giovedì 8 settembre 2011

Show must go on

Oggi mi sento un pugile suonato.
Botte, botte, botte da orbi. Una, due, tre, quattro, in sequenza.

L'ultima, ieri sera tardi, la più inaspettata, la più dolorosa. Giunta per caso, per fatalità, per testare, senza nemmeno tanto dargli peso, un'idea balzana delle mie che era entrata in circolo nella mia mente ossessiva. 
Un piccolissimo colpo basso nel mio punto più sensibile.

Stanotte sveglia, ad osservare i miei fantasmi ad occhi aperti nel buio, tentando di calmarmi e di stringermi a chi mi sta accanto senza riuscire a provarne il minimo sollievo, perché la paura che ho dentro mi rende distante e separata, è come un involucro che mi isola da tutto e tutti, non posso estirparla né condividerla con nessuno, mi fa venire solo voglia di scappare lontano, migliaia e migliaia di chilometri lontano da qui.

Stamane un altro cazzotto. Questo davvero da niente, poco più di un buffetto, per la scarsa capacità e importanza nella mia vita della persona che me l'ha tirato. Ma arrivato, come la ciliegina sulla torta, a guarnire e ribadire il concetto, per tenermi ben salda nella sensazione di star soffocando dentro la mia sindrome di accerchiamento.

E ora sì, sono al tappeto. L'arbitro sta contando e io stavolta sento che rialzarmi prima del knok out è dannatamente difficile, difficile come non è mai stato. Ci provo, ma ho il cervello annebbiato, mi aggrappo alle corde e scivolo giù, priva di punti di riferimento, tanto la testa mi gira e i sensi mi si ottundono.

Mi sento male. Ma in qualche modo all'esterno sono in piedi. Mi sono imposta di farmi forza con una volontà che non avevo ancora mai dimostrato a me stessa. Ho fatto la doccia, colazione, mi sono vestita. Sono riuscita a costringermi ad andare in ufficio. E sto, in qualche modo, rispondendo ai colleghi in modo pertinente, reagendo agli stimoli, portando avanti il lavoro,  parlando pacata, sorridendo come niente fosse.
Anche se non sono qui. 

Se penso a stasera, alla prospettiva di quando tornerò a casa e sarò sola coi miei incubi, mi si chiude la gola.
Però so di non avere alternative. Di dover uscire da questa palude. Di dover attuare un ribaltamento della situazione. 
Devo solo riuscire a considerare questo caos come un'opportunità di crescita. Quest'inoltro nel mio groviglio di spine come un passo ulteriore verso l'uscita da esso.

Devo riuscire a pensare che domani è un altro giorno. E se non lo sarà, lo sarà il successivo. O l'altro ancora.

Ci sarà un domani.





3 commenti:

  1. La vita è un coagulo di accidenti, e ancora stento a capire il ruolo della volontà individuale in mezzo a tutto questo casino.

    RispondiElimina
  2. Leggo ma non so cosa dirti. Non so nemmeno se è il caso di dire che ti sono vicino.

    RispondiElimina
  3. Gap, grazie. Tanto.

    Bomba, forse la volontà potrebbe molto, se una riuscisse a servirsene e a trasformare la paura in coraggio, l'ansia in tensione vitale. Certe volte riesce anche a me: ieri sera alla fine è stato così. E la faccenda si è ribaltata. Stavolta ce l'ho fatta. Aspettiamo la prossima.

    RispondiElimina