mercoledì 30 maggio 2012

La pietà

Clelia gli aveva scritto da un paese della Riviera, dicendo che ci era andata in automobile con certe amiche conosciute in montagna e di cui sarebbe stata ospite, senza dargli né il nome di queste amiche, né il preciso indirizzo.
Questo evidentemente per tema ch'egli la raggiungesse o le scrivesse. Ella non voleva che le sue amiche sapessero della sua situazione irregolare. Aveva un vero terrore patologico per questo, e Adolfo conosceva e rispettava questo sentimento. Ma lei non s'era più fatta viva da diversi giorni e Adolfo era irritato per questa noncuranza, e anche sospettoso di chi sa quale situazione in barba a lui. Non riusciva ad impedire alla propria fantasia di vedere Clelia in riva al mare, in mezzo a una cerchia di corteggiatori. Immaginava che le amiche avessero dei fratelli giovani e galanti (forse dei guardamarina in vacanza estiva), certo dei conoscenti che andavano a trovarle e coi quali ballavano, facevano i bagni, organizzavano pranzetti in casa. Immaginava che nella villa ci fossero soltanto i giovani. Con la fantasia, li vedeva tornare dalla spiaggia, armeggiare allegramente in cucina per prepararsi il pranzo, prendere l'aperitivo nella sala di soggiorno. Soprattutto immaginava una vasta sala di soggiorno e chi seduto in terra, sui cuscini, chi nelle poltrone, conversando e facendo andare il grammofono nelle ore calde in una luce velata dalle tende.
Così gli era cresciuto un contenuto furore. Avrebbe voluto fare una sorpresa a Clelia. Piombarle in casa. Coglierla sul fatto. Ma se la situazione fosse stata innocente? Pensava anche che era una vigliaccheria esporla a una brutta figura, in ogni caso. Ma d'altronde, se lei voleva evitare questo, avrebbe dovuto avere un po' più di riguardo per lui, scrivergli, dirgli tutto, che diamine! Se voleva avere una certa libertà, bisognava pure che lo tranquillizzasse.
Nelle prime ore del pomeriggio, deciso a piombare sul paesetto e cogliere Clelia sul fatto, a costo di guastarle la villeggiatura esponendola a una brutta figura presso le amiche, girava di cattivo umore per Milano in automobile cercando, per distrarsi, un diversivo galante.
Tra le persone in attesa a una fermata di tram vide una bella ragazza sola. Rallentò, si fermò poco lontano e si volse a guardare. Cauto, perché in questi casi gli pareva che tutti indovinassero le sue intenzioni. Dal gruppo si mosse un uomo che gli faceva cenno d'aspettarlo. Adolfo pensò che fosse con la ragazza e volesse dirgliene quattro, ma poi riconobbe un conoscente, un certo Battiselli. Lo incontrava spesso in tram perché abitava dalle sue parti e in queste occasioni costui lo irritava un po' perché - evidentemente per farsi sentire dagli altri passeggeri - parlava ad alta voce dicendo per esempio:
"Sono stato la settimana scorsa negli Stati Uniti, a Pittsburg, a New York, a Chicago. Il mese prossimo andrò in Brasile... Debbo fare un giro in California per stabilire rapporti con quelle camere di commercio... Ho rivolto un messaggio per radio al governo..."
Gli altri passeggeri sogguardavano incuriositi questo personaggio che parlava di ministri e di continenti come fossero faccende di casa sua.
Il fatto è che dopo la guerra, Battiselli aveva creato una pubblicazione di propaganda economica-finanziaria, che gli consentiva questi viaggi e questi rapporti. Ma, a parte l'ingenua mania di pavoneggiarsi in tram, aggravata da un alito un po' forte, Battiselli era un brav'uomo. Attaccatissimo alla famiglia. Spesso in tram era con sua moglie, una brunetta giovanissima e graziosa, e si capiva che i due si volevano molto bene. Avevano anche due belle bambine, una nata da pochi mesi, e una sera avevano invitato a casa Clelia e Adolfo, che ammirò la famigliola felice. Tra la moglie, le bambine, i viaggi oltreoceano e i messaggi alla radio, Battiselli aveva proprio l'aria di un uomo beato.
Qualche volta, anche, Adolfo lo incontrava in tram dopo cena, che andava al cinema con la moglie giovane e graziosa; parevano due sposi innamorati e ad Adolfo si stringeva il cuore quando gli domandavano di Clelia, che allora se ne stava all'estero per studiare.
Poi, comperata l'automobile, Adolfo li aveva persi di vista. Soltanto una mattina dell'autunno precedente, lui e Clelia trovandosi a Salsomaggiore, avevano incontrato fuori dello stabilimento termale, la signora Battiselli con la maggiore delle sue figlie. Con voce quasi afona, la signora spiegò che stava curando con inalazioni un postumo di raffreddore. Cosa da nulla, disse; ma parve ad Adolfo che negli occhi di lei passasse, rapida come un lampo, l'ombra d'un segreto terrore, quasi fosse lei a domandare agli altri più precise notizie della propria salute, a scrutare negli occhi degli altri una paurosa immagine di sé.
La incontrarono dopo qualche mese a Milano e a gesti più che a parole ella disse, sempre afona, che quel fastidioso abbassamento di voce continuava.
Seccato perché Battiselli veniva involontariamente a rompergli le uova nel paniere, Adolfo finse ormai d'essersi fermato per lui, come l'altro forse aveva creduto, e lo invitò a salire in automobile, rassegnato a sentirsi fare i soliti discorsi sui viaggi oltre oceano e sui messaggi per radio. Ma alla domanda "E la signora?" Battiselli congestionato balbettò che sua moglie stava morendo. L'abbassamento di voce s'era rivelato conseguenza d'un male tremendo e inguaribile e la giovine donna aveva i giorni contati. Irriconoscibile da quello d'un tempo, Battiselli aveva perso tutta la baldanza. Non parlava che di questo, come s'aggrappasse disperatamente a qualcuno per raccontare, per confidarsi. Ella era all'oscuro del proprio stato, credeva di poter guarire. Né poteva parlare di questo con le bambine, le quali pure ignoravano la gravità del male materno e s'aspettavano da un giorno all'altro di vederla tornare a casa dalla clinica dove non erano condotte. Tanto che il marito ormai sperava soltanto che la morte al più presto troncasse questa sofferenza. Piangendo Battiselli aggiunse particolari pietosissimi. Tra l'altro alla moglie da qualche tempo si spezzavano le ossa come fossero di gesso appena s'alzava dal letto. Nella clinica ne piangevano perfino le suore e i medici, che pure sono abituati a vedere sofferenze.
Adolfo, che poco prima aveva pensato di fare un telegramma violento a Clelia e raggiungerla per dirgliene quattro, dopo che ebbe sentito Battiselli considerò con spavento quello che stava per fare. "Se anche Clelia..?" pensava. E gli veniva spontaneo di ringraziare il Signore del fatto che Clelia a lui procurasse soltanto quel trascurabile malumore e non gli desse un dolore come quello che, senza volerlo, la povera signora Battiselli dava al marito; e ringraziare il Signore che ella stava bene. Gli parve ben povera cosa il proprio dramma, appetto a quello di Battiselli, confrontava le proprie con le costui ragioni d'esser d'umor nero, concludendo ch'egli avrebbe dovuto esser felice. Siamo sempre pronti a renderci infelici, se di questo c'è una causa, ma non ci rendiamo conto di quando dovremmo esser felici.
Ora vedeva con la fantasia Clelia non più al centro d'una cerchia di corteggiatori in una sala di soggiorno al mare, ma al centro d'un panorama di umanità che s'arrabattava, ciascuno per fare la propria vita, a cominciare da lei; e pensava: "Lasciamo vivere!" e: "Poi si muore".
Se non si morisse, l'uomo sarebbe molto più feroce e cattivo di come è. Il "poi si muore" è l'unico freno, anche se non quanto dovrebbe esserlo. Certo, se questo pensiero l'avessimo sempre davanti, evidente, fattivo, saremmo molto più buoni, molto più disinteressati e indulgenti.
Per concludere con Battiselli, dopo circa un anno Adolfo lo incontrò al Circolo. Battiselli gli disse che la moglie era morta. Per le bambine aveva preso un'istitutrice. Stava in compagnia di una signora e ballava.

6 commenti:

  1. Il "poi si muore" è in effetti l'unico freno.
    Visto come ha fatto in fretta il Battistelli a consolarsi dopo la morte dlla consorte?
    Credo sia il tipico umorismo di Campanile.

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    1. Campanile conosceva assai bene l'animo suo e quello dei suoi consimili.

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  2. La domanda si giustifica solamente con la poca conoscenza che ho del tuo blog, quindi, la faccio: ma l'hai scritta tu sta storia? Bella.

    Ciao Cri e buon pomeriggio. Un bel racconto, complimenti. Una delicata rassegna delle tante debolezze e insicurezze dell'animo umano. Aspetti sui quali, in genere, pochi riflettono. La gelosia, per esempio, spesso viene definita come una manifestazione dell'amore per un'altra persona e, quindi, essa stessa è amore. Invece, per come la considero io, è solo un sintomo (dei tanti) dell'insicurezza e della fragilità di chi la esprime e, l'amore, non centra nulla. A riprova, il più delle volte lo uccide. Insicurezza che, poi, si potrebbe tradurre nella poca stima che si ha di se stessi. E questo Adolfo, di autostima ne ha un po poca, visto che manifesta anche un pochino di invidia per quello che sono o appaiono gli altri. Nell'antipatia verso il tipo che incontrava in tram e che apparentemente sembrava un uomo di successo, intravedo un po di invidia.

    Comunque, bel racconto, ricco di spunti di riflessione... e poi, alla fine ti rilassa pure che, di questi tempi, non guasta!

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    1. Eh, il racconto è davvero bello perché è del grandissimo Achille Campanile ;)
      (E sulla riflessione sulla gelosia in questi giorni mi trovi stra d'accordo. Oh, come mi trovi d'accordo... :) )

      E' vero, il racconto rilassa. Come tutte le cose che ti inducono a riflettere con un pizzico di saggezza e un sorriso.

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    2. La domanda si giustifica solamente con la poca conoscenza che ho del tuo blog... ma anche di Achille Campanile!!!! (rido ma, forse, mi sono perso qualcosa!! Beata ignoranza!!)

      Comunque, nell'ultima parte della tua replica, non so perché ma percepisco un sottile sarcasmo!!!

      Ciao, buona serata.

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    3. No, Carlo! Alle volte lo sono, sarcastica (mi riesce un po' male, in verità, sono troppo fessa e diretta, ma io ci provo comunque!) ma non stavolta. Davvero penso che, se si riflette saggiamente e col sorriso sulle labbra sulle cose, si attua un distacco che è salutare e rilassante, quando non consolatorio...

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