Per un attimo, stasera, sono rinsavita.
Per strada, di notte, entrando in macchina per andare a riprendere mio figlio a casa di un amico.
Mi si è improvvisamente ridimensionato il mio mondo immaginario, quello a cui ricorro per distrarmi costantemente dai pensieri quotidiani, che mi tiene sospesa in aria come su un dirigibile e mi paralizza dinanzi alle ordinarie, brute, banali attività dell'esistenza.
Ho smesso per un istante di percepirmi come mi capita da ormai più di un anno persino quando mi osservo allo specchio e mi son guardata da un altro punto di vista: quello di un'adulta.
Dal guscio spaccato dell'adolescente smarrita è emersa la donna matura.
Che ha riconsiderato in tre secondi una bella fetta di vita degli ultimi mesi, non quella con cui ho già fatto i conti, quella più recente: incontri, dialoghi, rapporti, bisogni, aspettative.
Subitaneo, il distacco, e il sollievo. L'abbassamento della temperatura. Lo scemare delle passioni, dei rovelli, della sofferenza, dell'ansia.
E poi, senza soluzione di continuità, ecco venir su la vergogna, la voglia di nascondere la faccia tra le mani, di nascondermi. Il sentirmi rimbombare nella testa "ma che cazzo hai combinato e combini, alla tua età, ti rendi conto?"
Per fortuna è durata poco. Il tempo di tornare a casa e riaccendere il pc, e il mio mondo è tornato nella sua rassicurante sfasatura.
E io son tornata goduriosamente a crogiolarmi nella mia malattia.
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