venerdì 17 gennaio 2014

Il fanciullino

"Sta morendo tutto quello che mi sta intorno. Cose e persone più giovani di me mi muoiono davanti. E io..."
"E tu soffri e non capisci. Com'è il minestrone, Geppino?"
"Il minestrone è buono. Ma tu com'è che mi hai chiamato Geppino? Nessuno mi chiama più Geppino da secoli."
"Perché un amico, ogni tanto, ha il dovere di far sentire l'altro amico come quando era bambino."




(La Grande Bellezza sbaraglia gli Oscar europei, vince il Golden Globe e viene candidato all'Oscar come miglior film straniero. E io lo rivedo per la quarta volta, per espressa volontà del figlio entusiasta, sentendo come mi si svela in ulteriori epifanie minime e folgoranti, come mi si attacca alla pelle con ancor maggiore intensità, quanto mi si imprime dentro con ancora maggiore acutezza, fino a farmi piangere lacrime squisite per l'intensa emozione dolceamara di cui mi inonda, cagionata da scene e dialoghi come questo che qui riporto, e dallo stridore tra la meraviglia mozzafiato delle immagini e la dolente pietas dei volti sfatti e illanguiditi dalla malattia mortale che ciascuno dei protagonisti, come noi spettatori, si porta addosso, che diventa cifra di una cattiva solidarietà estenuata, tenerissima, e che sui titoli di coda, grazie anche alla struggente sinestesia completata dalla nenia musicale dei Kronos Quartet, finalmente trova sbocco e fluisce liberamente, gioiosamente, fuori di me, attraversandomi tutta. Grazie a Paolo Sorrentino, sardonico, arrogante, olimpico, generoso e umanissimo genio, a cui sento di essermi affezionata come ad una persona cara, che con questo film che mi germoglia dentro mi ha regalato una cosa preziosa che mi ha fatto e continua a farmi un gran bene.)

15 commenti:

  1. Pur ammettendo che non è il genere di film che più m'attrae, non posso rimanere insensibile davanti al tuo (vostro) commovente entusiasmo.
    E quindi...

    Che bello dev'essere trovar qualcuno che ti faccia sentire (bene) come quando si era bambini.

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  2. Sono contento che il film ti sia piaciuto sia a te che a tuo figlio e sono altresì contento per Sorrentino il quale abita da queste parti, accompagna suo figlio alla scuola qui vicino a me e si conoscono bene lui e Massimo con il quale ogni tanto giocano insieme non ricordo bene se a basket o a calcetto.

    ps. prendo la palla - dico meglio Alfredo - al balzo per eventuali futuri lavoretti. Grazie

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    1. Diamine, Aldo! Che cosa mi riveli! E a cosa mi hai fatto ripensare! Anch'io l'ho incontrato, Sorrentino, mesi e mesi fa, dalle parti della scuola, lungo la tua strada... Oh come son contenta di questa felicissima coincidenza! Che bello che Massimo ci giochi assieme a calcetto: perfettamente in linea con le parole del suo bellissimo film :)))
      (Purtroppo dalle tue parti non incontro solo Sorrentino: la settimana scorsa, per dire, ci ho incocciato Luca Telese...
      Di Alfredo disponi come più t'aggrada! :* )

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  3. E' piaciuto molto anche a me; l'ho visto subito dopo la sua uscita, prima del golden globe e della nomination all'oscar; all'epoca se ne avevo sentito parlare male e alcuni critici snob l'avevano quasi storncato.
    Leggo con piacere che sono in buona compagnia. :-)
    Ciao

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    1. Anch'io l'ho visto all'epoca, appena qualche giorno dopo la sua uscita nelle sale; e ne rimasi subito vivamente impressionata, facendo qua sopra un post chilometrico e assai barocco in merito :DDD
      Il piacere, pertanto, è reciproco. Assai reciproco!
      Ciao Berica :)

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  4. quando mi magnificano un film mi viene subito l'istinto del bastian contrario e non vado a vederlo, per quanto sorrentino mi piaccia, anche se this must be the place non mi aveva entusiasmato, la grande belllezza invece l'ho apprezzato molto, e ahimè mi sembra di riconoscere certi personaggi che gravitano intorno a Jep, e comunque la fotografia di certi luoghi romani è spettacolare

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    1. Sottoscrivo col sangue il concetto del bastian contrario; aderisco altresì appassionatamente alla mancanza di entusiasmo per this must be the place, che non sono riuscita a finire (e avevo invece cominciato con molta buona volontà, essendo già all'epoca grande estimatrice di Sorrentino per Il divo e Le conseguenze dell'amore) per carenza di motivazioni e di interesse; e stra concordo anche con tutto tutto il resto della tua riflessione ;)

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  5. Quando ho visto nel mio blogroll il titolo del tuo post "Il fanciullino" ho pensato che intendessi il Pascoli o forse anche Platone. Non avrei mai pensato a La grande bellezza, forse perché (o mi sbaglio?) mi sembra di aver letto da te già un'altra volta un post a tema di questo film. Forse ne abbiamo già parlato quando tu eri a Milano, ma non mi ha fatto impazzire questo film. Sicuramente è vero tutto quello che hai scritto, la fotografia, il fascino della decadenza e tutto quello che vuoi, ma è troppo vicino a La dolce vita e Fellini è troppo grande per essere raggiunto. Questo non significa assolutamente ch'io pensi che La grande bellezza sia da buttare, sarebbe stupido e presuntuoso da parte mia. Mi pare di ricordare che quando ne abbiamo parlato tu abbia detto "per forza, tu sei milanese". Mi aveva fatto ridere, ma forse è una giusta motivazione.

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    1. Non sbagli, Ambra mia; feci un pippone chilometrico all'epoca della sua uscita nelle sale, a maggio scorso, se non ricordo male... Forse a Milano abbiamo avuto un fugacissimo scambio di battute, probabilmente concluso con una battuta mia del tono di quella che riporti tu, senz'altro per sottolineare la positività dell'atmosfera civica meneghina rispetto alla decadenza "romana", e dicendo romana intendo un universo che, come sempre si rimarca, trascende la romanità hic et nunc...
      Sul fatto che sia troppo vicina a La dolce vita dissento: ho visto il capolavoro felliniano solo una volta, due al massimo, e parecchio tempo fa, dunque posso avere ricordi imprecisi, ma mi sembra che la Roma protagonista del film, le situazioni, i caratteri dei personaggi, fin agli intenti più remoti ed essenziali del regista, fossero dissimili. La dolce vita è un affresco potentissimo e davvero apocalittico, dove la particolarità delle singole situazioni era paradigmatica di un malessere e una sofferenza che trascendeva il concreto per toccare piani spirituali, quasi metafisici; e il film volava alto, alto, svelando abissi di abiezione e insensatezza e disperazione che erano già insiti nelle pieghe del boom economico, dietro lo splendore dei lustrini e dei flash, ad ogni voltar d'angolo di una strada dei mastodontici, osceni nuovi quartieri in costruzione, nell'espansione senza freni e senza regole della Roma dei palazzinari, in questa famelica corsa a costruire, a comperare, ad apparire, a divertirsi e a reinventarsi, snaturandosi, per togliersi di dosso le pezze al culo e la puzza di cadavere e di miseria del dopoguerra. Questo invece, tuttalpiù, è un rispettoso, affettuoso, persino commosso omaggio a quello, e peraltro non solo a quello: tutto il film è infarcito di dettagli che richiamano altre opere, del cinema d'autore fino a quello più trash, assemblate e composte con cura certosina e solo apparente svagatezza da un cinefilo colto e appassionato, rispettoso del suo e dell'altrui lavoro. Ma Sorrentino sa perfettamente che La grande bellezza non è accostabile a La dolce vita: non solo perché lui non è accostabile a Fellini, ma proprio perché la Roma di oggi, e il "generone" di oggi, non sono paragonabili a quelli di allora. Fellini descrive un affresco potente di una grande tragedia: Sorrentino non può, prima di tutto, e a parte tutto il resto, per il mero motivo che non c'è più alcuna tragedia da descrivere: la distruzione s'è ormai compiuta, si balla sulle rovine, e si vive un malessere che è sì sofferenza, ma una sofferenza post atomica, desolata, esausta, non più furente; e per ciò persino ironica, aggraziata, tenera, resa dolce dalla consapevolezza della condivisione di questo destino. Gep Gambardella è un uomo nuovo, pacificato, rassegnato: né buono né cattivo, conscio di se stesso, non accanito, capace di amare: indolente nel farlo, ma capace di amare, e di voler bene. Per quello mantiene "la vista": è attraverso i suoi occhi che noi vediamo inquadrature di Roma di incanto commovente, squisito, che muove alle lacrime: non c'è mai nulla, nella Roma di Gep - in questo diversamente da quella di Marcello Rubini - che non sia davvero di assoluta, esclusiva Grande bellezza. Gep non ha più niente, né ideali né illusioni né speranze, dentro di sè: ma ha ricordi, e capacità di guardare ancora il mondo con occhi di meraviglia, come il fanciullino di Pascoli. Tutto il film, in fondo, questo ci chiede: di accettare, quasi per attenuare la malinconia del nostro fallimento di adulti, la scommessa di regredire a fanciulli, contemplando a bocca aperta la città eterna: e qui sta la dolcezza della sua consolazione, come se Sorrentino ci dicesse "io non posso far niente per te, abbiamo perso tutto: tutto ciò che ci resta è la bellezza, e io posso solo mostrarti quella." E' come se ad uno che ha perso una gamba si facesse, invece di un intervento chirurgico, una carezza. Ma quando non si può fare altro, anche una carezza può valere tutto il mondo :)

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  6. In ogni modo il dialogo tiportato qua in cima è toccante non solo e non tanto perché in corrispondenza con lo stupore che ti attanaglia quando prima o poi, ti ritrovi che "sta morendo tutto quanto ti sta intorno", ma soprattutto perché quella familiarità del nome a sorpresa risveglia anche in noi il fanciullino nascosto inelle pieghe della nostra anima e che a tratti fa sentire la sua voce. Sono i momenti di gioia pura che il fanciullino regala all'adulto ormai immemore.

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    1. Ed ecco, questo tuo secondo commento corona meravigliosamente tutti i pensieri incasinati ed emozionati che io ho riversato sotto il tuo primo :)))

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  7. Una cosa e l'altra e non l'ho ancora visto. Adesso anche tu, dopo che amici e conoscenti me ne hanno parlato entusiasti. In settimana lo vedrò senz'altro. Buona serata.

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    1. Sono molto contenta di saperlo. E curiosa di quello che ne penserai ;)
      Buonanotte, Alberto :)

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