Santi numi, quant'è che non scrivo una riga dentro il mio blogghino!
Non avevo mai passato un tempo di latitanza così lungo.
E' che sono stata tanto, tanto male, dopo il week end conseguente al mio ultimo post. Tornare a casa di mio padre, per mille ragioni, è stato un autentico massacro. Sono rientrata alla base la domenica pomeriggio inoltrata con un mal di testa feroce, il cuore spezzato e lo stomaco sottosopra. Per rilassarmi mi sono sdraiata sul letto e ho infilato nel lettore DVD Come in uno specchio di Ingmar Bergman, che mi attendeva da settimane. "Tanto" mi sono detta "già sto sul depresso spinto, forse è meglio cavarsi questo dente quando si è già di malumore, facciamo conto che sia una cura omeopatica." A metà film, quando lei mostra i più evidenti segni di pazzia, mi sono talmente immedesimata che mi è venuto da vomitare. Letteralmente.
Da lì è partita una settimana di supplizio: gastroenterite complicata da una metrorragia, durante la quale ho ributtato fuori da ogni orifizio del mio corpo tutti i detriti di quello che era il padre che avevo dovuto conoscere, che avevo dovuto imparare ad amare, emersi durante il sopralluogo a casa del mio genitore defunto, la cui assenza incongrua e insostenibile aleggiava, marcata e pressante, in ogni stanza, ogni angolo: ogni sua miseria, ogni sua contraddizione, ogni nauseante ambiguità dentro la quale io ho ritrovato, con strazio immenso, il padre che ho conosciuto da ragazzina, con immenso orrore e altrettanta immensa, malsana tenerezza.
Il mercoledì non riuscivo nemmeno a stare in piedi, ero sfinita: mi sono messa a letto all'una di pomeriggio, mi sono rialzata alle dieci del giorno successivo.
Il mercoledì non riuscivo nemmeno a stare in piedi, ero sfinita: mi sono messa a letto all'una di pomeriggio, mi sono rialzata alle dieci del giorno successivo.
Nel quale dovevo partire per Londra.
Prendere per la prima volta nella vita l'aereo.
Stare per la prima volta nella vita fuori dall'Italia.
Senza sapermi esprimere in inglese, e comprendendolo in maniera alquanto insoddisfacente.
Senza sapermi esprimere in inglese, e comprendendolo in maniera alquanto insoddisfacente.
Senza i figli, oltretutto. Che per me sono qualcosa di molto più simile a due figure genitoriali.
Una prospettiva che in quelle condizioni mi faceva tremare i polsi.
Il mio smarrimento era talmente grande che ad un certo punto non l'ho sentito più.
"Basta" mi sono detta ergendomi calmissima dal mio letto di dolore. "Ti stai sabotando da sola, Cri. Non sei abituata alle cose belle, a veder realizzati i tuoi desideri. Se non stai male non ti riconosci e ti spaventi. Ti turba essere contenta, vivere delle piccole felicità. Ma così non va bene! Smettila. Ora partiamo. Non sei moribonda. Vedrai che tutto questo è largamente psicosomatico e svanirà non appena metterai piede sul suolo britannico. Forza, alzati, fa' la valigia, saluta la prole ingrata, esci di casa con quel pover'uomo del tuo consorte, vai all'aeroporto, piglia questo cazzo di aereo e concediti di goderti la vacanza a Londra a cui tenevi tanto!"
A testa bassa mi sono obbedita.
Il mio smarrimento era talmente grande che ad un certo punto non l'ho sentito più.
"Basta" mi sono detta ergendomi calmissima dal mio letto di dolore. "Ti stai sabotando da sola, Cri. Non sei abituata alle cose belle, a veder realizzati i tuoi desideri. Se non stai male non ti riconosci e ti spaventi. Ti turba essere contenta, vivere delle piccole felicità. Ma così non va bene! Smettila. Ora partiamo. Non sei moribonda. Vedrai che tutto questo è largamente psicosomatico e svanirà non appena metterai piede sul suolo britannico. Forza, alzati, fa' la valigia, saluta la prole ingrata, esci di casa con quel pover'uomo del tuo consorte, vai all'aeroporto, piglia questo cazzo di aereo e concediti di goderti la vacanza a Londra a cui tenevi tanto!"
A testa bassa mi sono obbedita.
Quelle che seguono sono considerazioni essenziali di questo viaggio.
Queste in via preliminare:
1) io, donna ansiosissima, soggetta in passato ad attacchi di panico, affetta da decine di fobie diverse, ho scoperto di non nutrire, a paragone dei terrori ancestrali che ho per le malattie mie o dei miei cari o per la scomparsa dei medesimi, paura alcuna di volare degna di questo nome. A parte un lieve senso di claustrofobia, poco più di un fastidio, al pensiero di essere imprigionata in una supposta gigante a migliaia di chilometri di altezza senza poter uscire fino al ritorno sulla terraferma, il viaggio mi ha quasi divertita. Niente spaventi al decollo, solo la sensazione, una punta irritante, di compressione dovuta alla pressurizzazione, e nessun timore all'atterraggio
Sarà l'incoscienza, mi sono detta. La pagherò al viaggio di ritorno. Invece, macché: al ritorno sono riuscita a guadagnare posto accanto al finestrino, sopra l'ala, e ho passato il tempo a scattare foto e a rincuorare la ragazza della fila avanti alla mia che invece era in piena crisi, chiacchierando come una gazza per distrarla (e intontirla. Ha funzionato meglio che se si fosse drogata.)
Sarà l'incoscienza, mi sono detta. La pagherò al viaggio di ritorno. Invece, macché: al ritorno sono riuscita a guadagnare posto accanto al finestrino, sopra l'ala, e ho passato il tempo a scattare foto e a rincuorare la ragazza della fila avanti alla mia che invece era in piena crisi, chiacchierando come una gazza per distrarla (e intontirla. Ha funzionato meglio che se si fosse drogata.)
2) io, uccello di nido, ho scoperto di essere capace di stare tre notti e quattro giorni lontana da casa e dai presunti affetti senza provare il malessere che mi perseguitava nei pochi viaggi che ho fatto da ragazza, e poi anche da giovane mamma coi figli piccoli. Sono stata in posti anche molto amati rovinandomeli quasi sempre per i pensieri ossessivi, completamente estranei al contesto, che venivano a scavarmi come tarli nel cervello, oppure per la mia incapacità di reggere la tensione davanti a qualsiasi minima contrarietà venisse a turbare il ruolino di marcia stabilito, che sempre dava la stura a reazioni drammatiche, le quali innescavano le controreazioni del coniuge, in una tempesta crescente di angosce e furori, coi bambini che ci guardavano ammutoliti (oppure ci imitavano, prendendo ad accapigliarsi tra loro). Stavolta, invece, sono stata sul posto con tutti gli spiriti, naturalmente concentrata, osservatrice, sperimentatrice curiosa, interessata. Non volevo, come spesso all'epoca mi era capitato, che volassero le ore, non spasimavo per tornare a casa: non mi sono interessata nemmeno alle condizioni di salute del mio corpo, non ho dato retta a sintomi e segnali, e come volevasi dimostrare sono stata bene. E me la sono goduta.
3) io, animaletto abitudinario, ho scoperto che di molte consuetudini posso fare volentieri a meno, se è per esplorare un modo nuovo e diverso di vivere. Al cibo italiano, per esempio, di cui pure sono ghiotta e che non di rado mi ha ispirato conforti molto simili, se non proprio all'amore, almeno alla tenerezza, ho detto ciao senza rimpianti già dalla prima mattina, davanti ai caldi toast di pane scuro ricoperti di uno strato di burro giallo e leggero, saporoso, diverso dal nostro, e di marmellata. Non ero in grado, essendo convalescente, di fare l'esperienza somma della colazione all'inglese con uova e bacon (né il mio albergo la proponeva), ma mi è piaciuto tutto il resto (burro, burro ovunque: che goduria sfrenata!). E dal cibo inglese mi sono congedata con affetto e nostalgia l'ultima sera della mia permanenza da Perkin Reveller, ristorante sotto la torre di Londra dove, a prezzo tutto sommato contenuto, ho mangiato, presentate in stile haute cuisine, scelte coraggiosamente a caso dal menu dove capivo una parola su dieci, una serie di prelibatezze tipicamente british, dolci compresi.
4) io, essere logorroico, impossibilitata dalle circostanze ad esprimermi in maniera acconcia, inibita nel manifestare all'ancora ignorante universo mondo il mio corredo fornitissimo di pippe mentali, perifrasi, parafrasi e giri vari di parole, ho scoperto di non andare nel panico per questo. Anzi, di provare un gusto nuovo e insolito nell'ascoltare, essendo costretta al silenzio. Alla fine dei tre giorni non capivo quasi niente come quando ero appena arrivata: ma quel suono musicale delle sillabe sonore, quel sontuoso poggiare la lingua tra i denti e zufolare consonanti, quell'accento sibilante e pomposo insieme, mi è rimasto nelle orecchie come una familiare, piacevolissima armonia di sottofondo che mi stupisco di non sentirmi più attorno.
Fin qui le considerazioni su di me. Ora passo a quelle, sparse, su Londra e sui londinesi. (Non mi azzardo a dire "sugli inglesi", avendo frequentato solo la capitale, e per un raggio di non più di venti chilometri.)
Non è vero che a Londra piove sempre. Per lo meno in primavera - la primavera meteorologica, via -, piove, anche fitto, dieci minuti per dieci volte al giorno. Inframezzati da ore di uno sferzante vento di tramontana freddissimo che asciuga la pioggia in un baleno e continuamente, con ostinazione, squarcia le nubi in cielo, lasciando trapelare raggi di un sole insospettabilmente caldo.
Londra mi è sembrata per certi versi una Roma ingigantita ma topograficamente in certi punti davvero assai evocata. Per esempio, lo Strand, la stradona che lambisce Trafalgar Square, mi ha ricordato, nel suo snodarsi in salita, nei suoi incroci, persino nella tipologia di molti suoi negozi, via del Tritone. E finisce in un Crescent, Aldwych, che guarda caso ha una spiccata aria di famiglia con Via Veneto. Il lungo Tamigi in certi tratti somiglia in modo molto preciso a certi punti del Lungotevere (tutto più in grande, ovviamente). E la zona della City il sabato pomeriggio è desertica e smobilitata in modo molto simile al quartiere Ludovisi, per esempio, o a Parioli.
Non è vero che Londra è pulita come uno specchio. Ho visto angoletti di certe strade secondarie che parevano usciti dalle rappresentazioni dei luridi vicoli del Bronx di un telefilm poliziesco. Ogni tanto si incoccia in una bottiglia di birra vuota. O in un paio di contenitori di pizza sporchi. O in un tappetino di cicche.
La differenza è che lì questo costituisce un'eccezione.
Anche a Londra si otturano i tombini. Preciso come a Roma. Ne ho trovato uno allagatissimo proprio vicino al nostro albergo, alla fine del marciapiede che circondava il piccolo, curato giardinetto di St. George's Square.
Segnalato da una freccia disegnata a terra col gesso, però.
(Uh, come si è fatto tardi: spezzo questo post lunghissimo, e il resto lo scrivo domani. Buonanotte)
4) io, essere logorroico, impossibilitata dalle circostanze ad esprimermi in maniera acconcia, inibita nel manifestare all'ancora ignorante universo mondo il mio corredo fornitissimo di pippe mentali, perifrasi, parafrasi e giri vari di parole, ho scoperto di non andare nel panico per questo. Anzi, di provare un gusto nuovo e insolito nell'ascoltare, essendo costretta al silenzio. Alla fine dei tre giorni non capivo quasi niente come quando ero appena arrivata: ma quel suono musicale delle sillabe sonore, quel sontuoso poggiare la lingua tra i denti e zufolare consonanti, quell'accento sibilante e pomposo insieme, mi è rimasto nelle orecchie come una familiare, piacevolissima armonia di sottofondo che mi stupisco di non sentirmi più attorno.
Fin qui le considerazioni su di me. Ora passo a quelle, sparse, su Londra e sui londinesi. (Non mi azzardo a dire "sugli inglesi", avendo frequentato solo la capitale, e per un raggio di non più di venti chilometri.)
Non è vero che a Londra piove sempre. Per lo meno in primavera - la primavera meteorologica, via -, piove, anche fitto, dieci minuti per dieci volte al giorno. Inframezzati da ore di uno sferzante vento di tramontana freddissimo che asciuga la pioggia in un baleno e continuamente, con ostinazione, squarcia le nubi in cielo, lasciando trapelare raggi di un sole insospettabilmente caldo.
Londra mi è sembrata per certi versi una Roma ingigantita ma topograficamente in certi punti davvero assai evocata. Per esempio, lo Strand, la stradona che lambisce Trafalgar Square, mi ha ricordato, nel suo snodarsi in salita, nei suoi incroci, persino nella tipologia di molti suoi negozi, via del Tritone. E finisce in un Crescent, Aldwych, che guarda caso ha una spiccata aria di famiglia con Via Veneto. Il lungo Tamigi in certi tratti somiglia in modo molto preciso a certi punti del Lungotevere (tutto più in grande, ovviamente). E la zona della City il sabato pomeriggio è desertica e smobilitata in modo molto simile al quartiere Ludovisi, per esempio, o a Parioli.
Non è vero che Londra è pulita come uno specchio. Ho visto angoletti di certe strade secondarie che parevano usciti dalle rappresentazioni dei luridi vicoli del Bronx di un telefilm poliziesco. Ogni tanto si incoccia in una bottiglia di birra vuota. O in un paio di contenitori di pizza sporchi. O in un tappetino di cicche.
La differenza è che lì questo costituisce un'eccezione.
Anche a Londra si otturano i tombini. Preciso come a Roma. Ne ho trovato uno allagatissimo proprio vicino al nostro albergo, alla fine del marciapiede che circondava il piccolo, curato giardinetto di St. George's Square.
Segnalato da una freccia disegnata a terra col gesso, però.
(Uh, come si è fatto tardi: spezzo questo post lunghissimo, e il resto lo scrivo domani. Buonanotte)