mercoledì 30 novembre 2011

Sweet november

E' finito un mese in cui mi sono successe tante ma tante cose.

Io, meteopatica e con un organismo alquanto sensibile alla prevalenza dell'oscurità e alla conseguente carenza di serotonina, ho sempre patito in novembre il momento più deprimente del ciclo delle stagioni. Il periodo dei morti, in tutti i sensi. Ricordo spenti pomeriggi freddi e piovosi in cui la mancanza di illuminazione solare si associava alla percezione della mia desolazione esistenziale, con me che in strada, guardando la fioca luce dei lampioni, mi sentivo annegare nella colata di pece del buio e, boccheggiando sopraffatta dal mio buco nero interiore, cercavo di distrarmi pensando al futuro scintillio degli addobbi natalizi ancora troppo lontano.

Invece il novembre appena trascorso è stato il mese più luminoso di questo 2011 quasi terminato. Insolito, eccezionale, anche nel tempo meteorologico, così tiepido, soleggiato, foriero di cieli tersi, di albe e tramonti di conturbante bellezza, di tenui colori di fioriture primaverili confusi in un amalgama meraviglioso con quelli decisi dell'autunno avanzato. 

Un po' come è avvenuto anche dentro di me, dove il mio autunno incipiente ha incontrato miracolosamente i residui di una remota e smarrita primavera. Dove la Cri adulta si è vista venirle incontro, correndo della corsa dei suoi passetti veloci e leggeri, la Cri bambina, e le due si sono avvicinate sempre più, sempre più, sempre più, tendendosi l'una verso l'altra tra riso e pianto, con spasimi inarrestabili, fino a toccarsi, dando in quell'atto vita ad un'esplosione drammatica e fantastica di dolore e gioia intensissimi: uno choc, uno struggimento cosmico, di strazio indicibile, nel superamento dello scandalo, nella ricomposizione della frattura di due metà perversamente, mostruosamente scisse da spiriti cattivi tanto tempo fa.

Per celebrare l'ultimo giorno di questo periodo di grazia, ieri ho ricevuto in dono un bagno di serenità. Sicuramente precaria, non acquisita, non durevole. Perché stridono, le due Cri. Si adorano, hanno l'una dell'altra un'immensa nostalgia, ma non si sono familiari, vogliono cose diverse, reagiscono a stimoli differenti, hanno aneliti discordanti, necessità opposte. La loro unione è travagliata, la loro armonia molto meno spontanea di quella della natura che ha fatto loro da miracolosa cornice in questi trenta giorni di passione. E il loro futuro è un'incognita. Un susseguirsi di ulteriori prove, tormenti, inquietudini da superare, e tutto per arrivare ad una meta ancora ignota, o anche solo per percorrere un tratto di cammino in mezzo ad un panorama nuovo, nella visione di un orizzonte di opportunità mai concepite prima.

Nel corso di questo luminoso novembre si è fatta chiarezza in me stessa. Alla sua luce sono emerse cose nascoste nell'ombra. Cose con cui dovrò fare i conti, che dovrò collocare in un giusto spazio nell'anima.
Un compito arduo e senz'altro gravido di ulteriore fatica e sofferenza.

Per oggi ancora non ci voglio pensare. Tiro il fiato, medito, rifletto, e cerco intanto di far spazio nell'anima ai ricordi di quel che ho vissuto in questo dolce novembre. Per onorare degnamente un mese di vita vissuta in pienezza. Per non dimenticarla, e non dimenticarmi, mai più.





Per la tua voce come la mia
Ed i tuoi sogni così turbati
Ti infonderei in mille infusi
Coraggio e forza che anch’io non ho
Per i capelli così sottili
E per le dita più trasparenti
Di mille anelli ti coprirei
Di fuoco e fiamme mi accenderei
Piccola bimba, piccola
Fragile e forte a volte non sai
Piccola bimba, piccola
Tu come me, ti perdi in lacrime

Perché tu vada dove vorrai
Per i tuoi sogni persi
Perché tu sia quello che sei
Un incantesimo inventerei
Piccola bimba, piccola
Fragile e forte a volte non sai
Piccola bimba, piccola
Tu come me, ti perdi in lacrime

Tu fammi ridere di me
Arriva, salvami dai miei pensieri
Come me

Breve interludio/2

Collega M.: "Ched'è 'sto sorrisetto, Cri?"
Capo (scrutando la Cri con sguardo indagatore): "Sì, davéro. Checc'hai stamatìna?"
Cri: "Boh. Sono contenta."
Collega M. (gesticolando veemente ed espressivo): "Ooooh! Evviva. Guarda: se sei contenta tu semo contenti pure noi!"
Capo (annuisce con palese soddisfazione)

lunedì 28 novembre 2011

Silence and I

Di nuovo lunedì.

Di nuovo, dopo alcune settimane scombussolate, fatte di minuti sconvolgimenti, turbamenti e scarti anche nell'ordine rassicurante della mia quotidianità, mi trovo a praticare la vecchia, cara consuetudine di percorrere i giardini di Piazza Vittorio per andare al lavoro.

Alle mie spalle la basilica di Santa Maria Maggiore, in fronte a me la luce bassa e densa del sole nascente che illumina i profili dei palazzi e mi entra nella mente trapassandomi una frotta di pensieri.

All'orizzonte l'azzurro abbagliante del cielo, in contrasto con l'ombra che mi circonda e mi avvolge come un'immersione in mare all'alba.

Sotto i miei piedi l'umido della terra, nelle narici l'odore dell'erba bagnata.

Nessun suono nella mia gola, nessuna parola sulle mie labbra chiuse. Nelle orecchie, sparata dalle cuffiette del walkman, la musica di questa canzone.


Nell'anima l'agognata, ritrovata sensazione di abbraccio panico, il dilatarsi dei polmoni in un respiro di amore universale che tutto contorna e tutto accarezza.

Nell'estasi che mi pervade e mi dissolve io sono l'intero di quel che percepisco, sono alberi e siepi e rosse foglie cadute e cani che si scapicollano abbaiando e giostre immobili e deserte e sassi e marmi e gente che  incrocio nel mio passare. Io sono io e sono tutto, perché tutto comprendo. 

Sono pianta animale essere umano. Vibro e pulso e silenziosamente ascolto ogni voce e ogni grido e ogni sussurro. Il sangue che mi scorre nelle vene mi lega a tutto il resto, in un'osmosi inarrestabile che mi colma di senso e mi fa toccare il velo che copre il mistero del sublime. Con gli occhi scruto gli occhi delle persone che incontro, il ragazzo svagato e sorridente di un suo pensiero segreto, la donna stanca con le borse sotto gli occhi, l'uomo che corre in tuta, vedo col cuore nei loro cuori. Sentendo in loro il mio stesso dolce peso, l'affanno squisito della finitudine, tragedia e ricchezza dell'umanità, invidia degli dei.

Sono viva, viva, viva, e consapevole di esserlo. Di una consapevolezza che mi rende talmente salda, autentica, concreta, che tutti miei rovelli passati, presenti e futuri, i miei sentimenti, i miei desideri, trovano il giusto posto in un attimo infinito di armonia perfetta, insostenibile per una creatura mortale. 

Esplodo, e son quieta. Nel dolore c'è la gioia, nel tormento la serenità, nell'ebbrezza la pace.

Sono pronta per un'altra settimana.


sabato 26 novembre 2011

Persona

Ieri giornata contro la violenza sulle donne.

A me, donna - culturalmente, naturalmente, e per sensibilità - di sinistra, queste ricorrenze, queste "campagne progressiste", come le chiama la mia amica Silvia, danno sempre un po' l'orticaria. Non so, non riesco a non sentirci, magari non da parte di chi le organizza ma sicuramente da parte di una certa fetta di fruitori, una dose di rassicurante retorica, una ritualità di appuntamenti e gesti e parole di per sé pur pregnanti e fortemente simbolici che però mi paiono depotenziati, svuotati di senso. Forse perché non riesco a credere che esista più una società che omogeneamente si riconosce nei contenuti espressi da quei gesti e da quelle parole (forse non è mai esistita, peraltro). Forse perché credo che di certi scempi siano tutti corresponsabili, che certe costruzioni storte siano venute su col consenso, espresso o tacito, di tutte le parti in causa, anche di quella che ne avrebbe subito gli effetti.

Il post sottostante esprime in parte il mio disagio.


Ma non è solo questo. E' proprio che non riesco a sposare una causa, ad appassionarmi ad un ideale. Io riesco solo ad amare individui (spesso quelli sbagliati, ma è un altro discorso, questo). Non mi interessa più di tanto riconoscermi in una certezza, le poche che avevo e che mi avevano infilate a forza nella testa ho fatto una tale fatica ad espungerle da me che diffido dall'abbracciarne altre, perlomeno a breve termine. Quello che mi tiene in piedi, e che mi convince, e mi spinge avanti, non sono certezze astratte, sono esperienze concrete. Quelle di cui porto i segni sulla mia pelle.

Per questo, forse, sono scettica su giornate come questa. Ci mancherebbe, condivido l'allarme per la violenza sulle donne, gli occhi ce li ho, ho un cuore, vedo e sento, sono solidale, comprendo l'enormità del problema, che denuncia una tragedia epocale, un dramma relazionale ed esistenziale che è tale sia per le donne che per gli uomini. Però, sarà che nella mia vita ho ricevuto le peggiori violenze non da maschi ma proprio da donne, sarà che sono carente, incerta, nella determinazione di me stessa e dunque nel mio riconoscermi nel mio genere, non riesco a non considerarmi, e a non voler essere considerata, prima di tutto, prima ancora che una donna, una persona.

venerdì 25 novembre 2011

Inside my heart is breaking but my smile still stays on

Oggi sono vent'anni e un giorno che mi manca Freddie.
Anche se lui è sempre con me. Soprattutto quando le persone a me care mi cercano.
Perché questa canzone, che Brian May scrisse per lui e che lui cantò quando sapeva di star morendo, è la suoneria dei messaggi del mio cellulare (perdonami, Freddie. Lo so che l'hai già fatto.)
E siccome le persone care mi cercano spesso, io spesso l'ascolto.
E sempre il cuore mi fa un balzo, mentre mi arrivano insieme l'emozione per l'attesa della notizia e la commozione per quella voce d'angelo che canta una canzone per un angelo che dice di avere l'anima colorata come le ali delle farfalle. E mi sembra che la canti anche per me.
In una meravigliosa circolazione di affetto, ansia, trepidazione, tenerezza, amore, struggimento, nostalgia.
Così che ogni volta mi faccia forza anch'io e mi dica che lo spettacolo deve continuare.


Empty spaces - what are we living for
Abandoned places - I guess we know the score
On and on, does anybody know what we are looking for...
Another hero, another mindless crime
Behind the curtain, in the pantomime
Hold the line, does anybody want to take it anymore
The show must go on
The show must go on, yeah
Inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on

Whatever happens, I'll leave it all to chance
Another heartache, another failed romance
On and on, does anybody know what we are living for ?
I guess I'm learning (I'm learning learning learning)
I must be warmer now
I'll soon be turning (turning turning turning)
Round the corner now
Outside the dawn is breaking
But inside in the dark I'm aching to be free
The show must go on
The show must go on, yeah yeah
Ooh, inside my heart is breaking
My make-up may be flaking
But my smile still stays on

Yeah yeah, whoa wo oh oh

My soul is painted like the wings of butterflies
Fairytales of yesterday will grow but never die
I can fly - my friends
The show must go on (go on, go on, go on) yeah yeah
The show must go on (go on, go on, go on)
I'll face it with a grin
I'm never giving in
On - with the show

Ooh, I'll top the bill, I'll overkill
I have to find the will to carry on
On with the show
On with the show
The show - the show must go on
Go on, go on, go on, go on, go on
Go on, go on, go on, go on, go on
Go on, go on, go on, go on, go on
Go on, go on, go on, go on, go on
Go on, go on


giovedì 24 novembre 2011

Breve interludio

Cri: "Loulou, perché ci leghiamo sempre a persone anaffettive?"
Lou: "Perché solo quel tipo di legame abbiamo avuto da bambine. Perché una non può desiderare altro che quello che conosce. Perché quello che non si conosce non si può desiderare, purtroppo."
Cri (piange)

Sono una creatura

SONO UNA CREATURA
Valloncello di Cima Quattro il 5 agosto 1916


Come questa pietra
del S. Michele
così fredda
così dura
così prosciugata
così refrattaria
così totalmente
disanimata

Come questa pietra
è il mio pianto
che non si vede

La morte
si sconta
vivendo

Changes

Amara e disillusa. Di nuovo. E di niente, perché non c'era niente di cui illudersi.
Non c'è nessuno con cui prendersela, se non, al solito, con me stessa.
Comincio a stancarmi, adesso, e mi pare un miracolo.
Comincio a pensare che vorrei cambiare.

mercoledì 23 novembre 2011

Parlaci dei figli



Ho sempre amato le parole di questa poesia, sin da quando non avevo ancora figli.
Mi sembravano referenti di una verità tanto solare, tanto semplice, tanto essenziale.
Avrei poi scoperto quanto è impegnativo e doloroso doverle accettare di volta in volta nelle circostanze della vita.
Quanto brucia imprimersele nella propria carne.

E' una sofferenza straziante tendersi ad arco. Soprattutto quando non sei mai stata freccia.
Però non hai alcuna altra scelta. Se non quella di trovarvi l'intrinseca gioia.

domenica 20 novembre 2011

Old and wise

"Vedi, secondo me noi siamo simili in un paio di cose. Una è questa: la nostra necessità di quel che a noi pare essere "capire", o meglio, "comprendere", ma che in realtà è "poter dire che avevamo ragione".
La dinamica funziona così: una persona interessante ci si accosta, ci seduce; noi, affamati di amore, di considerazione, di stimoli, di emozioni, corrispondiamo il multiplo di quanto ci viene offerto; poi veniamo immancabilmente "fregati", frustrati nelle nostre aspettative, mortificati nello spirito; e allora cominciamo ad ostinarci, con quella nostra testardaggine di mangusta, a rimuginare, ad arrovellarci, a interpretare segnali, atti, parole, silenzi, in modo di arrivare a comporre un quadro che sia coerente al nostro ideale riferimento iniziale, che ovviamente è a sua volta direttamente proporzionale alle aspettative che ci eravamo fatti su quella persona, alla nostra esigenza di soddisfare la nostra fame, la nostra sete, per colmare il buco del nostro enorme, gigantesco cuore. Ma è, per dirla come Boccaccio, come gettare una fava in bocca ad un leone. Perché la mancanza che abbiamo dentro non è così che si può colmare. Nessuno ce la può colmare. Nemmeno le persone che più ci hanno amato nella nostra vita.
Allora giunge il momento che uno, se vuol salvarsi la vita, deve accettare. Accettare che l'altro io non lo posso salvare. Accettare che l'altro è così perché ha trovato un suo precario equilibrio, che magari è tutta finzione ma che lo fa stare in piedi, e allora chi siamo noi per sapere cos'è meglio per lui, non dico nell'orizzonte della vita intera, ma lì, in quel dato momento, con quelle date condizioni? Chi siamo noi per decidere del destino di un essere avulso da noi, noi che facciamo così tanta fatica ad occuparci del nostro, di destino?

Uno allora deve accettare, e mollare la presa. Smettere di tirare. Lasciare l'altro libero di andare dove vuole. Ma libero davvero, stavolta davvero. Soprattutto se sente di volergli bene sul serio.

Deve guardarsi dentro, e riconoscere che non è solo la salvezza dell'altro che sta cercando. Ma la sua attenzione, il suo sguardo. Voler ottenere il riconoscimento di essere, noi, significativi nella sua vita. Che è la cosa che più di tutte ci sta a cuore. E sulla quale dovremmo focalizzarci. Sul "perché" ci accada questo. Con una tale costante coazione a ripetere. Come se dovessimo tappare una falla che non si chiude mai. Come se versassimo acqua in un colino.

Deve guardarsi dentro, e riconoscere che la paura di essere sostituiti nei pensieri e nel cuore dell'altro da un'altra persona lo mette in ansia. Che prova gelosia, come un bambino è geloso delle attenzioni della mamma nei confronti di un fratellino.

Deve guardarsi dentro, e riconoscere che quello che crede essere amore è forse anche dipendenza. Attaccamento. Perché non ha una solida stima di se stesso, perché ha bisogno di continue conferme e rassicurazioni esterne. Perché fa una fatica dannata a volersi bene."

Attieniti, Cri. Molla, piccola. Apri la mano, lascialo volare, 'sto palloncino. Non piangere, su, asciugati le lacrime. Sorridi. Non aver paura.

Ci sono io, con te.



sabato 19 novembre 2011

Ho visto Nina volare

Alla Nina che è in me.


Mastica e sputa 
da una parte il miele 
mastica e sputa 
dall'altra la cera 
mastica e sputa 
prima che venga neve 

Luce luce lontana 
più bassa delle stelle 
quale sarà la mano 
che ti accende e ti spegne 

Ho visto Nina volare 
tra le corde dell'altalena 
un giorno la prenderò 
come fa il vento alla schiena 

E se lo sa mio padre 
dovrò cambiar paese 
se mio padre lo sa 
mi imbarcherò sul mare 

Mastica e sputa 
da una parte il miele 
mastica e sputa 
dall'altra la cera 
mastica e sputa 
prima che faccia neve 

Stanotte è venuta l'ombra 
l'ombra che mi fa il verso 
le ho mostrato il coltello 
e la mia maschera di gelso 

e se lo sa mio padre 
mi metterò in cammino 
se mio padre lo sa 
mi imbarcherò lontano 

Mastica e sputa 
da una parte il miele 
mastica e sputa 
dall'altra la cera 
mastica e sputa 
prima che metta neve 

Ho visto Nina volare 
tra le corde dell'altalena 
un giorno la prenderò 
come fa il vento alla schiena 

Luce luce lontana 
che si accende e si spegne 
quale sarà la mano 
che illumina le stelle 

Mastica e sputa 
prima che venga neve 






giovedì 17 novembre 2011

Un giorno credi

"Sto lottando contro un dolore profondo, antico e lacerante..."
"Forza, Cri, non arrenderti. Vivi, vivi, vivi. Fallo anche per noi"

E difatti non mi arrendo. Stringo i denti, piango e sorrido. Perché sotto quel dolore immenso c'è Cri, la Cri che non ho mai conosciuto e che sto scoprendo con altrettanta immensa emozione. La piccola Cri che mi attende da anni, coi suoi bellissimi grandi occhi innocenti e con un oceano di amore e tenerezza stretto al petto come fosse il suo tesoro.

Sto tanto male, sto tanto bene, e vivo. Lo faccio per me e per tutti quelli che amo. Perché io so amare. E so che è quello che mi salva ogni volta, sempre mi ha salvato e sempre mi salverà.

E' questo che dà senso alla mia vita, alla vita di tutti. Non ho bisogno di nient'altro.







mercoledì 16 novembre 2011

Bugs

Sono una ragazza cagionevole. Di anima.

Forse perché ci son nata, forse perché mi ci hanno fatto diventare, forse per tutte e due le concause, sono un'handicappata spirituale. Difetto di pezzi essenziali, oltretutto pure doloranti malgrado la loro assenza, in una sindrome dell'arto mancante in piena regola.

Al loro posto ci sono ferite aperte. Strappi, tagli. Buchi. Buchi che sono varchi d'accesso per chiunque abbia voglia di entrare dentro di me.

Non tutti tutti, per carità. Nonostante le apparenze, non è facile accostarmisi. Sono una finta estroversa, piuttosto difesa, al di fuori di me stessa, da distese di rose spinose difficilmente penetrabili disposte in file concentriche progressive. Devono essere fiori attraenti, perché sovente in tanti si trovano a gironzolare intorno ai primi cespugli. Ma poi la maggior parte desiste, rimane nei cerchi esterni, oppure torna indietro, stufa di pungersi ad ogni piè sospinto. Pensando, probabilmente, e forse non a torto, che non valga la pena di fare tanta fatica.

C'è però sempre, ciclicamente, qualcuno, più corazzato, più ostinato, più resistente, o semplicemente più incosciente, che, oltrepassate tutte le schiere, arriva davanti alla mia anima inerme. E a quel punto entra come vuole. E una volta dentro può fare quel che vuole. Anche devastarmela. Oppure, se è una buona persona, limitarsi a scorrazzare e poi liberamente uscire quando lo desidera.
Lasciando orme, tracce, segni del suo passaggio che non mi sarà mai rapido e semplice cancellare.

Perché nell'orto della mia anima, non essendovi recinzione, come si può entrare a piacimento, altrettanto a piacimento ce ne si può andare tutte le volte che si vuole. Nessuno resta chiuso in trappola.

Una bella fregatura, per me.

Però quei buchi, che mi rendono così vulnerabile, fanno passare anche altro, da dentro a fuori, da fuori a dentro, con un'intensità miracolosa: emozioni, sentimenti. Gioia, dolore, affetto, rabbia, gelosia, generosità, tenerezza. Amore.

Sarà forse per questo che c'è sempre qualcuno che, liberamente e felicemente, sceglie di restare.






lunedì 14 novembre 2011

Le conseguenze dell'amore

Ieri sera si è avverato un paradosso spaziotemporale. Una cosa che se me l'avessero predetta non ci avrei mai creduto.
All'avvento della terza vittoria a mani basse dell'orribile banda B&B ero talmente disperata che per un mese ho smesso di informarmi sulle notizie. Le storie sugli eletti, le reazioni a caldo e a freddo, la composizione del gabinetto, i giuramenti davanti al presidente della Repubblica, l'ottenimento della fiducia nei due rami del Parlamento, sono un buco nero, qualcosa di cui non ho ricordi, come se quei giorni io li avessi vissuti in coma profondo. Ho solo memoria di come, scollegato il cervello dall'attualità politica e sociale, evitando come la peste bubbonica giornali e TV, passassi il tempo a disintossicarmi dalla contemporaneità vedendomi senza soluzione di continuità tutti gli episodi di Nero Wolfe con Tino Buazzelli e Paolo Ferrari.
Poi però la vita quotidiana ha reclamato attenzione. Non potevo continuare a sfuggirla in eterno.
Per fortuna, girellando sul web, sono incappata nel sito di Spinoza. Dove ho incocciato in un gruppo di cazzoni di talento che pigliavano per il culo ogni avvenimento lieto o tragico di cronaca e politica.
Lì è stata la svolta dell'esistenza. Ho scoperto che le notizie le digerivo solo così, mediate e purificate dalla forza satirica delle battute. Qualsiasi follia o illecito ulteriore commessi dall'orrenda e sgangherata compagnia che componeva la compagine governativa e quella parlamentare mi giungeva attutita e depotenziata grazie alla chiave di rilettura dell'ironia.
Mi cito (da un commento che ho postato sul blog di Mr Tambourine a dicembre 2010)
Spinoza è stato, nei suoi momenti migliori, e di sicuro in modo del tutto inconsapevole ed involontario, uno dei pochi antidoti, se non il miglior antidoto, al berlusconismo, inteso non solo come subcultura di massa, ma soprattutto come, diciamo, modello di potere in una società: un sottobosco di anonimi giacobini in fermento, una piccola comunità brulicante di anarchici individualisti irriverenti, genialoidi – alcuni raziocinanti, altri decisamente viranti sullo psicotico, ma tutti indistintamente e aprioristicamente cazzoni – che di fatto cooperava, spontaneamente e senza che i singoli se ne rendessero conto, alla creazione di un “unicum” tematico che era molto più della somma delle sue parti. Un esempio scorrettissimo, scalcinato e del tutto felice, di democrazia diretta. Altro che berlusconismo.
Capitava di tutto, in quei tempi bui, coda immonda di anni ed anni di progressivo impoverimento democratico e culturale. Leggi vergognose, macelleria sociale, duomi in faccia, violenza verbale, bunga bunga, discorsi populisti ai limiti dell'eversione. E io ne potevo ridere, distaccandomene. Ogni giorno portava la sua nuova pena. Però avevo scoperto un modo per fuggire. Tutto quello strame mi avrebbe toccata praticamente, ma non avrebbe influito sul mio umore, i miei sentimenti, le mie emozioni. Spinoza mi aiutava a rimanere libera, e resistente.
Non sarebbe stato solo questo il ruolo di Spinoza per me. Attraverso questa porta virtuale sarebbero entrate via via nella mia vita persone e situazioni che avrebbero rimesso in gioco tanta parte di me stessa.
E' di particolare significato perciò che in uno dei week end più luminosi di sole novembrino e gravidi di emozioni dei miei ultimi anni, degna conclusione di una settimana densa di rimescolamenti emotivi quanto e più di tutte le settimane della mia intera esistenza messe assieme, io mi sia trovata ad assistere alla caduta di Berlusconi seduta ad un tavolo di pub insieme a un piccolo ma ben rappresentativo gruppetto di spinoziani.
Che ora posso chiamare amici.
Con il virtuale che, per lo spazio di un pomeriggio e di una serata, si salda col reale.
E il cerchio si chiude. Nell'ennesima coincidenza, in una circostanza capitata pressappoco per scommessa, la cui minima sfasatura non avrebbe consentito una così esatta corrispondenza negli eventi.
E trovare questa briciola di senso mi conforta nella ricerca del senso più grande, quello che dà senso a tutto quel che io sono oggi, a tutto quel che provo, a tutto quello che prendo e che dono.
Lo piglio come un segno di speranza. Da quell'euforica, ostinata, entusiasta ottimista che sono e che, nonostante tutto, sempre resterò.



venerdì 11 novembre 2011

The gift

"Sai, Cri, dopo tanti anni ho imparato che la vera generosità non sta nel dare. A dare son buoni tutti, che merito c'è? Vuoi questo da me? E pigliatelo! Vuoi l'altro? Ma dai, eccolo! E' una forma di noncuranza, alla fine. E' come se non ti importasse realmente di nessuno.
E invece lo sai qual è la vera forma di generosità? E' quella di darsi il diritto di chiedere."

mercoledì 9 novembre 2011

Lavandare


Nel campo mezzo grigio e mezzo nero
resta un aratro senza buoi, che pare
dimenticato, tra il vapor leggero.

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare
con tonfi spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca,
e tu non torni ancora al tuo paese!
Quando partisti, come son rimasta!
Come l'aratro in mezzo alla maggese.

Piccole confessioni di una malandrina/3

"Vorrei non possedere un cuore: fa dolere troppo" (cit.)

venerdì 4 novembre 2011

giovedì 3 novembre 2011

The wonderful wizard of Oz

Giorni convulsi, caotici. Vado in pezzi minutissimi e mi ricompongo in maniere assortite ogni quarto d'ora. Come una girandola impazzita tutto ha preso a scorrermi intorno a velocità incontrollata. Treni stazioni strade marmi lustri di gelaterie schermi volti e voci e giorni di sole e tramonti e notti e musica e gioia e dolore e lacrime e sorrisi, e rabbia e rancore, angoscia, esaltazione, smarrimento, mi vengono incontro da distanze siderali e mi vorticano attorno sfiorandomi senza toccarmi, senza ch'io riesca a posarmi e riposarmi su alcun dettaglio persistente nella mia memoria, eccetto lo sguardo puro e concentrato di un paio di occhi cristallini che ho avuto più volte, negli ultimi due giorni, fissi nei miei.
Sono sfinita, travolta da un coinvolgimento tanto parossistico da sconfinare in noncuranza e atarassia. Il corpo si difende da una tale valanga semplicemente facendo finta di nulla. Mi sento anestetizzata. E' come quando da bambina imploravo invano l'oblio del sonno come baluardo contro la paura dei fantasmi che vedevo nel buio. Come se addormentarmi avesse potuto valermi da corazza contro le brutte cose che popolavano la stanza. Come se scivolando nell'incoscienza io venissi trasportata in un luogo sicuro lontano da lì.
Stanotte, ad ogni modo, il mio sonno è stato profondo ed ininterrotto, non disturbato nemmeno dalle squille di tromba dei due messaggi che mi son giunti sul cellulare, ai quali ho risposto come in trance ma, ho controllato stamani, in modo appropriato.
Mi è rimasta di stanotte un'immagine sola, sospesa tra sogno e realtà. L'immagine di un paio di scarpe rosse. Un'idea iperurania di scarpe rosse, concetto archetipico, figura evocativa delle scarpette rosse di Dorothy che battono nel rituale che la riporterà a casa, completato dalla formula magica pronunciata con ardore: "nessun posto è bello come casa mia, nessun posto è bello come casa mia..."
Scarpe rosse che forse riporteranno a casa più di qualcuno, nei prossimi giorni. Ciascuno nella sua, di casa. La casa che è là dove si trova il cuore.
E dov'è la mia, di casa? Il mio posto bello come nessun altro? Dov'è il mio cuore?
Spero di trovare anch'io scarpette rosse che ci portino, o riportino, pure me.