Stasera ho fatto una cosa che non mi capitava da anni: un giro per il mio quartiere.
Quadrilatero di strade alla periferia del centro venuto su negli anni sessanta ruggenti del boom economico e dell'abusivismo edilizio dei palazzinari che cominciavano a mettere le mani sulla città stretto tra la storica borgata della Marranella e l'altrettanto storica zona del Pigneto, ambedue teatri di eventi epico drammatici ai tempi di Roma città aperta come le altre famose e famigerate aree confinanti della Certosa e del Quadraro: scontri, bombardamenti, rastrellamenti, resistenza partigiana.
Per cui enclave di nuove e per lo più giovani famiglie di residenti immigrati (sradicati) dalle campagne laziali, abruzzesi e molisane e dunque in larga parte vessilliferi di una subcultura contadina chiusa, egoista e beghina, ostinatamente retriva e reazionaria, riottosi a commistioni con le più antiche popolazioni delle zone limitrofe, proletari borgatari combattenti, integrati nel tessuto sociale dell'Urbe, portatori di istanze progressiste di lotta e rivendicazione, la cui influenza tracimava dai loro vicoli senza marciapiedi fino alle moderne, ordinate strade a doppia carreggiata con spartitraffico alberati al centro.
Differenze stridenti la cui evidenza si è trascinata a lungo, fino a che dei secondi, in buona parte più anziani dei primi e perciò passati prima di quelli a miglior vita, si è via via persa traccia, e il quartiere, decaduto molto rapidamente fino ad un grado di fatiscenza quasi insopportabile, è stato definitivamente colonizzato culturalmente dagli altri, diventati anziani nel frattempo.
Con robuste iniezioni di nuova immigrazione: quella dei giovani extracomunitari.
Nel multietnico versante del Pigneto, divenuto luogo trendy forse anche per la saturazione del vicino San Lorenzo, resiste ancora un residuo di vivacità civile ed intellettuale.
Dove vivo io non c'è più niente.
Saracinesche chiuse in un negozio su due. E non per ferie.
Aperte, le altre, su affastellamenti di chincaglieria cinese ammassata in spazi senza stigliature, squallidi phone center o equivoci locali di ritrovo, grottescamente affiancati a lustre vetrine di banche.
(Impressionante notare l'esponenziale aumento di filiali bancarie, inversamente proporzionale alla diminuzione di attività commerciali. )
Annunci di appartamenti in vendita affissi su ogni portone di palazzi in cortina ormai vetusti. Due o tre, su ogni portone.
Il cartello "vendesi o affittasi" troneggiante persino sulla gigantesca edicola alla fermata dell'autobus di Via Casilina, accanto all'Ufficio d'igiene, da sempre snodo principale del traffico e dei traffici.
Giro due angoli in successione, e mi ritrovo sulla strada perpendicolare alla mia, costeggiante lo spelacchiato giardinetto toponomasticamente denominato con patetica fierezza "parco Almagià", al termine della quale c'è il mio palazzo. E lì, incongrua e meravigliosa come un fiore nel deserto, trovo aperta una mescita di vini nello stesso identico punto in cui stava quando io ero bambina.
Poi, ancora più miracoloso, un antico forno ristrutturato ed ampliato dai figli degli antichi proprietari, due gemelli più o meno miei coetanei che ricordo ragazzini (terribili).
Poi il nulla.
Lì c'era un negozio di scarpe, ora c'è una serranda serrata e polverosa. Lì quel grande rivenditore di ricambi auto! Anche quello è sparito, al suo posto un magazzino. Lì l'alimentari... Lì l'elettrauto...
Buchi, serie ininterrotte di buchi, confrontati con le immagini che ho nella testa.
Una sensazione alquanto straniante.
E osservando spaurita la desolazione attorno a me capisco.
Non è colpa dei cinesi, non è colpa dei bengalesi, se il mio quartiere è diventato un paesaggio postatomico.
E' colpa, semmai, della vittoria dei "burini".
E' colpa della vittoria della cultura del "soldo", del benessere - un benessere materiale pure molto di bocca buona - che ha soppiantato la civiltà.
E' colpa del proliferare dei mastodontici centri commerciali venuti su a raggiera intorno al mio quartiere soffocandolo, e insieme a lui strozzando l'esistenza dei piccoli negozianti.
E' colpa dell'indifferenza degli immigrati degli anni sessanta, del loro rifiuto di tessere una tela di rapporti con gli altri residenti, che ha ucciso in culla la socialità e il senso di appartenenza al territorio.
E' colpa della mancanza di solidarietà di una popolazione che ha sempre e solo fatto ghetto, vivendo nel proprio alloggio cittadino come in un pied-à-terre dove non mettere radici, sempre con la testa al paese e alla "robba", inculcando a forza quest'idea anche nei propri figli nati qua.
I quali figli, ormai cresciuti, al paese non ci vogliono andare più, ma passano il tempo nello struscio inane e torpido a Via Condotti, e restano nei dintorni di casa solo per ammazzarsi di canne negli angoli delle strade più appartati.
I più impegnati, o quelli un poco più grandi, che si sposano o vanno a convivere, vengono ricacciati nelle ancor più disumane e squallide propaggini di Tor Vergata, Tor Bella Monaca, Ponte di Nona.
Ma è più comodo, e meno ansiogeno, dare la colpa agli immigrati extracomunitari.
Massì, continuiamo a mantenere in letargo il cervello.
Io, appena posso, cambio casa.
Inizialmente una serena e perfetta "foto" del quartiere di qui tempi passati, poi una foto forse più "crudele" dei tempi attuali,ma questa è la realtà ahimé. Secondo il mio modesto punto di vista hai fatto una eccellente anche se cruda analisi della situazione e che riflette anche lo stato di altri rioni e quartieri di questa nostra amata città di Roma.
RispondiEliminaGrazie, Aldo. E sì, in parte è come dici tu, in uno stato simile versano anche altri rioni, e so che tu, dicendolo, pensi al tuo, nonché mio di adozione, amatissimo Esquilino. Ti garantisco però che, vivendoci io per larga parte delle giornate e avendo lì il centro dei miei affetti ed interessi, posso assicurare che la situazione, ancorché forse più esemplare per allocazione (centro storico), ampiezza, consistenza e datazione del fenomeno, pare aver superato la fase critica per avviarsi ad una originale, ancorché difficoltosa e sempre minacciata, "normalità". L'Esquilino di oggi ha una sua fisionomia e un'identità che sono, secondo me, molto più determinate e positive - ripeto, con tutte le scabrosità tuttora irrisolte - di quelle del mio quartiere, allo stato una terra di nessuno allo sbando in totale abbandono.
EliminaCri, non ricordo se ti avevo già indicato questa fonte:
RispondiEliminahttp://www.centroriformastato.org/crs2/spip.php?article148
Diamine, Matt, no. Un milione di grazie, già ad una prima occhiata è una manna succulenta, mi ci ficco con tutti i sentimenti. Indagare i fenomeni sociali non servirà forse a cambiare le cose, ma almeno mi contiene l'ansia. Mi accade sempre: la comprensione delle "cose brutte" mi aiuta a ritrovare un equilibrio.
Eliminavero i cervelli sono in letargo e anche i sensi e le cose sensate hai un bel blog senza falsi complimenti
RispondiEliminati aggiungo alla lista del mio blog Listener per quello dei disegni dimmi tu, visto le tematiche forti non lo farei senza il tuo permesso
RispondiEliminaList, grazie. Ti stimo moltissimo, e dunque sono onorata delle tue opinioni.
EliminaIl tuo blog è nel mio blogroll già da un bel po' di tempo. Quello dei disegni non c'era semplicemente perché devo aver pastrocchiato con i link e non m'ero accorta che fosse scisso dall'altro (se ho capito bene, poi). Tu sai quello che penso delle tue immagini e delle tematiche che affronti, per cui non c'è bisogno di alcun permesso. Semmai forse saresti tu imbarazzato a leggere il mio, spesso troppo intimista e sentimentale ai limiti del melenso. Anche cavarsi metaforicamente le mutande en plein air come faccio io può essere disturbante per chi capita qua dentro. Il mio atteggiamento, però, è osceno, semmai, e non pornografico. Perché i contenuti scendo a prenderli dentro me stessa. Come fai tu :)
Si snatura tutto quanto, in tutte le città. Son nata e cresciuta in centro storico tra facciate un po' scrostate (allora) e intonaci giallo/rosato. Non ci abito più da 40 anni ma ci cammino spesso ed ogni volta rivedo con gli occhi della memoria quella drogheria, quella salumeria, quel fornaio, quel calzolaio, quel falegname...
RispondiEliminaTutto sparito. E a volerci tornare a vivere devi avere il portafogli a fisarmonica.
"Snaturato" è la parola giusta, Sandra. Ormai, con la globalizzazione, i centri storici delle città si somigliano tutti, con gli stessi identici negozi in ogni angolo del pianeta. Questo crea un effetto alienante che fa male allo spirito. Quando tu posti foto in bianco e nero, quando le posto anch'io, mi viene spontaneo pensare, e direi non solo a me, ai "bei tempi andati". Forse ci sarà anche una fisiologica parte di rimpianto generazionale, ma non so mica se è solo questo. L'umanità è stata nei secoli costantemente soggetta a minacce di distruzione effettive, come la guerra o le pestilenze. La minaccia dei nostri tempi non è così concretamente determinata, ma non è meno inquietante e devastante.
EliminaGrazie a te Cri! i blog sono separati anche se oramai lo scrivere è sempre meno presente e i disegni più "pressanti" ti aggiungerò anche all'altro blog, un sorriso.
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