Poi il guardiano li condusse al faro vero e proprio. Al pianterreno il generatore elettrico mandava un rombo sordo, e tutt'intorno si sentiva odore di olio: olio in bidoni, lampade ad olio e latte d'olio. Salendo la stretta scala a chiocciola, in cima trovarono, al riparo di una stanza rotonda, piccola e solitaria, la sorgente della luce del faro, intenta a vivere la sua vita silenziosa.
Guardando dalla finestra, contemplarono il raggio di luce che passava rapido da destra a sinistra sulle onde nere e irrequiete dello stretto di Irako.
Con tatto, il guardiano discese la scala, lasciandoli soli.
La piccola stanza rotonda in cima alla torre aveva pareti di legno verniciato. Nei suoi infissi d'ottone lucido, la spessa lente girava attorno con facilità la sua lampada elettrica di cinquecento watt, ingrandiva questa fonte di luce sino a darle la forza di sessantacinque candele, e si muoveva ad una velocità che provocava una serie costante di lampi. I riflessi della lente si agitavano sulle circostanti pareti di legno e, accompagnati da un intermittente cigolio, caratteristico dei fari la cui costruzione risalga al secolo scorso, quei medesimi riflessi giocavano sulla schiena del ragazzo e della sua fidanzata, che tenevano i volti appoggiati ai vetri della finestra.
Sentivano le loro guance così vicine che potevano toccarsi ad ogni istante, e ne sentivano anche il calore di fiamma... Davanti a loro si stendeva l'insondabile oscurità, interrotta a intervalli regolari dal fascio di luce del faro. E i riflessi della lente continuavano a girare nella piccola stanza, proiettando sulle pareti immagini che sparivano solo quando erano intercettati dalla camicia bianca e dal kimono con disegni di fiori.
Ancora una volta, Shinji, pur poco portato alla meditazione, inseguì i propri pensieri. Rifletteva che nonostante tutto avevano raggiunto il loro scopo, che infine si trovavano qui insieme, in regola col codice morale della loro gente, e senza aver mai compiuto atti che potessero allontanare la provvidenza degli dèi... e che, in breve, quella piccola isola avvolta nel buio aveva protetto la loro felicità e portato il loro amore a compimento...
D'un tratto, Hatsue si volse verso Shinji e rise. Poi si tolse dalla manica una piccola conchiglia rosata e la fece vedere a lui.
"Ti ricordi?"
"Ricordo."
I bei denti del ragazzo lampeggiarono in un sorriso. Poi, dalla tasca interna della sua camicia, estrasse l'istantanea e gliela mostrò.
Hatsue toccò il ritratto con mano leggera, che subito ricadde. I suoi occhi erano pieni d'orgoglio. Pensava ch'era stato il suo ritratto a proteggere Shinji.
Ma in quell'istante Shinji sollevò le sopracciglia. Lui sapeva che era stata la sua forza a consentirgli di superare quella pericolosa notte.
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