lunedì 31 dicembre 2012

Gilda

E' stata di certo una grande scienziata. E' stata una perseguitata delle leggi razziali. Ma nel mio ricordo vivo, reale perché frutto di esperienza diretta, lei è questo:


una formidabile, minuscola, fragilissima donna d'acciaio di novantasette anni che passa varie nottate di metà maggio 2006, indomita e disciplinata, assisa sugli scranni del Senato, per votare prima l'elezione a presidente del Senato di Franco Marini, e poi la fiducia al II governo Prodi, mentre i suoi colleghi maschi relativamente più giovani di lei si sfasciano esausti a ronfare sulle panche. E che poi, ad operazione conclusa, esce a piccoli passi, scortata dappresso ma non sorretta dal suo giovane segretario, per tornare a casa, tributando signorili, discreti e franchi sorrisi al diluvio di applausi della folla assiepata fuori da Palazzo Madama. In mezzo alla quale si distingue per esuberanza la detentrice di questo blog.
Ciao, fantastica, atomica Rita.

martedì 25 dicembre 2012

Mi ritorni in mente


(Grazie a tutti, domani rispondo! E per ora, a Natale finito e pericolo scampato, mi godo Freddie, un vero angelo, per me.)


Oh my love we've had our share of tears
Oh my friends we've had our hopes and fears
Oh my friend it's been a long hard year
But now it's Christmas
Yes it's Christmas
Thank God it's Christmas

The moon and stars seem awful cold and bright
Let's hope the snow will make this Christmas right

My friend the world will share this special night
Because it's Christmas
Yes it's Christmas
Thank God it's Christmas
For one night
Thank God it's Christmas
Yeah thank God it's Christmas
Thank God it's Christmas
Can it be Christmas
Let it be Christmas every day

Oh my love we live in troubled days
Oh my friend we have the strangest ways
Oh my friends on this one day of days
Thank God it's Christmas
Yes it's Christmas
Thank God it's Christmas
For one day

Thank God it's Christmas
Yes it's Christmas
Thank God it's Christmas
Wooh yeah
Thank God it's Christmas
Yeah yeah yeah yes it's Christmas
Thank God it's Christmas
For one day yeah - Christmas

lunedì 24 dicembre 2012

Nightmare before Christmas

E' da ieri che già mi è presa, puntuale, la sindrome depressiva delle feste.
Però, siccome vi voglio bene, mi faccio forza e vi auguro non so bene che a modo mio, nell'unica maniera possibile, quella di Jack.
Perché io, di fronte al Natale, esattamente come lui mi sento.
Speriamo che anche il mio film vada a finire come il suo.
Ma non precipitiamo gli eventi. Per ora godiamoci questo caleidoscopio con le orbite spalancate come le sue.
Auguri, Aldo, Ambra, Angie, Martina, Sandra, Bomba, Bruno, Endi, Minerva, Linda, Vania, Nick, Gap, Luz, Punzy, Nou, Carlo, Antonio, Mezza, Eli, Frà, Dan, Aube, Simo, Penny, Pat. E auguri a tutti gli altri che passeranno di qui, a quelli che ci capitano per caso, a quelli che ci capitano a mia insaputa,  a quelli che non ci sono mai passati, a quelli che non glie passa manco p'a capa, a quelli che ci sono passati e non ci passano più, che non dimentico.
Cos'è?

venerdì 21 dicembre 2012

L'amor che move il sole e l'altre stelle

"Dimenticate il resto e ditelo solo a me. Ditelo a me: come amico."

(Io lo so come ci si sente, quando i nervi e la mente ti imprigionano con lacci invisibili ma robustissimi. Conosco lo strazio lacerante, la mortificazione, lo scoramento. E cosa vuol dire sentire uno che ti parla così, che non si rivolge al tuo ruolo, alla tua maschera, ma al tuo autentico te stesso, all'essere umano che sei e che lui ti riconosce di essere, degno di attenzione e amore per il solo fatto di esistere.)

giovedì 20 dicembre 2012

Perpetuum mobile

Tutto scorre, tutto è moto. Armonico, elastico, fluido movimento di energia cosmica. Ed è gioia sentirsene microscopica, irripetibile parte, destinata a continui scarti infinitesimali di distacco e riassorbimento, immersione ed emersione, danzante sulla cresta dell'onda sinusoidale che ritma l'esistenza.

La giornata di oggi si apre con un freddo becco e con me che, lasciata la macchina lontano dall'ufficio, percorro a passi veloci Via Emanuele Filiberto cercando il sole come una lucertola intirizzita, finché, girato l'ampio angolo di Viale Manzoni, mi incanto a guardare l'espositore di DVD dell'edicola dappresso con concentrazione infantile, pastrocchiando mentalmente tra i film che ho nella testa e quelli che vorrei comperare, e sento alle mie spalle un "Cristina!" esclamato con voce fresca e melodiosa, e mi giro, e godo la visione della più bella centaura incontrata da parecchio tempo in qua, la professoressa di mia figlia (ed ex di mio figlio) che, a cavalcioni del suo motorino, da sotto il casco scuro che le contorna gli occhi splendidi, si abbassa sul mento il passamontagna, mi fa sorridendo "due bacetti al volo prima che scatti il semaforo!" e in una frazione di secondo mi porge la bocca a cuore, mi sfiora le gote e riparte vivace e leggera verso la scuola che l'attende; e si chiude con la pazienza e la pacatezza dell'uomo che ascolta le mie prodezze, i miei progressi, mi spinge a non sminuirli ma li colloca nel giusto alveo di semplicità e naturalezza ch'è proprio delle cose umane acciocché non mi si rivoltino contro, e che sulla porta, dandomi appuntamento ai primi di gennaio, mi saluta così: "Buone feste. E continua ad usare la forza" lasciando trapelare così il suo segreto: non è un terapeuta, è uno jedi.

E adesso mi rituffo nell'indistinta bellezza del divenire, in cui ad ogni istante frammenti si staccano da me, brulicante pulviscolo dell'universo, per trasformarsi e trasformarmi in qualcosa di incessantemente nuovo e diverso, e variamente ricombinato, insieme a tutto il resto.
(Buonanotte.)


martedì 18 dicembre 2012

Signora per un giorno

Ieri è stata una giornata da dimenticare.
Oggi è una giornata da ricordare.
Non perché sia successo chissà cosa.
Perché sono stata, coi miei atti, col mio comportamento, io a far succedere delle cose.
Non sono stata, come al solito, una bambina maltrattata.
Oggi sono stata un'adulta. Ho perseguito verità e giustizia, ho difeso diritti, ho ripristinato l'etica calpestata nei rapporti, ordine, armonia e serenità smarriti nel mondo. Ho rimesso ogni cosa al suo esatto posto. Ho innalzato gli umili, ho confuso i prepotenti. E senza eccedere, senza farmi coinvolgere. Senza perdere la testa, senza investirci emotivamente, senza spaventarmi prima né commuovermi poi. Non mi sono fatta confondere dalle minacce, né blandire dalle lusinghe.
In soldoni, non mi sono fatta fregare come al solito.

Oggi sono stata una signora. Signora per un giorno.
E ho fatto tutto da sola!

Le colleghe, stasera, prima di uscire, quando ormai era tutto tranquillo, mi hanno timidamente chiesto un resoconto.
"Cri, puoi essere fiera di te" hanno concluso poi, felici per me e anche per loro, perché vedere realizzate certe piccole cose da una persona è sprone, incoraggiamento e segno di speranza per tutti. "Puoi andare a scrivere sul calendario alla data di oggi: è stata una bellissima giornata."
(Qualcuna ha azzardato ammirata: "ma questa terapia funziona davvero!")

sabato 15 dicembre 2012

Cavalli ricamati

Ieri sera sono andata a teatro con estrema diffidenza.
E mi sono difatti inflitta tre ore di sofferenza.
Tre ore faticose, farraginose.
Purtroppo l'abbonamento annuale al Quirino, accanto a opere di qualità messe in scena da solidi professionisti, comprende anche robe simili, e allora, per non sprecare il biglietto, ho tentato la sorte, pur sapendo di fare un azzardo. E invece! Mi ero concessa di lisciare Barbareschi col Discorso del re, mi sono sorbita ben di peggio con questo. 
Lo spettacolo era un adattamento di Rain Man. Uno di quei filmacci hollywoodiani che affrontano storie improbabili con faciloneria frettolosa, ruffiani, scontati, scritti coi piedi, tutti mestiere, che si reggono unicamente sulle più retrive sollecitazioni alle viscere degli spettatori e sulle performance ai limiti dell'istrionico di gigionissimi protagonisti che sanno che ruoli siffatti (contrariamente a quanto immagina il volgo molto più semplici di tanti altri), al limite del numero da circo, così cesellabili e alieni, frutteranno loro un sicuro Oscar. 
Robette divertenti, per carità, piacevoli. Ma nulla di più.
L'unica cosa che davvero mi era simpatica di quel film era la colonna sonora, opera dell'onesto artigiano Hans Zimmer, non un genio musicale ma un sicuro, dignitoso talento, autore di varie cose non eccezionali ma certo pregevoli, alcune delle quali - la colonna sonora di The vacancy, per esempio, o quella di The Lion King - mi sono, per la mia compulsiva attrazione per la melensaggine, care al cuore.
Son riusciti a farmi detestare pure quella, sparandola a tutto volume e poi sfumandola quasi simultaneamente ad ogni piè sospinto all'interno dell'indigesto polpettone, come alle recite parrocchiali.
Ché se già non è il massimo guardarsi il film, figuratevi vederselo replicato, sfrondato di ogni addobbo potenzialmente, se non abbellitivo, almeno decorativo quale scenografie, inquadrature e tagli di montaggio, nella scarna penuria di mezzi di un allestimento teatrale, senza il minimo sforzo creativo di rivisitare il testo e dargli un'impronta diversa e personale, damblé, con tutti i tempi morti di sceneggiatura, le stesse identiche precise battute precisamente scimmiottate, collo scialbo coprotagonista (distintosi esclusivamente nei dieci minuti recitati in canottiera e attillatissime mutande per la sua esposizione al maturo pubblico, in palese ossequio alla volontà della produzione di far cassetta con ogni mezzuccio, di un fisico palestrato e d'una pacchiana ostentata erezione) spedito a fare piattamente il verso a un Tom Cruise, già abbastanza insopportabile e imbarazzante di suo nell'originale, persino nel timbro di voce (del doppiatore, of course!) e ad enfaticamente caricare e appesantire, per eccesso di zelo e difetto di personalità, ogni battuta più di quanto già non la carichi ed appesantisca quello nella pellicola madre di cotanto abominio, e con l'attricetta comprimaria indotta a ricalcare pedissequamente tutti gli strilletti e le mossette di Valeria Golino fin nel modo di appizzare il culo. Gente che non si cala in un ruolo, non si immedesima in una parte, ma semplicemente svolge il suo compitino per di più ricopiandolo da altri, o sforzandosi alla meno peggio di farlo, con una calligrafia che non le è propria, qualcosa a cui si sovrappone rimanendone completamente avulsa.
Una mistificazione. Una parodia. Una finzione penosa, faticosa, che di scenico, di teatrale, non ha nulla.
Una cosa kitsch, di plastica, scadente, brutta, come le imitazioni delle borse griffate cinesi o napoletane.

Responsabile di siffatta prodezza è la Compagnia della Rancia, che oggi va per la maggiore, artefice di riedizioni di musical di grandissimo successo. Questo è il gusto artistico, oggi.

Che tedio, che noia. Conoscendo purtroppo bene i dialoghi del film (anche per il loro esser invero ridotti all'osso), mi sembrava di dover imboccare agli sciagurati interpreti ogni battuta. Ad ogni scambio concluso mi incoraggiavo con momentaneo sollievo: "e vai, anche questo dente ce lo siamo levato". E che imbarazzo, che disagio, dover applaudire, alla fine, quando invece avrei ritenuto più appropriato tirare pomodori, impossibilitata dalle mie inibizioni e dalla mia perniciosa tendenza all'accondiscendenza, nella circostanza giunta a livelli di ipocrisia elevatissimi. 
Con questi, sul palco, stolidi e bamboleggianti, che non si accorgevano di niente. Che chissà quanto credevano di esser stati bravi.

Viviamo in tempi così.

E forse per contrasto, per ribellione interiore, stamane, svegliandomi, mi sono venuti in mente "i miei tempi". Quelli degli sceneggiati TV trasposti da illustri opere letterarie, recitati da autentici attori degni di questo nome. Senza arrivare a scomodare il pantheon dei Grandi, da Foà a Buazzelli, che so, i Corrado Pani, gli Ugo Pagliai, i Giuseppe Pambieri, i Gabriele Lavia. Per il quale mi presi una cotta stratosferica ai tempi del Marco Visconti. Il Gabriele Lavia di allora, innocente promessa delle scene, pre-sodalizio con la Guerritore. In perfetta coppia d'amor cortese con la Pamela Villoresi di allora, tenera e sensibile giovinetta nel cui seno ardeva il fuoco sacro dell'arte, non l'esaltata destrorsa di oggi.
La sigla finale, poi, quella ballata composta e cantata da Herbert Pagani, lui sì artista, morto prematuramente, non me la sono mai dimenticata, e me la risento spesso, assaporandomela come mia personale madeleine. Ah, il profumo delle cose buone di una volta.


Cavalli ricamati sull’arazzo del passato,
passato che ritorna su un accordo in si minore;
leggende dove guerra è sempre sposa dell’amore,
amore che tu insegui e non raggiungi quasi mai...

Io sono nato il giorno che ho veduto il tuo sorriso
e fui ferito a morte quando ti hanno rubata a me:
le acque dei torrenti sono lacrime d'amore
e ogni lacrima mi dice "meglio vivere infelice
che felice, senza averti vista mai"

Vivrò tutta la vita per cantare il nostro amore
ed ogni trovatore che il mio canto sentirà
lo porterà lontano, oltre monti ed oltre mare;
il tempo può passare, questo canto durerà...

E volerà leggero come polline di fiore,
per secoli d’amore altri amori sveglierà;
e immagino gli amanti che lo cantano a memoria,
e poiché saranno tanti sull'arazzo della storia,
qualche cosa
di noi due
resterà.

venerdì 14 dicembre 2012

Fiore di cactus


 lo so che sono psicopatica
e tu non puoi mica negarlo

ma che ne so

ma pure io, dai, e tu lo sai
si vede da come mi comporto, da quello che scrivo, dalla mia pagina dellaCri!

a essercene di psicopatiche come te :)

Cammina, non correre

(Mi sa che una delle verità per cui mi è ripresa l'acuta nostalgia canaglia di questi giorni è che il mio  inconscio cerca di stornarmi da una nuova fatica inutile: mi propone immagini di un passato pseudo felice per impedirmi di affezionarmi troppo al mio terapeuta, ecco. Ché oltretutto, se l'obiettivo è liberarmi dalle mie inibizioni con una robusta dose di frantumazione del mio maledetto Superio con la ridicolizzazione di esso e dunque, essendo quello contenuto in me, di me stessa medesima, come posso io, che già faccio normalmente una fatica bestia a superare la mia castrante timidezza, il senso opprimente di vergogna, con quelli di cui non mi frega un ciufolo, far lo sforzo sovrumano di accettare di mostrarmi fin buffona davanti a uno di cui mi importa? Mannaggiammé che me lo son scelto bello come il sole. Mi ficco sempre nelle situazioni del menga, io! Ma pensarci prima, una volta tanto, invece di caricare la vita con le mie cornine a testa bassa? E comunque, come si dice, Cri? Hai voluto la bicicletta, e mo' pedali)

giovedì 13 dicembre 2012

Brise marine


La chair est triste, hélas ! et j'ai lu tous les livres.
Fuir ! là-bas fuir! Je sens que des oiseaux sont ivres
D'être parmi l'écume inconnue et les cieux !
Rien, ni les vieux jardins reflétés par les yeux
Ne retiendra ce coeur qui dans la mer se trempe
Ô nuits ! ni la clarté déserte de ma lampe
Sur le vide papier que la blancheur défend
Et ni la jeune femme allaitant son enfant.
Je partirai ! Steamer balançant ta mâture,
Lève l'ancre pour une exotique nature !

Un Ennui, désolé par les cruels espoirs,
Croit encore à l'adieu suprême des mouchoirs !
Et, peut-être, les mâts, invitant les orages,
Sont-ils de ceux qu'un vent penche sur les naufrages
Perdus, sans mâts, sans mâts, ni fertiles îlots ...
Mais, ô mon coeur, entends le chant des matelots !


martedì 11 dicembre 2012

L'aprés-midi d'un faune

Di tanto in tanto, quasi tutti noi giungiamo a un punto di sopraffazione, dove l'impulso vitale si trasforma in fatica e la gioia di vivere in un senso di apatia che deriva da una pressione psicologica. Poi, una volta o l'altra, ecco arrivare la goccia che fa traboccare il vaso: sperimentiamo il repentino passaggio dall'ancora sopportabile all'insopportabile, dall'impulso alla pressione, quasi come un'espressione del destino. 
(...)
Non è forse naturale che, da uno specifico momento in poi, le cose ci sembrino insopportabili, l'impulso vitale ristagni e qualcosa di forte ci opprima, non soltanto in situazioni di dolore, ma anche in situazioni piacevoli? A tutto questo c'è soltanto una risposta indiretta: possiamo continuare a rimandare il momento in cui l'impulso si trasforma in pressione, l'affermazione in ansia. Possiamo proseguire, anche dal punto in cui ci siamo sempre fermati e arrivare dove non siamo mai arrivati. Dioniso è più forte di quanto crediamo possibile.
Rimanere nell'impulso: questo è il punto cruciale di ogni momento.
(...)
Ciò che conta è rimanere nella vita che ci resta, non anticipare la morte. In questo atteggiamento fondamentalmente dionisiaco di identità emozionale fluente arriviamo a percepire, in modo misterioso e profondo, persino l'umiliazione e il dolore come piacere, essenzialmente poco diversi dalla gioia, da un abbraccio, dalla dedizione. Non resta più nulla dello stoico atteggiamento freudiano: "Il primo dovere di ogni essere vivente è, nonostante tutto, quello di tollerare la vita". Se intendiamo la vita come un dovere, la vita diventa pressione alla quale è necessario sottomettersi. Al contrario, il principio di energia, che sta sotto il segno di Dioniso, riunisce piacere e realtà nel "sì" a un'esistenza che non abbiamo più bisogno di dividere mediante effimeri giudizi. E' importante evitare il dolore, ma è altrettanto importante diventare tutt'uno con esso quando il dolore diventa inevitabile e determina la nostra vita.


venerdì 7 dicembre 2012

Breakfast at Tiffany's

Oggi, grazie anche all'affetto e al supporto delle persone che amo di più al mondo, voi compresi, va molto molto meglio.
E vabbé, speriamo che la terapia, per quanto dolorosa e lancinante, mi aiuti ad addentrarmi nella melma del mio rimosso per recuperare sul fondale il mio tesoro sommerso da troppo, troppo tempo.
E che le mie due anime - quella perversa sofisticata raffinata narcisista aggressiva brillante audace selvaggia, e quella buona semplice naive entusiasta dolce affettuosa ingenua innocente neonata - che tirano da parti opposte perché hanno opposte visioni del mondo e opposte necessità finiscano per ricomporsi e armonizzarsi in una zona franca dove ci sia io, solo io, tutta io, serena, autosufficiente e appagata.
Nel frattempo, per ricaricarmi, posto il mio manifesto. Quello di sempre. Quello che, all'inizio della mia presa di coscienza, ho considerato, per un attimo, come un manierato cascame di sentimentalismo appartenente alla "vecchia" Cri, di cui la nuova non aveva più bisogno.
E invece, sarà la ricaduta, sarà la debolezza, ho scoperto che io ancora non posso smettere di identificarmi in Holly, scissa come me, orfana di se stessa e di se stessa elegante bluff, tremendamente sola in mezzo al rumore caotico, al rutilante scintillio, di un mondo che la irretisce e la atterrisce, che, canzonetta vivente replicata nel ruvido incanto dell'armonia di Henry Mancini, tra il termine di una nauseante nottata da dimenticare e la prospettiva delle brutture del giorno che verrà, si concede all'alba con aerea, disperata e principesca grazia un illusorio, struggente interludio di pace e di sicurezza scendendo da un taxi che emerge dalle brume di Central Park e percorre come in sogno la Fifth Avenue deserta per riflettersi e ristorarsi, in ogni senso, davanti alle lustre vetrine di Tiffany & Co..
Perciò, se mi chiamerete al cellulare, la suoneria sarà, per ora, sempre questa qui.


mercoledì 5 dicembre 2012

Almeno tu nell'universo

Dopo un felice periodo di forza e positività che mi aveva indotto un fin troppo eccessivo ottimismo, ecco, sull'onda lieve della mia bonaccia, riaffiorare dal fondo del mio oceano interiore i relitti, la punta dell'iceberg della catastrofe sottomarina, del Titanic inabissato nell'imo del mio baratro col suo oscuro, inesplorato carico di morte e distruzione. 
La terapia sta coraggiosamente facendo il suo effetto: supportata da quell'euforica sensazione di fortezza, ho trovato il fegato di scandagliare sotto il pelo dell'acqua, di rimestare nel torbido, forse nemmeno ancora davvero alle giuste profondità. E subito è stato come destare il can che dorme, far esplodere un bubbone pestilenziale.
Oggi sento il cuore che mi fa male. Fisicamente, proprio. E dato che questo è un dolore ancestrale, preverbale, legato a qualcosa di talmente lontano che è probabilmente pregresso persino alla mia capacità di formulare pensieri e avere una cognizione di me stessa, il mio inconscio, forse in un estremo tentativo di proteggermi, lo dirotta  su circostanze e persone incongrue, che fungono da diversivo totem della mia tragedia esistenziale, da transfert difensivo. Così da stamane ho una nostalgia disperante di un terrazzino inondato dal sole, un ricordo assolutamente impertinente e del tutto irrilevante fino a questo momento, e la sofferenza mi lacera, l'ansia, il terrore infantile mi paralizza e mi squarcia a metà. E il lamento straziante si fa canto. Già da qualche giorno, al primo emergere dei lontani e sordi echi di questo mio dolore all'inizio percepiti come un mero senso di smarrimento, mi sono sentita risuonare in testa la canzone eterna di Mia Martini. Però non cantata da lei, che la indirizzava, rabbiosa e lucidamente desolata, ad un uomo, come un'invocazione già disillusa in partenza. Ma nella versione, discreta e sommessa, di Elisa, che in un sussurro gentile la storna da sofferenze contingenti e la eleva triste e serena al di sopra di ogni singola storia o dramma, rendendola corale, davvero universale.


E mentre la canticchiavo mi sono detta che in certi momenti, in questi momenti, davvero avrei tanto, tanto bisogno di abbandonarmi a qualcuno a cui chiedere queste cose. Qualcuno in cui credere, che mi porti e mi supporti. Che sopporti per me, in vece mia, per farmi rinfrancare un poco. Ma per quanto mi sforzi, per quanto aneli al piacere e al sollievo che me ne deriverebbe, io non riesco a crederci, in un Dio. Il mio sconforto è superiore al mio desiderio, alla mia necessità.
E allora, ho concluso, la canterò a me stessa. Al mio cuore.
Al mio cuore, che sia la mia ancora salda e forte. Che mi dia coraggio e speranza. Che mi salvi dall'errore e dalla confusione. Che sia tutto, per me, il centro del mio essere, il fulcro del mio equilibrio, della mia esistenza, del mio bene, del mio amore, attraverso cui possa fluire, libero e benefico, il flusso della vita. Così come dev'essere, dovrebbe essere, per ciascuno di noi.

Tu, tu che sei diverso
almeno tu nell'universo
un punto sei che non ruota mai intorno a me, un sole
che splende per me soltanto
come un diamante in mezzo al cuore, tu
tu che sei diverso
almeno tu nell'universo
non cambierai, dimmi che
per sempre sarai sincero
e che mi amerai davvero
di più, di più, di più

Natale


Non ho voglia
di tuffarmi
in un gomitolo
di strade

Ho tanta
stanchezza
sulle spalle

Lasciatemi così
come una
cosa
posata
in un
angolo
e dimenticata

Qui
non si sente
altro
che il caldo buono

Sto
con le quattro
capriole
di fumo
del focolare