visione di se stessa e degli altri, una compassione per se stessa e per gli altri, che è la sua più grande risorsa di energia vitale, la sua sorgente inesauribile.
Questo lei comprende, oggi, attraversando il suo tabù, toccandolo con mano, scoprendolo caldo, buono, rigoglioso di doni.
E' mai ripassata di qui, quella persona? Quella reale, quella di carne e sangue? Si è mai riseduta, anche lei, su questi scalini? Ha mai ripensato a quel tragicomico, buffo, imbarazzante, struggente pomeriggio?
No, lei crede di no. Per le circostanze di allora, per quelle di oggi, è assai verosimile di no.
Certe cose hanno smosso solo lei. Hanno valore solo per lei.
Anche se le riesce difficile crederlo, che abbiano toccato così in profondità lei e non l'altro, sa di non sbagliare. E di non doversene avere a male. E di non aversene, in effetti, a male.
Perché è questa, solo questa, la misura che conta. Se hanno valore per lei, hanno valore per l'altro. Hanno valore per tutti.
Perché lei ha trovato i confini del suo spazio.
Perché lei ci è arrivata, ad avere il cielo.
Roma, la nostra bellissima città, quasi ci costringe ad essere così come sei te e come ti ho più volte ripetuto: poetica e romantica.
RispondiEliminaL'atmosfera, il cielo, le monumetali bellezze di Roma ci mettono il "carico da 11" nel farti essere quello che sei.
Rimani sempre così.
Aldo, hai ragione da vendere sull'influenza di Roma sull'atmosfera interiore. Il tuo commento è perfetto.
EliminaAssai più perfetto del mio post: che, non so bene per quale arcano motivo (uno scherzo del mio subconscio? Il fatto che ho chiuso all'una e mezza di notte rimbambita di sonno?) è stato pubblicato non finito, avendo io per sbaglio spinto "pubblica" anziché "salva"... :D
Direi invece che è completo il tuo post. Prima ci prendi per mano per inoltrarci nella bellezza unica e sfavillante della città eterna, tanto bene descritta, da toccarla con mano anche se siamo altrove, poi ci lasci entrare nella tua anima o meglio nei tuoi ricordi resi non più tanto dolorosi, ma dolci e malinconici dalla lontananza. C'è questo magnifico riscatto dal dolore, che la vita ci ha donato, che è il ricordo. Lei ci fa soffrire spaventosamente, al momento, ma poi stende il suo velo pietoso su di noi, regalandoci la dimenticanza del dolore e trasformandola in ricordo struggente. E i contorni della realtà diventano evanescenti, lasciano solo il calore di un sentimento che non fa più male.
RispondiEliminaTu l'hai letto dopo le correzioni e le aggiunte... Ma è perfetto quello che scrivi. E accresce infinitamente di ricchezza e di senso quello che ho scritto io :)
EliminaGrazie :)
grrrrrrrrrrrrrrr oggi non mi fa commentare!
RispondiEliminacercavo di scriverti che i tuoi post mi lasciano senza fiato perchè sempre così intensi
Ma grazie, Patty :)))))))
EliminaCerte volte sono pure eccessivi, lo so... Come sono eccessiva io. Oggi ho fatto un elettrocardiogramma per controllare un disturbo, la cardiologa ridendo mi ha detto che ho il cuore sano, ma con una frequenza cardiaca di novanta battiti al minuto. :D
'Intenso' è l'aggettivo giusto! Intenso... e drammatico, e fugace, e ... profondamente riflessivo. Coglie in alcuni tratti la fredda e semplice 'logica' di molti eventi.
RispondiEliminaE' solo quello che sento nella carne, sulla pelle e dentro il petto. Nient'altro :)
EliminaGrazie :)
Questo tuo cielo è meraviglioso, sia perché è il cielo di Roma, sia perché tu sai raccontarlo magistralmente e anche da innamorata come lo sono anch'io pur avendo vissuto così poco la capitale.
RispondiEliminaTu sei una donna di grandissima sensibilità, Nou. Sono una privilegiata, ad avere scambi con te e con le altre preziose persone che ho l'onore di ospitare qua sopra. Grazie :)
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