Ieri pomeriggio, dopo un paio d'ore di tempo apocalittico che è sembrato inverare la paura di Abraracourcix per come davvero il cielo pareva ci stesse cadendo sulla testa, ha finalmente cominciato a spiovere, propiziando la mia lunga passeggiata verso la chiesetta sconsacrata di Santa Rita da Cascia, adiacente al Teatro di Marcello, ora riconvertita in spazio espositivo del Comune.
Sono andata ad un appuntamento a cui mi aveva invitato Claudio: l'inaugurazione della mostra di cui lui è curatore, nell'ambito della rassegna "Autunno Contemporaneo", dell'opera denominata Novembre 1977; creazione di Zaelia Bishop, artista trentacinquenne romano sulfureo, barbuto e nerovestito come un Rasputin metropolitano.
Mostra costituita da un'unica installazione di grande effetto: uno scheletro di albero di ciliegio collocato nella nicchia dell'abside, sul vecchio altare, a occupare con drammatica concretezza la pienezza dello spazio col suo tronco nudo e con la sua folla di nudi, esili rami protesi verso l'alto come mani tese al cielo; troneggiante sulla fuga di centoventi libri aperti, neri e accartocciati dal fuoco di una fiamma ossidrica, stesi a terra innanzi al visitatore come un tappeto di cadaveri di sogni e illusioni bruciate, perdute, disposte in linea con le geometrie del pavimento a formare un labirinto, un spazio ludico cupo e suggestivo.
Claudio mi ha dedicato in anteprima una visita guidata, ripetendo per me sola le parole che ha scritto quale presentazione dell'opera:
"l'artista si racconta, ripercorrendo la sua vita dalla nascita - appunto, novembre 1977 - fino all'età adulta... Una crescita travagliata, dove nel passaggio tra le varie fasi dell'esistenza è individuato il centro del dolore e dello smarrimento: infanzia, giovinezza, età adulta, simboleggiati dall'albero di ciliegio spezzato. E' qualcosa di cui tu sai più di qualcosa, Cri."
Già.
Ho scambiato qualche osservazione con l'autore: sul travaglio creativo nel darle forma, ma anche sul travaglio del successivo smantellamento, quando verrà smembrata e distrutta, transitoria ed effimera proprio come l'esistenza. Lui mi ha parlato con gentilezza, curiosità e un'ombra di grata sorpresa; affabile e gradevole, così diverso dall'idea di eccentrico e viziato sociopatico che aveva dato l'impressione di voler trasmettere con quel travestimento che, non so bene perché, mi è venuto di ripetergli quello che ho scritto anche a commento di un post:
"la tua opera mi ha colpita molto. Inscena il dolore della crescita, lo strappo, la tristezza per quello che si è perso e non si potrà più avere. O che non si è avuto, e non si potrà avere mai più. Che è il mio attuale dolore, quello con cui sto facendo i conti. Però ultimamente non so, mi è venuto uno strano, bizzarro ottimismo: ho avuto un'infanzia tragica, una giovinezza non vissuta, una maturità sofferta, ma magari allora, chissà, avrò il mio riscatto nella vecchiaia. Chi mi dice che non sia proprio l'ultimo tratto del cammino quello in cui, anziché un tetro e rassegnato declino, mi sarà riservata l'esperienza di un gusto intenso, di un autentico godimento della vita?"
Lui mi ha guardata con uno sguardo improvvisamente attento, venato d'interesse, di simpatia. E mi ha risposto d'impeto, con intenzione, marcando con forza le parole: "io lo credo, che sarà così."
L'ho guardato anch'io negli occhi vividi, scoprendoli, in contrasto col suo aspetto luciferino, perlacei, innocenti, di un grigio bluastro luminoso e vellutato.
"Grazie" ho replicato, con la voce che mi si incrinava. "Sei molto gentile e incoraggiante."
"Non lo dico per gentilezza" ha ribattuto pacato ma deciso. "Io ne sono sicuro. Ogni istante della nostra vita è l'istante. In ogni istante possiamo ricominciare, reinventarci, esplodere, scoprirci."
A quel punto non so bene cosa mi è successo. Ho dovuto salutarlo in fretta e in furia, e in fretta e in furia congedarmi anche da Claudio e dagli altri. Fuori, in strada, ho retto dieci metri scarsi; all'altezza dell'ingresso al Teatro di Marcello già lacrimavo.
"Sei una piagnona, Cri" mi sono detta, sorridendo tra i singhiozzi. "Dannati squilibri ormonali. Ti commuovi per ogni scemenza, ogni bruscolo ti manda in subbuglio. Sei proprio un tedio, una piattola, una palla!"
E intanto piangevo come un neonato. Di tenerezza, che aveva ripreso a sboccarmi dal cuore a fiotti. E di contentezza, per risentirmi quella tenerezza nel cuore, incondizionata, come evidentemente era sempre stata, solo che io che non ci avevo mai voluto credere.
Sentivo dentro di me l'esultanza di aver recuperato l'armonia dei miei meccanismi interiori. Come un congegno antico, ma ancora ottimamente funzionante. A cui serviva solo una spolveratina per ritrovare nitidezza.
S'era fatta sera, ormai. Alle sette, a metà settembre, comincia a prepararsi il tramonto. Nel frattempo non solo non pioveva più, aveva anche fatto capolino un ultimo spicchio di sole. Così, senza esitare, mi sono regalata un ultimo scampolo di libertà. E mi sono mescolata ai turisti nel salire lo scalone del Campidoglio.
Sono arrivata davanti alla balconata dei Fori con una strana sensazione: pressata da un amalgama di immagini nella testa, eppure anche così attenta, così partecipe delle manifestazioni di vita che mi contornavano. Come se il mio cervello, il mio cuore si propagassero all'esterno di me, mescolando insieme realtà e pensieri, il momento, i ricordi, i miei sentimenti e quelli degli altri, la Cri bambina e quella matura, in un tutto nuovo, fuso e confuso, in cui però ogni cosa era illuminata, nitida, distinta e percepita con una chiarezza prioritaria e ultimativa, dove la mia solitudine era una pena preziosa, feconda, lo strazio del chicco di grano che muore per partecipare del rigoglio dell'universo.
Una mestizia bellissima mi ha dilatato il petto.
Non c'era posto al mondo migliore di quello dove stavo, sola, in mezzo alla gente, davanti alle pietre, di fronte al cielo. Pativo una passione che era il segno, e il motore, della mia esistenza, non virtuale, non immaginata. Concreta, di carne e di sangue. E al contempo immersa nel mistico fluire dei giorni e degli anni, nell'onda che non si sa dove finirà per rifrangersi. Però, intanto, ancora a cavallo di quell'onda. Viva. Essenziale. Vibrante d'amore.
Qualcosa che avevo provato, prima di ieri, solo quando ero innamorata.
Certe volte la felicità è così intensa da far male.
Certe volte il dolore è così dolce da dare gioia.
E io ho guardato la vita da tutte e due le parti, ora.
Bows and flows of angel hair and ice cream castles in the air
And feather canyons everywhere, i've looked at clouds that way.
But now they only block the sun, they rain and snow on everyone.
So many things i would have done but clouds got in my way.
I've looked at clouds from both sides now,
From up and down, and still somehow
It's cloud illusions i recall.
I really don't know clouds at all.
Moons and junes and ferris wheels, the dizzy dancing way you feel
As every fairy tale comes real; i've looked at love that way.
But now it's just another show. you leave 'em laughing when you go
And if you care, don't let them know, don't give yourself away.
I've looked at love from both sides now,
From give and take, and still somehow
It's love's illusions i recall.
I really don't know love at all.
Tears and fears and feeling proud to say "i love you" right out loud,
Dreams and schemes and circus crowds, i've looked at life that way.
But now old friends are acting strange, they shake their heads, they say
I've changed.
Well, something's lost but something's gained in living every day.
I've looked at life from both sides now,
From win and lose, and still somehow
It's life's illusions i recall.
It's cloud illusions i recall.
I really don't know clouds at all
Siamo abituati a vivere secondo un mortificante tempo cronologico, ma il tempo dell'istante è un'altra cosa, molto più entusiasmante.
RispondiEliminaOssì. E' l'unica forma di immortalità ci sia concessa.
Elimina:)
Alla fine della lettura di questo tuo post m'è venuta d'istinto una sensazione ma, non sapendo esprimermi come avrei voluto, ho riflettuto un pò, ho pensato di documentarmi ed ho scoperto che, come anche in altri tuoi post, tu tendi a conferire carattere lirico alla prosa così da far risaltare sentimenti e stati d'animo tuoi personali.
RispondiEliminaSpero di non aver scritto bestialità come sono solito fare quando mi trovo davanti post del genere.
Mannaggia la miseria, Aldo :D
EliminaPossibile che debba telefonarti ogni volta per sapere cosa davvero intendi dirmi col tuo commento? :P
(Domattina te chiamo. :*)
BEllissimo. Anzi, di più. Mannaggia a te mi so' pure commossa!
RispondiElimina(Siamo due rubinetti rotti! :D)
E' che c'abbiamo un sacco di acqua buona dentro, noi due, Angie :D
Elimina:* :* :*
<3
E' stato un vero piacere leggere il tuo post, così autentico, pur essendo colto,con la sua capacità di rendere appieno le emozioni e i sentimenti provati da questa donna davvero eccezionale.
RispondiEliminaDolore e felicità sono le due facce dello stesso volto. Come un Giano bifronte, l'uno non può prescindere dall'altra e in noi si alternano continuamente.
Viverli con grande intensità - come sai fare tu - è la cosa più bella che c'è.
Grazie, cara Ambra. Io amo scrivere, anche se faccio fatica a buttar giù le mie cose. Sento che mi fa bene, comunque, cercare di tirar fuori quello che ho dentro. Ma commenti come questo tuo impreziosiscono la cosa a dismisura.
EliminaTi abbraccio, davvero con gratitudine. :)
E' un post davvero bellissimo, che commuove, e che scalda il cuore. Ti chiedi se sei destinata alla felicità: da quello che leggo, sicuramente sì. La felicità è, prima di tutto, un'attitudine; i fatti della vita tendono a farcelo dimenticare, ma il mondo inizia ad essere bello negli occhi di chi guarda. E il finale del tuo post, che mi ricorda i finali dei migliori racconti di Flannery O'Connor, dimostra che tu sei pronta.
RispondiEliminaComplimenti, anche per la bellissima scrittura!
Paolo
Mi confondi, Paolo, grazie di cuore :)
EliminaE adesso non potrò esimermi dal leggermi Mary Flannery O'Connor, me sa...
"La felicità è un'attitudine" mi pare un concetto notevole. E uhm, abbastanza convincente. Molto convincente :D
Credo che siamo tutti destinati alla felicità. Sì, tutto sta a percepirlo...
... e senza accorgertene, hai ripercorso passi già fatti, in una qualche vita precedente, proprio lì, al Campidoglio.
RispondiEliminaPoi ti sei fermata ed hai dato tempo alla felicità di raggiungerti ...
Buona domenica, sotto lo stesso sole di Roma.
Flavio
Caro Flavio, sapessi quante vite ho vissuto lì, davanti a quella balconata... Quante illusioni, quante disillusioni, quante speranze, quante inquietudini. Ci ho scandito l'esistenza, là davanti. E ci ho portato frotte di persone che occupano meandri della mia mente e recessi del mio cuore. Buona domenica anche a te, e grazie di esser passato a trovarmi qui :)
EliminaCristina, il tuo post è scritto così bene che le mie semplici espressioni non basterebbero al suo valore. Ambra e Paolo hanno già saputo commentare come il testo merita. È che dire delle parole di Aldo...sono finita in lacrime e mi immagino la vostra successiva telefonata. Anch'io parlavo spesso con Aldo e so che ci era così vicino da non trovare parole, così come me. Cristina, sei sempre tu, e sicuramente puoi ritrovare le tue parole impetuose e sapienti dei sentimenti. Non scoraggiarti!
RispondiEliminaTi voglio bene ❤️
Cara, carissima Nou...
EliminaQuando stamane ho riaperto il post mi ha assalito una struggente nostalgia per questa Cri tormentata, sofferente, ma viva, e capace di amare la vita. Poi quando ho letto i commenti di Ambra e di Aldo sono finita in lacrime anch'io come te :)))
La sopraggiunta "maturità" di oggi, che indubbiamente mi giova per non scottarmi più come m'accadde allora, mi schiaccia anche però come una corazza, mi snatura: devo ancora imparare a maneggiarla, a metterla e a slacciarmela quando comincia a darmi fastidio o addirittura a non farmi più respirare. Ti ringrazio infinitamente delle tue care parole: sono proprio quelle che mi serviva di sentire.
Ti voglio bene anch'io <3 :*
PS.
RispondiEliminaAggiungo, lo volevo fare nel mio testo precedente, la frase di Flavio"...dare tempo alla felicità di raggiungerci..."
... e io quella di Paolo: "la felicità è prima di tutto un'attitudine"
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