Ieri sera si è avverato un paradosso spaziotemporale. Una cosa che se me l'avessero predetta non ci avrei mai creduto.
All'avvento della terza vittoria a mani basse dell'orribile banda B&B ero talmente disperata che per un mese ho smesso di informarmi sulle notizie. Le storie sugli eletti, le reazioni a caldo e a freddo, la composizione del gabinetto, i giuramenti davanti al presidente della Repubblica, l'ottenimento della fiducia nei due rami del Parlamento, sono un buco nero, qualcosa di cui non ho ricordi, come se quei giorni io li avessi vissuti in coma profondo. Ho solo memoria di come, scollegato il cervello dall'attualità politica e sociale, evitando come la peste bubbonica giornali e TV, passassi il tempo a disintossicarmi dalla contemporaneità vedendomi senza soluzione di continuità tutti gli episodi di Nero Wolfe con Tino Buazzelli e Paolo Ferrari.
Poi però la vita quotidiana ha reclamato attenzione. Non potevo continuare a sfuggirla in eterno.
Per fortuna, girellando sul web, sono incappata nel sito di Spinoza. Dove ho incocciato in un gruppo di cazzoni di talento che pigliavano per il culo ogni avvenimento lieto o tragico di cronaca e politica.
Lì è stata la svolta dell'esistenza. Ho scoperto che le notizie le digerivo solo così, mediate e purificate dalla forza satirica delle battute. Qualsiasi follia o illecito ulteriore commessi dall'orrenda e sgangherata compagnia che componeva la compagine governativa e quella parlamentare mi giungeva attutita e depotenziata grazie alla chiave di rilettura dell'ironia.
Mi cito (da un commento che ho postato sul blog di Mr Tambourine a dicembre 2010)
Spinoza è stato, nei suoi momenti migliori, e di sicuro in modo del tutto inconsapevole ed involontario, uno dei pochi antidoti, se non il miglior antidoto, al berlusconismo, inteso non solo come subcultura di massa, ma soprattutto come, diciamo, modello di potere in una società: un sottobosco di anonimi giacobini in fermento, una piccola comunità brulicante di anarchici individualisti irriverenti, genialoidi – alcuni raziocinanti, altri decisamente viranti sullo psicotico, ma tutti indistintamente e aprioristicamente cazzoni – che di fatto cooperava, spontaneamente e senza che i singoli se ne rendessero conto, alla creazione di un “unicum” tematico che era molto più della somma delle sue parti. Un esempio scorrettissimo, scalcinato e del tutto felice, di democrazia diretta. Altro che berlusconismo.
Capitava di tutto, in quei tempi bui, coda immonda di anni ed anni di progressivo impoverimento democratico e culturale. Leggi vergognose, macelleria sociale, duomi in faccia, violenza verbale, bunga bunga, discorsi populisti ai limiti dell'eversione. E io ne potevo ridere, distaccandomene. Ogni giorno portava la sua nuova pena. Però avevo scoperto un modo per fuggire. Tutto quello strame mi avrebbe toccata praticamente, ma non avrebbe influito sul mio umore, i miei sentimenti, le mie emozioni. Spinoza mi aiutava a rimanere libera, e resistente.
Non sarebbe stato solo questo il ruolo di Spinoza per me. Attraverso questa porta virtuale sarebbero entrate via via nella mia vita persone e situazioni che avrebbero rimesso in gioco tanta parte di me stessa.
E' di particolare significato perciò che in uno dei week end più luminosi di sole novembrino e gravidi di emozioni dei miei ultimi anni, degna conclusione di una settimana densa di rimescolamenti emotivi quanto e più di tutte le settimane della mia intera esistenza messe assieme, io mi sia trovata ad assistere alla caduta di Berlusconi seduta ad un tavolo di pub insieme a un piccolo ma ben rappresentativo gruppetto di spinoziani.
Che ora posso chiamare amici.
Con il virtuale che, per lo spazio di un pomeriggio e di una serata, si salda col reale.
E il cerchio si chiude. Nell'ennesima coincidenza, in una circostanza capitata pressappoco per scommessa, la cui minima sfasatura non avrebbe consentito una così esatta corrispondenza negli eventi.
E trovare questa briciola di senso mi conforta nella ricerca del senso più grande, quello che dà senso a tutto quel che io sono oggi, a tutto quel che provo, a tutto quello che prendo e che dono.
Lo piglio come un segno di speranza. Da quell'euforica, ostinata, entusiasta ottimista che sono e che, nonostante tutto, sempre resterò.