Ieri giornata di incredibili agnizioni, complicazioni, afflizioni, irritazioni, determinazioni, concentrazioni, emozioni, buffe sensazioni, ambivalenti attrazioni, imbarazzate rassegnazioni. Dì di molto rumore per nulla, di scoperte dell'acqua calda, di tutto qua?, di montagne che partoriscono topini, di microscopici cataclismi, tra ridarelle convulse e frenesie imbrigliate per il tempo di un battito di ciglia.
Poi, finalmente, oggi è un altro giorno. E quando mi sveglio realizzo che mi tocca andare in ufficio.
Dove trovo tutto esattamente come l'avevo lasciato giovedì. Perché le due colleghe che stanno svolgendo al momento la mia stessa mansione - loro in tandem, io da sola - non son state in grado di fare, insieme, tra venerdì e lunedì, un terzo del - poco - lavoro che io autonomamente ho svolto giovedì in un paio d'ore scarse.
E non si tratta di un caso di inefficienza della pubblica amministrazione, eh. Le due in questione sono operose e impegnate. C'è proprio una differenza di potenziale in termini di elasticità, tempi di reazione, capienza energetica mentale.
E io che sto sempre a colpevolizzarmi perché mi pare di perdere tempo in continuazione.
Perché, perché ho consentito a venirmi a seppellire qua dentro? Posso io passare dieci ore al giorno con gente che, quando sono arrivata al Gloria, sta ancora alla prima Avemaria del rosario?
E' una frustrazione che mi accompagna da oltre vent'anni. E meno male che, oltretutto, credevo con l'età di essermi rimbambita e di aver perso smalto.
Vedi, non c'è mai da disperare: nella P.A. si trova sempre l'opportunità di rinforzare la propria autostima. Ad esempio quando una delle due colleghe testé menzionate mi guarda perplessa abbrancare con decisione le pratiche e si azzarda ad offrirsi, incuriosita e collaborativa: "vuoi una mano, Cri, almeno per la prima? Tu detti e io scrivo? No, perché è troppo complicata, ha proprio un sacco di dati, eh, avevamo cominciato a darle uno sguardo ieri, hai visto quante particelle ?"
"No, grazie" sorrido "preferisco far da me, ma grazie."
Un quarto d'ora dopo questo scambio di battute arriva Claudio: vuol portarmi a far colazione alla macchinetta del sesto piano per spettegolare un po'. Io accetto. Tanto la pratica l'ho già finita.
Povero Claudio, è ciarliero e stimolante come sempre, ma non riesce a dissimulare del tutto un certo qual abbacchiamento. Quando torniamo giù prima di separarsi da me lasciandomi davanti alla porta della mia nuova stanza mi soffia nell'orecchio, svaporando come una pentola sul fuoco vicina al punto di ebollizione: "Cri, io non posso più sta' zitto, te lo devo dì. Non capisco come faccia il capo a reggere 'sta situazione, di là va tutto a ramengo, le cose da fare sembrano diventate una marea, non se ne vede mai la fine. La verità è invece che, semplicemente, quelle tre che ora stanno al posto tuo, tutte e tre insieme, non riescono a completare la metà delle cose che mandavi avanti tu!"
E adesso sto scrivendo perché sono in pausa e, come se dice a Roma, me gratto. Sbrigato tutto l'incredibile e delicatissimo arretrato della scorsa settimana, sono totalmente sfaccendata. Sarà che il mio cervello è tarato su un'altra velocità rispetto al resto dell'ufficio, e devo rassegnarmi ad aspettare che gli altri mi raggiungano. Mi sento un po' Coppi alla Milano-Sanremo del 1946, quando alla radio annunciarono "Primo classificato Coppi Fausto; in attesa del secondo classificato trasmettiamo musica da ballo"; e hai voglia ad ascoltare musica, per riempire quattordici minuti di distacco!
Meno male che da domani ho due giorni di ferie. Così avranno un margine di vantaggio. Mica per altro, per non demoralizzarli troppo, 'sti poveretti.
(E io, comunque, tengo per Bartali)