Ora, premetto che nella mia sciagurata prima giovinezza ho avuto la debolezza di amare certuni cantautori non trendy, i cosiddetti "impegnati". (Andavo dalle suore, non avevo il permesso di avere una vita sociale degna di questo nome, figuriamoci di partecipare alle manifestazioni. E dalle suore le uniche briciole di coscienza civile che ci venivano offerte, anzi, propinate, erano quelle che riguardavano la propaganda pro obiezione di coscienza contro l'aborto. Solo certe volte, col nostro professore di religione, un gesuita giovane e fascinoso giornalista di Civiltà Cattolica, abbiamo avuto occasione di fare dibattiti su temi meno scontati, come le motivazioni religiose, civili e giuridiche per esser contrari alla pena di morte. Per il resto, mi ricordo ancora quando venne a farci vigilanza ad un compito in classe di latino una ex allieva in procinto di laurearsi a Lettere quando facevamo, mi sembra, il quarto anno, la seconda liceo, in un istituto dove l'unico giornale che entrava era Il Tempo, il cui allora direttore, Gianni Letta, era una stimata e riverita conoscenza di cui gloriarsi. Alla poveretta ingenua democratica supplente venne in mente, per ingannare il tempo, di spiegarci la questione delle basi Nato sul territorio italico. Cosa di cui noi ignoravamo assolutamente l'esistenza, e che suscitò una piccola rivoluzione nelle nostre menti e una subitanea repressione e censura da parte delle autorità scolastiche, preside monaca in testa.) Ossia, ignoravo gente come De Gregori o Guccini - di quest'ultimo cantavo solo "Dio è morto" durante le nostre messe beat post conciliari che oggi son roba d'avanguardia messa al bando dalla restaurazione giovanpaolinaseconda, e l'Avvelenata nel segreto di stanzette isolate dove ci rinchiudevamo in raduni carbonari con le mie compagne - e amavo invece Baglioni (vabbé), e poi Cocciante, e Branduardi. 'Sti due forse accomunati, nella mia mente, non dal filone artistico, ma dalla zazzera. Ché per il resto, poi, avevano ben poco a che spartire l'un con l'altro.
Insomma, tutta 'sta digressione per spiegare il perché una canzone tanto strana possa venirmi in testa. Una canzone sull'amore che è una filastrocca suonata sulle prime cinque note, Doremifasol. Una canzoncina scema, da bambini, che fa sbellicare dalle risa tutti quelli a cui l'ho fatta ascoltare. Invece a me pare così terribilmente espressiva, col suo assunto incontrovertibile, la sua tautologia declinata in tante forme diverse ed essenziali, la semplicità logica coniugata ad una tale linearità melodica. Perché una cosa così drammatica, così potente, non si può comunicare con maggior efficacia di questa, sintetizzata all'estremo, sfrondata di ogni orpello, eretta nella sua immacolata verità.
Ci ho pensato tutto ieri a questa sciocca filastrocca. Ieri quando sono stata alla camera ardente e ho visto nella bara un cereo simulacro che sostituiva malamente un giovane e vitale essere umano che non è più in mezzo a noi. Ieri, quando in una lunghissima, estenuante cerimonia di commiato, centinaia di persone, ragazzi, insegnanti, genitori, si sono stretti intorno ad un impalpabile assurdo, alla messa in scena del proprio fallimento, perché quando un ragazzo di diciotto anni si leva dal mondo è un fallimento collettivo, all'esibizione oscena di una ferita aperta nel cielo, uno squarcio sanguinolento, da cui trapelava una tenebra tagliente che ha lacerato tutti i nostri cuori. E mentre noi madri ci piegavamo in due dagli spasmi di un novello parto, perché in quella bara c'era un pezzo di ciascun nostro figlio, e un pezzo di Gianmarco restava in ciascuno dei nostri ancora vivi che noi stavamo rimettendo al mondo in quell'istante, e abbracciavamo le une i figli delle altre dicendo a tutti, indistintamente, "figlio mio, figlio mio", e ci abbracciavamo le une le altre chiamandoci "sorella" e implorandoci aiuto reciproco, gridando piangenti "ho paura, ho paura", "dove ho sbagliato?", una delle insegnanti più giovani, madre anch'essa, compiva una riflessione che facevo mia, sulla difficoltà odierna di venire a patti con un'autenticità del proprio essere, resa ancora più ardua dalla prepotente invasione del mondo virtuale sul reale, in una preponderanza che ingoia i fragili, ipertrofizza gli ego narcisisti, sostituisce le relazioni con proiezioni di sé solitari, cala maschere e corazze sulle tenere carni dei nostri ragazzi, di tutti noi, e arriva a compromettere le nostre esistenze al punto di creare il rischio concreto, quando si sostituisce all'effettiva esperienza quotidiana con gli altri il rifugio in uno scenario mentale autocostruito e costantemente alimentato in cui tutto si confonde e in cui tutto è reversibile come in un videogioco, di poter puntarsi sorridendo una pistola in mezzo alla fronte con una sorta di cecità delle conseguenze. "I ragazzi" concludeva con un mezzo sorriso doloroso "mi hanno raccontato che in seguito a questa tragedia hanno cominciato ad abbracciarsi per la prima volta gli uni gli altri, e hanno scoperto quanto fa bene scambiarsi questi contatti fisici, e quanto ne avessero bisogno. E io ho chiesto loro: ma perché non l'avete mai fatto prima?"
Ecco, se un senso c'è stato ieri, è stato in questo, nella disperazione così assoluta di uomini e donne di ogni età che hanno piegato le ginocchia davanti all'ineffabile, chinando la testa e lasciando cadere le maschere, e poi si sono rialzati a stento, sorreggendosi gli uni gli altri, in abbracci di genuino amore. Perché quando si è nudi, quando si è all'osso, ci si incontra, e ci si ama.
Eros è l'unico antidoto a Tanatos. E quando il dolore si fa amore si fa canto. Un canto di bambini.
Il bruco non ce l'ha
la mela non ce l'ha
il ramo non ce l'ha
e l'albero non ce l'ha
la cassetta non ce l'ha
piena di mele non ce l'ha
ed anche il camion non ce l'ha
l'uso dell'amore
l'amo non ce l'ha
il sughero non ce l'ha
la lenza non ce l'ha
la canna non ce l'ha
il cestino non ce l'ha
pieno di pesci non ce l'ha
e anche il fiume non ce l'ha
l'uso dell'amore
Dicono che c'è
dicono com'è
senza dire mai
cosa ne puoi fare
dicono dov'è
dicono quand'è
ma è un mistero in sè
l'uso dell'amore
dicono di te dicono di me
e non sanno che
io lo imparerò da te
tu lo imparerai da me
la cruna non ce l'ha
e l'ago non ce l'ha
il filo non ce l'ha
il punto non ce l'ha
e l'abito non ce l'ha
pieno di tasche non ce l'ha
anche l'armadio non ce l'ha
l'uso dell'amore
Dicono che c'è
dicono com'è
senza dire mai
cosa ne puoi fare
dicono dov'è
dicono quand'è
ma è un mistero in sè
l'uso dell'amore
dicono di te dicono di me
ora che lo so da te
ora che lo sai da me
l'America ce l'ha
l'Africa ce l'ha
e l'Asia ce l'ha
l'Antartide ce l'ha
Atlantide ce l'ha
se pure non l'aveva già
tutto il mondo ha
l'uso dell'amore