Accadono cose innaturali.
Mio figlio è maggiorenne.
Mia figlia è al liceo e piglia l'autobus da sola.
Io mi sono fatta i colpi di sole dal parrucchiere.
Quest'ultimo avvenimento è senz'altro il più inaudito. Anche perché erano quasi quindici anni che mi facevo tagliare i capelli in casa da qualcuno di buona volontà a scelta tra sorella o marito. Sono sempre stata una tipa "nature", molto snob nella mia semplicità tanto insistita e ricercata quanto subita per la superiore forma di accidia, un misto tra disinteresse, tedio e scoramento, che ha sempre connotato il mio rapporto con la mia femminilità, o perlomeno con l'esibizione di essa, e che probabilmente deriva dalla cristallizzazione dell'immagine interiore di me stessa in una bambina bloccata allo stadio edipico. Che è latrice di una sensualità lolitesca totalmente anacronistica, e perciò mette ancora, come quando aveva diciassette anni, le minigonne (sempre e solo quelle), indossa calze a disegni eccentrici e colori vivaci, calza vezzose ballerine a tacco basso o scarpette alla bebé col cinturino, ma non si cura di null'altro: per cui si mangia le unghie, non porta il reggiseno, non si trucca né si tinge la chioma brizzolata.
Quest'ultima cosa anche perché ho sempre pensato alla tintura come a qualcosa di posticcio. Come a voler dare una mano di colore malamente coprente su su un muro comunque sbreccato in modo irreparabile, o su una brutta carta da parati che non si riesce a grattar via. Il classico sepolcro imbiancato.
Molti hanno tentato di tentarmi, di indurmi a cambiare idea. "Ma prova, dai; poi se non ti piace cambi!", e io mi sono sempre schermita sorridendo. Mi ostinavo, oltretutto, nella convinzione di piacermi così.
Stavolta non so invece che m'è preso.
Quest'ultima cosa anche perché ho sempre pensato alla tintura come a qualcosa di posticcio. Come a voler dare una mano di colore malamente coprente su su un muro comunque sbreccato in modo irreparabile, o su una brutta carta da parati che non si riesce a grattar via. Il classico sepolcro imbiancato.
Molti hanno tentato di tentarmi, di indurmi a cambiare idea. "Ma prova, dai; poi se non ti piace cambi!", e io mi sono sempre schermita sorridendo. Mi ostinavo, oltretutto, nella convinzione di piacermi così.
Stavolta non so invece che m'è preso.
Tutto originò da un dialogo di lunedì mattina scorso tra due personaggi: me ed il mio capo quasinuovo.
(Il mio capo quasinuovo non è un golfino che ha fatto pochi lavaggi. E' il mio nuovo dirigente - nuovo da aprile, avendo sostituito il precedente rudere della Magna Grecia, quello dagli occhi vitrei che con buffi pigiamini, tra una cosa e l'altra, s'è intrufolato variamente nei miei sogni oltreché nella mia vita per più di vent'anni, cedendo alle mie manovre di seduzione emotiva fuori tempo massimo e dovendo perciò ritrarsi nel suo cantone con rimpianto ed ignominia - che ugualmente da più di vent'anni conosco, anche se per lungo tempo è stato un collega e non un superiore. Da cui capo quasinuovo.)
Io e il capo quasinuovo non ancora capo abbiamo litigato non appena ci siamo conosciuti e da lì non abbiamo praticamente mai più cessato di farlo. Perché abbiamo lo stesso carattere impaziente, fumante ed affettuoso, ci stimiamo parecchio, ci facciamo sangue e ci capiamo al volo.
E forse è giunto al momento giusto. Perché, quando lunedì mi ha detto perentorio, con un tono di voce che contrastava coi suoi occhi che il taglio curiosamente orientale (lui in realtà è romano de Roma) fa sembrare sempre ridenti, "Cri, tu hai da fa' qualcosa a 'sti capelli, anzi, due: tagliarli corti e fatte i corpi de sole. Devi sembra' più signora, più grande. Così nun sei credibbile, me pari la moglie de Frankenstein, quella del film, coi capelli a onde co' la frezza bianca" io, invece di far, come al solito, transitare queste esortazioni nella testa per il tempo necessario a farle entrare da un orecchio ed uscire dall'altro, non so com'è, ho cominciato a pensarci, e mi son convinta.
Non abbastanza, comunque, da non tirar tardi la sera in ufficio.
La mattina dopo rifaccio il percorso in corridoio verso la mia scrivania, lui mi vede da lontano e mi fa a voce altissima: "niente, eh?"
"Fa', ho fatto tardi ieri sera..."
"Oggi ce vai, però!"
"Nun c'ho manco i soldi appresso..."
Che è, un problema di soldi? Te li presto io, ma vacce!"
"Fa', ho fatto tardi ieri sera..."
"Oggi ce vai, però!"
"Nun c'ho manco i soldi appresso..."
Che è, un problema di soldi? Te li presto io, ma vacce!"
"No, no, per carità, esco presto, faccio il bancomat e vado".
E così sono andata obbediente verso il mio destino.
Alle quattro e un quarto ho messo piede dentro il negozio della parrucchiera cinese davanti a casa. Atmosfera rilassata, serena. Pieno così di genti che via via sono finite sotto le mani di Anna, la giovane titolare, o di una delle sue tre ragazze che non ho capito bene se siano legate a lei da vincoli di parentela, o di amicizia, o siano solo semplici dipendenti.
Anna è il nome italianizzato di questa donna bella dal viso duro e un po' ermetico, sempre pacata, attentissima, pronta a qualsiasi richiesta delle sue clienti e dei suoi clienti, capace di far fronte a tutte le evenienze.
Sono entrate persone fino alle sette - oltre non so, perché avevo finito e me ne sono andata - chiedendo anche trattamenti lunghi e complicati, e lei non ha rifiutato nessuna.
Lei e le sue ragazze sembrano api operose, le mani sempre in movimento, via una sotto l'altra, senza riposare mai, senza un cenno di stanchezza né di cedimento. Il muro culturale che le separa dalle loro clienti italiane, costantemente reinnalzato da un loro modo di comunicare con gesti e suoni ora dolci ora gutturali che sistematicamente innescano vivaci e soavi scoppi di risa, viene ripetutamente trapassato, senza difficoltà, da poche parole pronunciate in un buon italiano ingentilito dall'assenza del rotacismo, a cui le donne autoctone rispondono timidamente ma con gratitudine.
Io mi sono portata un libro, ma non riesco nemmeno ad aprirlo. Osservo e ascolto tutto, affascinata da quel ronzare ipnotico, suadente, rassicurante, e mi chiedo, quando arriverà il mio turno, come sarà essere manipolata da quelle piccole mani delicate e decise.
Tocca a me. Anna mi chiede di scegliere il colore delle mechés. Non ne ho idea, dico, voglio solo coprire i capelli bianchi, mi fido del tuo giudizio di esperta. Lei allora fa un gesto d'intesa e dice, in italiano perché io comprenda, ad una delle lavoranti: "allola biondo chialissimo. E fanne tante e sottili."
Dopo tocca al taglio. Arriva l'altra ragazza che mi volteggia intorno adoperando le forbici con una tale leggerezza e velocità che non si riesce a percepire il movimento delle punte.
Poi una terza mi asciuga e stiracchia i capelli per quello che mi pare un tempo infinito, che mi godo ad occhi chiusi per la carezza rilassante delle sue mani. Pare uno scultore, un cesellatore. Non è mai soddisfatta, aggiusta una ciocca qui, piglia le forbici e spunta là, mi tira la testa indietro, poi avanti, con dolce determinazione. In ultimo mi rifinisce con un tocco di gel, mi spruzza abbondantemente di lacca, si tira indietro e mi dice di guardare. E' fatta.
Tutto il negozio si ferma per un attimo. Le altre clienti si danno di gomito. "Guarda la signora! I colpi di sole! Che spettacolo! Non sembra più lei!"
Io sono bionda, adesso, in testa, e rossa come un pomodoro maturo sulle guance. Non riesco a guardarmi allo specchio, davvero non mi sembro più io.
Anna sorride della mia emozione. Mi fa lo scontrino e me lo porge dicendo "Dieci anni di meno".
Subisco per un paio di giorni la festosa accoglienza da parte di colleghi, parenti e amici, di questa nuova Cri mai vista prima. Una processione di gente in preda ad una buffa euforia commenta con toni coloriti il mio nuovo stato di donna rinnovata nell'immagine, dagli uscieri del palazzo dell'ufficio al ragazzo dei bagni, dall'amico di mio figlio ai miei amici virtuali. Molti accorrendo a lasciare le loro affettuosissime osservazioni nella mia bacheca di FB, molti in messaggio privato. Luz in tutti e due i posti, lì e qui (cara Luz)!
Il commento più bello lo fa Vincenzo, il mio amico sardo di pochissime parole: "è come se ti fossi ricordata di te, e ora guarda che risultati".
E da lì capisco che io, che non volevo tingermi perché non volevo diventare finta, invece ho tirato fuori qualcosa di autentico da me stessa. Che questa nuova Cri somiglia più a me di quella di prima.
Ad ogni modo molti ripetono le parole di Anna, cercando di convincermi di avere, ora, dieci anni di meno.
Dunque ora ne ho sette, e sono pressappoco così,
Anna è il nome italianizzato di questa donna bella dal viso duro e un po' ermetico, sempre pacata, attentissima, pronta a qualsiasi richiesta delle sue clienti e dei suoi clienti, capace di far fronte a tutte le evenienze.
Sono entrate persone fino alle sette - oltre non so, perché avevo finito e me ne sono andata - chiedendo anche trattamenti lunghi e complicati, e lei non ha rifiutato nessuna.
Lei e le sue ragazze sembrano api operose, le mani sempre in movimento, via una sotto l'altra, senza riposare mai, senza un cenno di stanchezza né di cedimento. Il muro culturale che le separa dalle loro clienti italiane, costantemente reinnalzato da un loro modo di comunicare con gesti e suoni ora dolci ora gutturali che sistematicamente innescano vivaci e soavi scoppi di risa, viene ripetutamente trapassato, senza difficoltà, da poche parole pronunciate in un buon italiano ingentilito dall'assenza del rotacismo, a cui le donne autoctone rispondono timidamente ma con gratitudine.
Io mi sono portata un libro, ma non riesco nemmeno ad aprirlo. Osservo e ascolto tutto, affascinata da quel ronzare ipnotico, suadente, rassicurante, e mi chiedo, quando arriverà il mio turno, come sarà essere manipolata da quelle piccole mani delicate e decise.
Tocca a me. Anna mi chiede di scegliere il colore delle mechés. Non ne ho idea, dico, voglio solo coprire i capelli bianchi, mi fido del tuo giudizio di esperta. Lei allora fa un gesto d'intesa e dice, in italiano perché io comprenda, ad una delle lavoranti: "allola biondo chialissimo. E fanne tante e sottili."
Dopo tocca al taglio. Arriva l'altra ragazza che mi volteggia intorno adoperando le forbici con una tale leggerezza e velocità che non si riesce a percepire il movimento delle punte.
Poi una terza mi asciuga e stiracchia i capelli per quello che mi pare un tempo infinito, che mi godo ad occhi chiusi per la carezza rilassante delle sue mani. Pare uno scultore, un cesellatore. Non è mai soddisfatta, aggiusta una ciocca qui, piglia le forbici e spunta là, mi tira la testa indietro, poi avanti, con dolce determinazione. In ultimo mi rifinisce con un tocco di gel, mi spruzza abbondantemente di lacca, si tira indietro e mi dice di guardare. E' fatta.
Tutto il negozio si ferma per un attimo. Le altre clienti si danno di gomito. "Guarda la signora! I colpi di sole! Che spettacolo! Non sembra più lei!"
Io sono bionda, adesso, in testa, e rossa come un pomodoro maturo sulle guance. Non riesco a guardarmi allo specchio, davvero non mi sembro più io.
Anna sorride della mia emozione. Mi fa lo scontrino e me lo porge dicendo "Dieci anni di meno".
Subisco per un paio di giorni la festosa accoglienza da parte di colleghi, parenti e amici, di questa nuova Cri mai vista prima. Una processione di gente in preda ad una buffa euforia commenta con toni coloriti il mio nuovo stato di donna rinnovata nell'immagine, dagli uscieri del palazzo dell'ufficio al ragazzo dei bagni, dall'amico di mio figlio ai miei amici virtuali. Molti accorrendo a lasciare le loro affettuosissime osservazioni nella mia bacheca di FB, molti in messaggio privato. Luz in tutti e due i posti, lì e qui (cara Luz)!
Il commento più bello lo fa Vincenzo, il mio amico sardo di pochissime parole: "è come se ti fossi ricordata di te, e ora guarda che risultati".
E da lì capisco che io, che non volevo tingermi perché non volevo diventare finta, invece ho tirato fuori qualcosa di autentico da me stessa. Che questa nuova Cri somiglia più a me di quella di prima.
Ad ogni modo molti ripetono le parole di Anna, cercando di convincermi di avere, ora, dieci anni di meno.
Dunque ora ne ho sette, e sono pressappoco così,
o così.
O magari così.
Grande post, grande look, grande Cina, grande Fabio... Fa' un po' tu. Era ora sorè!
RispondiEliminaP. S. Ora dunque sono io la sorella "maggiorenne", e mi devi portare rispetto :) <3 <3 <3
:D
RispondiElimina:*
<3
(Che faccio, Lisa, me fermo? O proseguo verso l'ignoto? ^^)
Se posso permettermi, e vale anche per l'ultimo post, prosegui verso l'ignoto. Fallo anche per tutti noi.
RispondiEliminaGrazie, Gap, mi serviva solo una motivazione. E la tua m'ha convinto. :D
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