Allora il tempo cessò di esistere. Era come se fossero state cancellate le cifre di un quadrante e il quadrante stesso impallidisse come la luna nel cielo in pieno giorno. Senza pendola (quella della casetta non funzionava più), senza orologio (non ne aveva mai avuti), senza calendario appeso al muro, il tempo passava come un lampo o durava eterno. Il sole si alzava, poi tramontava in un punto appena diverso dal giorno prima, un po' più presto ogni sera, un po' più tardi ogni mattina. L'alba e il crepuscolo erano gli unici avvenimenti ad avere importanza. Fra loro, scorreva qualcosa che non era il tempo, ma la vita. Non avevano più importanza le fasi della luna, salvo che, quando era piena, di notte la sabbia splendeva bianca. Non ricordava più bene i nomi e le figure delle costellazioni che conosceva a memoria al tempo in cui il pilota della Téthys puntava su Aldebaran o sulle Pleiadi, ma importava poco: si trattava dunque di fuochi incomprensibili che bruciavano nel cielo. Delle nuvole o dei banchi di nebbia ne nascondevano quasi sempre una parte; oppure riapparivano come amiche perdute. Prima che l'aggravarsi della malattia gli togliesse a poco a poco la forza di appassionarsi a qualcosa, continuava ad amare appassionatamente la notte. Qui sembrava illimitata, onnipontente: la notte sul mare prolungava da ogni parte la notte sull'isola. Certe volte, uscito di casa, nell'oscurità in cui indistintamente si scorgeva solo la massa morbida delle due e, di scorcio, il bianco incresparsi del mare, si toglieva gli abiti e si lasciava penetrare da quel buio e dal vento quasi tiepido. Non era allora che una cosa tra le cose. Non avrebbe saputo spiegare perché il contatto della sua pelle con l'oscurità lo commuovesse, come in altri tempi l'amore. Altre volte il vuoto notturno era terribile.
(...)
Viveva senza libri, non avendo trovato nella casetta che una Bibbia che bruciò senza risparmio un giorno che la stufa prendeva male. Ma gli sembrava ora che i libri che gli era capitato di leggere (poteva da questi giudicare tutti i libri?), gli avessero dato poco, meno forse dell'entusiasmo o della riflessione che vi aveva messo lui stesso; pensava comunque che sarebbe stato male non immergersi interamente nella lettura del mondo che, adesso e per così poco tempo, aveva sotto gli occhi e che gli era come toccato in sorte. Leggere dei libri, come tracannare acquavite, sarebbe stato un modo di stordirsi per non essere là. E d'altra parte, che cosa erano i libri? Aveva lavorato anche troppo, da Elia, su quelle file di piombo spalmate di inchiostro. Più le sue sensazioni corporee gli divenivano penose, più gli sembrava necessario cercare piuttosto di seguire, se non di comprendere, a forza di attenzione, ciò che si faceva o si disfaceva dentro di lui.
Uno o due volte, come aveva sentito consigliare dal pulpito da dei signori in collarina e lunghe maniche nere, cercò di valutare come meglio poteva il proprio passato. Non ci riuscì. Per cominciare, non si trattava particolarmente del suo passato, ma solamente delle persone e delle cose incontrate strada facendo; le rivedeva, o almeno alcune tra di esse; non vedeva se stesso. Tutto considerato, gli sembrava che gli uomini e le circostanze gli avessero fatto più bene che male, di aver goduto, giorno dopo giorno, più di quanto non avesse sofferto, ma certo delle felicità di cui molti non avrebbero saputo che farsene. Aveva conosciuto delle gioie che nessuno sembrava tenere in considerazione, come masticare un filo d'erba. Non era mai stato ricco né famoso; non aveva mai desiderato essere una cosa o l'altra. Gli sembrava anche di non avere mai fatto del male, foss'anche solo una pietra lanciata contro un uccello, o una parola crudele, che poteva incancrenire nella memoria di qualcuno. Se era andata così, era stato anche per caso. Avrebbe potuto uccidere il grosso uomo di Greenwich, non l'aveva fatto per pura combinazione. Se Sarai gli avesse proposto apertamente di andare a vendere per lei una refurtiva, forse, vile e appassionato, avrebbe detto di sì.
Ma intanto, chi era questa persona che designava come se stesso? Da dove veniva? Dal grosso carpentiere gioviale dei cantieri dell'Ammiragliato, che amava fiutare il tabacco e distribuire schiaffoni, e dalla puritana moglie di lui? Ma no: era solamente passato attraverso di loro. Non si sentiva, come si sentono tanti, uomo in opposizione agli animali e agli alberi; piuttosto fratello dei primi e lontano cugino dei secondi. Né si sentiva particolarmente maschio davanti al dolce popolo delle femmine; aveva ardentemente posseduto alcune donne, ma fuori dal letto, le sue preoccupazioni, i suoi bisogni, la sua dipendenza dalla paga, dalla malattia, dai doveri quotidiani che si compiono per vivere, non gli erano sembrati tanto diversi dai loro. Aveva, raramente, è vero, gustato la fraternità carnale che gli recavano altri uomini; non si era sentito per questo meno uomo. Si falsava tutto, pensava, riflettendo così poco sulla flessibilità e sulle risorse dell'essere umano, così simile alla pianta che cerca il sole e l'acqua, e bene o male si nutre dei terreni dove il vento l'ha seminata. Gli sembrava che la consuetudine, più che la natura, segnasse le differenze che noi stabiliamo tra i ceti, le abitudini e le conoscenze acquisite sin dall'infanzia, o i diversi modi di pregare ciò che chiamiamo Dio. Anche le età, i sessi, e persino le razze, gli sembravano più vicini di quel che non si creda gli uni degli altri: bambino o vecchio, uomo o donna, animale o bipede che parla e lavora con le sue mani, tutti comunicavano nella sventura e nella dolcezza dell'esistenza. Malgrado la differenza di colore, si era inteso bene con il meticcio; malgrado la sua religione, che del resto non praticava quasi, Sarai era stata una donna come un'altra; e c'erano anche ladre battezzate. Nonostante il fossato che separa un domestico da un borgomastro, aveva provato affetto per il signor Van Herzog, che certamente non aveva per il suo domestico che un briciolo di benevolenza; nonostante le poche cognizioni acquisite alla scuola del maestro e, in seguito, nei libri sfogliati da Elia, non credeva di saperne di più di Markus, o, un tempo, del meticcio, che era stato cuoco. Nonostante la sottana, e la Francia da cui proveniva, il giovane gesuita gli era parso un fratello.
(...)
Ogni notte, avvolto in una delle belle coperte del signor Van Herzog, che asciugavano meglio di un lenzuolo i sudori della febbre, pensava che non avrebbe rivisto il mattino. Era molto semplice: quanti animali selvatici quella notte non avrebbero rivisto l'alba? Lo prendeva un'immensa pietà per le creature, ognuna separata da tutte le altre, per le quali vivere e morire è quasi ugualmente difficile. Allo spuntare del giorno l'aria fresca ma dolce che veniva dall'oceano gli portava una specie di tregua. Per un attimo, il suo corpo, ben lavato, gli sembrava intatto, persino bello, partecipe con tutte le sue fibre alla felicità del mattino.
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