sabato 30 marzo 2013

E la vita la vita

Stamane, insieme a Jannacci, è morto anche mio padre.
Speriamo che andando su insieme si facciano compagnia.
Ciao, papà.

venerdì 29 marzo 2013

The passion

"Il ghiottone è ridiventato un puro," mi disse Guglielmo. "Ma è questa la purezza?" domandai inorridito. "Ce ne sarà anche di un'altra sorta," disse Guglielmo, "ma, quale che sia, mi fa sempre paura."
"Cosa vi terrorizza di più nella purezza?" chiesi.
"La fretta," rispose Guglielmo.

mercoledì 27 marzo 2013

Il pescatore di asterischi

Leggo su Repubblica il post di Barbara Spinelli, come sempre molto alto, fin troppo forse, fuori dalla mischia, dalle contese meschine di quaggiù, e per un attimo mi libro in volo anch'io sopra questa palude nauseabonda, su, su, sulle ali delle metafore, delle parole poetiche che tentano di descrivere con diversa prospettiva la caotica realtà di questi giorni, e di tenerla tutta insieme, anche, possibilmente, e tra tante suggestioni e pure qualche passaggio aulico di troppo che non condivido mi colpisce il discorso sulla paralisi di chi "imbocca viuzze" per tenersi stretto il potere, che significa "starsene immobili", e dunque "congela" il cambiamento, ma anche di chi, per la troppa ostinazione nel perseguirlo ad ogni costo, si blocca nel braccio di ferro del "tutto e subito, senza se e senza ma" in una sorta di "trono-postazione": 
"L'Italia fa questo, da anni: ha congelato Mani Pulite, e ogni chiarimento, correzione, pur d'evitare la trasformazione di sé. Anche il movimento Cinque Stelle, che pure ha vinto chiedendo una mutazione della società e dei partiti, è preda di una sorta di paralisi. Ilvo Diamanti ha spiegato, lunedì su Repubblica, l'impasse di una convivenza tra anime contrarie, innovative e conservatrici. L'uscita dal sistema prevale su ogni miglioramento concreto, ottenibile subito, svigorendo la forza stessa che fece nascere, attorno al bene pubblico, il movimento. È il rischio del M5S: occupare un trono-postazione, in attesa dei tempi in cui il Messia verrà col suo Regno. Non lo sfiora il sospetto che il Regno sia già qui, che l'attesa sia un escamotage. Che le vie non siano due ma una: rinunciare all'isolamento splendido del trono, aprire un varco, proporre a chiare lettere il nome di un suo papa Francesco. Altrimenti ti chiamerai movimento ma vecchio partito rimarrai: con le sue abitudini da recinto, con la sua sconnessione dalla cittadinanza attiva che ti ha fatto re"; questo dice in un (per me) bellissimo passaggio la Spinelli, e mi convince, e mi commuove (si sa che a me basta poco, soprattutto quando si sanno allestire voli pindarici di traiettorie così elevate al misticismo sentimentale che è rimasto in certa misura parte portante della costituzione del mio spirito). 

Poi leggo l'articolo del vergognoso sit-in organizzato dal sindacato di polizia Coisp sotto l'ufficio di Patrizia Moretti, finalmente e doverosamente assolta dal reato di diffamazione. Di come persino il sindaco di Ferrara, sceso a chiedere agli agenti di spostarsi per rispetto, sia stato spintonato e aggredito verbalmente da Potito Salatto, europarlamentare pdl. E di come, allora, lei sia scesa in mezzo a loro e abbia mostrato in piazza la foto del figlio ucciso. Restando silenziosa. Immobile, anche lei. Una statua di dignità e dolore.

Troppe coincidenze, troppi rimandi ad immobilità così diverse, così lontane tra loro, così opposte per valore e significato. 

In tutto questo mi viene naturale infilarci a mezzo il sorprendente post di Gap di stamane, che mi è rimasto impresso: quell'immagine di un'altra immobilità: quella di una tomba chiusa, sigillata, in balia delle intemperie, degli sguardi e degli atti, di pietà o vandalici, dei vivi, inerme, eppure inscalfibile nella sua invulnerabilità di scrigno del termine di un'esistenza umana che, nel bene e nel male, ha cessato di patire, di poter essere ferita, piegata, corrotta. E penso a come mi tenta, in questi giorni convulsi, quest'immagine di immobilità che è quiete, che è pace. E mi viene in mente Foscolo, ma più che i Sepolcri il suo sonetto In morte del fratello Giovanni: un dì, s'io non andrò sempre fuggendo... E dal neoclassicismo al romanticismo il salto stilistico per me, temerario canguro che zompa con spericolata incoscienza da un argomento all'altro, letteratura cronaca musica fatti privati discorsi sui massimi sistemi, è assai breve. Ed ecco, dunque, quello che vorrei essere io, piuttosto, allora, più che una tomba: vagheggio di diventare l'Urna greca di Keats, di sperimentare la sensazione di contenere quella rappresentazione delicata, marmorea, di una scena di vita trattenuta all'ultimo istante, di una possibilità di amore non realizzata, nella perfezione incorruttibile, drammatica e serenamente lontana che è anche dell'Apoxiomenos, o del Ratto di Proserpina o dell'Apollo e Dafne del Bernini, dove si può solo contemplare verità e bellezza, non vivere, perché vivere comporterebbe fatalmente compiere quell'atto, raggiungere l'amore, contaminarsi, perdere quella perfezione, quella verità e bellezza, per entrare nel flusso del tempo, e accadere, e poi finire. 

"E tu, amante audace, non potrai mai baciare 
 Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti 
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire, 
E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.": John mi perdonerà se oggi la dedico come una carezza a Pierluigi Bersani, a cui in questo momento sento di voler bene.


THOU still unravish'd bride of quietness,
  Thou foster-child of Silence and slow Time,
Sylvan historian, who canst thus express
  A flowery tale more sweetly than our rhyme:
What leaf-fringed legend haunts about thy shape         5
  Of deities or mortals, or of both,
    In Tempe or the dales of Arcady?
  What men or gods are these? What maidens loth?
What mad pursuit? What struggle to escape?
    What pipes and timbrels? What wild ecstasy?  10

Heard melodies are sweet, but those unheard
  Are sweeter; therefore, ye soft pipes, play on;
Not to the sensual ear, but, more endear'd,
  Pipe to the spirit ditties of no tone:
Fair youth, beneath the trees, thou canst not leave  15
  Thy song, nor ever can those trees be bare;
    Bold Lover, never, never canst thou kiss,
Though winning near the goal—yet, do not grieve;
    She cannot fade, though thou hast not thy bliss,
  For ever wilt thou love, and she be fair!  20

Ah, happy, happy boughs! that cannot shed
  Your leaves, nor ever bid the Spring adieu;
And, happy melodist, unwearièd,
  For ever piping songs for ever new;
More happy love! more happy, happy love!  25
  For ever warm and still to be enjoy'd,
    For ever panting, and for ever young;
All breathing human passion far above,
  That leaves a heart high-sorrowful and cloy'd,
    A burning forehead, and a parching tongue.  30

Who are these coming to the sacrifice?
  To what green altar, O mysterious priest,
Lead'st thou that heifer lowing at the skies,
  And all her silken flanks with garlands drest?
What little town by river or sea-shore,  35
  Or mountain-built with peaceful citadel,
    Is emptied of its folk, this pious morn?
And, little town, thy streets for evermore
  Will silent be; and not a soul, to tell
    Why thou art desolate, can e'er return.  40

O Attic shape! fair attitude! with brede
  Of marble men and maidens overwrought,
With forest branches and the trodden weed;
  Thou, silent form! dost tease us out of thought
As doth eternity: Cold Pastoral!  45
  When old age shall this generation waste,
    Thou shalt remain, in midst of other woe
  Than ours, a friend to man, to whom thou say'st,
'Beauty is truth, truth beauty,—that is all
    Ye know on earth, and all ye need to know.'



Tu, ancora inviolata sposa della quiete,
   Figlia adottiva del tempo lento e del silenzio,
Narratrice silvana, tu che una favola fiorita
   Racconti, più dolce dei miei versi,
Quale intarsiata leggenda di foglie pervade
   La tua forma, sono dei o mortali,
       O entrambi, insieme, a Tempo o in Arcadia?
   E che uomini sono? Che dei? E le fanciulle ritrose?
Qual è la folle ricerca? E la fuga tentata?
       E i flauti, e i cembali? Quale estasi selvaggia?

Sì, le melodie ascoltate sono dolci; ma più dolci
    Ancora sono quelle inascoltate. Su, flauti lievi,
Continuate, ma non per l'udito; preziosamente
    Suonate per lo spirito arie senza suono.
E tu, giovane, bello, non potrai mai finire
    Il tuo canto sotto quegli alberi che mai saranno spogli;
        E tu, amante audace, non potrai mai baciare
    Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
        E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.

Ah, rami felici! Non saranno mai sparse
    Le vostre foglie, e mai diranno addio alla primavera;
E felice anche te, musico mai stanco,
    Che sempre e sempre nuovi canti avrai;
Ma più felice te, amore più felice,
    Per sempre caldo e ancora da godere,
        Per sempre ansimante, giovane in eterno,
    Superiori siete a ogni vivente passione umana
Che il cuore addolorato lascia e sazio,
        La fronte in fiamme, secca la lingua.

E chi siete voi, che andate al sacrificio?
    Verso quale verde altare, sacerdote misterioso,
Conduci la giovenca muggente, i fianchi
    Morbidi coperti da ghirlande?
E quale paese sul mare, o sul fiume,
    O inerpicato tra la pace dei monti
        Hai mai lasciato questa gente in questo sacro mattino?
    Silenziose, o paese, le tue strade saranno per sempre,
E mai nessuno tornerà a dire
        Perché sei stato abbandonato.

Oh, forma attica! Posa leggiadra! Con un ricamo
    D'uomini e fanciulle nel marmo,
Coi rami della foresta e le erbe calpestate.
    Tu, forma silenziosa, come l'eternità
Tormenti e spezzi la nostra ragione. Fredda pastorale!
    Quando l'età avrà devastato questa generazione,
        Ancora tu ci sarai, eterna, tra nuovi dolori
    Non più nostri, amica all'uomo, cui dirai
"Bellezza è verità, verità bellezza", questo solo
        Sulla terra sapete, ed è quanto basta.

martedì 26 marzo 2013

L'insostenibile leggerezza dell'essere

Qualche tempo fa, mentre scorrevo sfatta e distratta il solito rullo di pappa indistinta di immagini di gattini o di bambini africani o leucemici moribondi (e già di qualche agnellino, dato il periodo prepasquale), dei mille rimbalzi fotocopia di battute satiriche originali sulla situazione politica ormai usurate dopo la terza condivisione, delle solite decine di bufale allarmistiche che ciclicamente riaffiorano per poi inabissarsi di nuovo senza colpo ferire fino al prossimo giro, proclami di indignados seduti comodamente col culo al caldo alla loro scrivania, minchiate più o meno salaci e mordaci e/o audaci di spiritosi a vario titolo, sono stata colpita dall'uppercut di uno di quegli aforismi che girano su FB, attribuito a Monica Vitti, che diceva pressappoco "Dicono che il mondo è di chi si alza presto. Non è vero. Il mondo è di chi è felice di alzarsi." 
"Oooooh come c'ha ragione!!! Avrei potuto scriverlo io questo!!!" ho subito esclamato in cuor mio.
E' che in effetti, per quanto mi dica "animo!", mi incoraggi e mi sproni all'ottimismo, sono un po' esausta di svegliarmi due mattine su tre - ora per l'eco sorda di un caos di sogni brutti e bizzarri di cui non ricordo quasi nulla, ora per l'ansia per i figli, ora per la preoccupazione per i cupi giorni che stiamo vivendo - con una sensazione di malessere freddo e pesante come un macigno tra il cuore ed il cardias. Macigno che, a meno di propizi interventi di qualche deus ex machina occasionale, mi ci vuole poi una buona mezza mattinata per scrollarmi di dosso, e una tale dannata fatica da parermi che Atlante o Sisifo, comparati a me, portino sulle spalle uno zainetto vuoto al ritorno dalla gita, o spingano una palla da beach volley.
Ieri però ho ripensato a quando ero ragazza: mi svegliavo molto più spesso felice, giubilante, direi. Perché avevo davanti tutto il giorno prima di angosciarmi di nuovo.
All'epoca funzionavo al contrario.
Soffrivo difatti di un'insonnia feroce, invincibile, che mi faceva passare lucida nottate d'inferno in preda alla disperazione più nera, col tormento di sentire avvicinarsi l'ora di alzarsi senza aver chiuso occhio e di dover affrontare un'intera giornata di studio, di impegni, di interazioni con le persone, intontita e come febbricitante, senza poter recuperare il sonno perduto.
Per cui, dopo qualche rara notte di insperato riposo, mi svegliavo in preda alla contentezza assoluta. Anche perché vivevo il momento della giornata più lontano da quello, odioso, che paventavo e rifuggivo.
Poi, man mano che le ore passavano, cominciavo ad inquietarmi e a deprimermi. Al calare delle prime ombre della sera l'ansia si era già trasformata in panico. Andare a letto in queste condizioni significava assicurarmi l'ennesima notte ad occhi spalancati, ovvio. Ero entrata in un circolo vizioso. Ogni tanto, poi, capitava appunto la notte in cui, sfinita, recuperavo facendomi, come si dice, tutto un sonno. Il mio organismo giovane si tutelava come poteva, e io, nonostante tutto, sono sempre stata una persona sana, con buone e forti risorse interiori. Ma questo disturbo, questa sofferenza, mi ha perseguitata per anni. E per anni sono andata a dormire con un peso sul cuore come un macigno.
Per cui oggi, che dormo quasi sempre con facilità e finanche col sollievo di aver deposto il peso della giornata trascorsa, ripensandoci, mi sono riconsolata: non sono peggiorata, mi sono solo ribaltata, diciamo. Si vede che vivere leggera non è il mio destino. Pazienza.

venerdì 22 marzo 2013

You can never hold back spring

Stamane sono uscita di casa presto, a piedi.
Senza salutare nessuno.
Senza dire dove andavo.

Col mio libro in mano, gli occhiali al sommo della testa, protetta dalla nebbia del mio sguardo miope che scontornava tutto, e dal silenzio che invece marcava il mio contorno, delimitando il mio spazio vitale.
Come una figurina stagliata in primo piano nell'acquarello di un indefinito paesaggio di sogno.

Autosufficiente, sola, non intimorita di essere persona.
Con un vago sorriso sul volto.
Turbata e insieme serena, ho camminato assaporando in crescendo ad ogni piè sospinto la struggente sensazione di distacco nel non aver più bisogno di qualcuno. Quel senso, che mai era stato mio, di dolce fortezza, e di tenero dolore, per l'impossibilità di credere ancora alla nostalgica illusione di una fusione vagheggiata dall'inizio del mio tempo sulla terra e mai sperimentata.
Straziata e felice della scoperta della mia unicità.
Col cuore incrinato, le lacrime sul viso, il petto che mi si apriva, dilatato in respiri sempre più ampi, sempre più profondi.

Faceva freddo. Al ritorno ho alzato la testa, scoprendo la meraviglia della chioma verde di un pino immersa nel contrasto di un cielo così azzurro da parere un disegno coi pastelli a cera di un bambino.

Non si può trattenere la primavera.



You can never hold back spring
You can be sure that I will never
Stop believing
The blushing rose will climb
Spring ahead or fall behind
Winter dreams the same dream
Every time
Baby you can never hold back spring

Even though you've lost your way
The world keeps dreaming
dreming of spring

So close your eyes
Open you heart
To one who's dreaming of you
You can never hold back spring

Remember everything that spring
Can bring
Baby you can never hold back spring
Baby you can never hold back spring

giovedì 21 marzo 2013

The long and winding road


"Vedi, Momo" disse [Beppo lo spazzino], per esempio, è così: certe volte si ha davanti una strada lunghissima. Si crede che è troppo lunga; e che mai potrà finire, uno pensa."
Guardò un po' in silenzio davanti a sé e poi proseguì: "e allora si comincia a fare in fretta. E sempre più in fretta. E ogni volta che alzi gli occhi vedi che la fatica non è diventata meno. E ti sforzi ancora di più e ti viene paura e alla fine resti senza fiato... e non ce la fai più... e la strada è sempre là davanti. Non è così che si deve fare".
Pensò ancora un poco, poi seguitò: "non si deve mai pensare alla strada tutta in una volta, capisci? Si deve soltanto pensare al prossimo passo, al prossimo respiro, al prossimo colpo di scopa. Sempre soltanto al gesto che viene dopo". Di nuovo si interruppe per riflettere, prima di aggiungere: "Allora c'è soddisfazione; questo è importante, perché allora si fa bene il lavoro. Così deve essere."




mercoledì 20 marzo 2013

Dark road

Ieri era la festa del papà, nonché il compleanno di mia madre.
Bingo.
Dunque, qua dentro e con loro, considerando anche le ultime recenti prove che ambedue, generosamente, han dato di loro stessi nei miei confronti, in sincrono, quasi si fossero messi d'accordo coreograficamente, sono stata in silenzio stampa per non compromettermi come lo scorso anno.


(Il silenzio: il mio maestro jedi dice che devo imparare ad usarlo, il silenzio che non è passività, ma azione.
Non sottomissione, ma potenza.

Il silenzio gravido, pieno, denso.
Non sottovuoto sterile, ma ronzante brusio di vita.
Chiunque di voi mi conosca intuisce quanto mi sia difficile affinarmi in questa competenza: sia nello scrivere che, ancor di più, nel comunicare a voce. In che misura lo sfrondare per arrivare alla sintesi, all'essenzialità, sia per me innaturale, faticoso ed arduo come camminare sulle mani.)

Stasera, allora, festeggio me.
Me, che mi libero pian piano. Che a poco a poco disostruisco i tubi ingorgati dai detriti per lasciar di nuovo libera di defluire la sorgente della vita.

Festeggio me, serena, consapevole, lucida, salda sulle gambe, con le braccia aperte.

Festeggio me, la mia porta aperta, per cui loro non passeranno, per loro volontà, mai.
Peggio per loro.

Non importa più. Conta solo questo, che ora abbia trovato la chiave per riaprirla.

(Sì, ancora Annie. Contenti?)




It's a dark road
And a dark way that leads to my house
And the word says
You're never gonna find me there oh no
I've got an open door
It didn't get there by itself
It didn't get there by itself

There's a feelin
But you're not feelin' it at all
There's a meaning
But you're not listening any more
I look at that open road
I'm gonna walk there by myself

And if you catch me
I might try to run away
You know I can't be here too long
And if you let me
I might try to make you stay
Seems you never realise a good thing
Till it's gone..
Maybe im still searchin
But I dont know what it means
All the fires of destruction are still
Burnin' in my dreams
There's no water that can wash away
This longin' to come clean
Hey yea yea....

I cant find the joy within my soul
It's just sadness takin hold
I wanna come in from the cold
And make myself renewed again
It takes strength to live this way
The same old madness every day
I wanna kick these blues away
I wanna learn to live again...

It's a dark road
And a dark way that leads to my house
And the word says
You're never gonna find me there oh no
I've got an open door
It didn't get there by itself
It didn't get there by itself

More than I can bear

Riascoltata l'altra mattina in macchina, sgusciata fuori da radio M100 (frequenza 104) a tradimento.
Che modo carino per dar voce al mio averne, in quel momento, i coglioni pieni. Canta che ti passa!
(Che sound fantasticamente cheap ha la musica della mia giovinezza...)






I thought that I was over you
How I was mistaken
Why did I bump into you
And start this chain reaction, mm

I felt it building up inside
When suddenly
Oh, it was more than I can bear
Mm, more than I can bear

When I saw you
Walking down the road with someone new
I couldn't believe it was true
It was true, yeah

I find it hard to sleep at night
This jealousy is burning bright
Visions of somebody else
Torments me to distraction, oh yeah

I think of him
Making, making love to you
It's more than I can
Oh, it was more than I can bear
Oh yeah, oh yeah, oh yeah, girl

(it's more than I can bear)
Walking down the road with someone new
(it's more than I can bear)
I couldn't believe that it was true
(it's more than I can bear)
It was true

When I saw you
(it's more than I can bear)
Walking down the road with someone new
(it's more than I can bear)
I closed my eyes
I know I'm not over you
(it's more than I can bear)
Over you

When I saw you
Walking down the road with someone new
I closed my eyes
I know I'm not over you
Mm, I still love you, baby

(it's more than I can bear)
Yeah, I still love you baby
(it's more than I can bear)
Hey, I still love you baby
(it's more than I can bear)
Yeah, yeah

It's more than I can bear.....

venerdì 15 marzo 2013

A whiter shade of pale

Strade buie.
La macchina fila.
Disincanto. Silenzio, rotto solo dalla voce di Annie.
Assenza di dolore.
Pace.
Chiarezza.
La mia anima è una stanza vuota reimbiancata.
Una scatola dalle pareti candide e gli angoli smussati.
Mi aggrappo a questa sensazione, vorrei catturarla per sempre.
Poi capisco che per assaporarla devo lasciarla libera.
La perderò sicuramente.
Ma ora so che esiste, so com'è fatta, so cosa vuol dire.
La ritroverò.




We skipped a light fandango,
Turned cartwheels 'cross the floor.
I was feeling kind of seasick,
But the crowd called out for more.
The room was humming harder,
As the ceiling flew away.
When we called out for another drink,
The waiter brought a tray.

And so it was that later,
As the miller told his tale,
That her face at first just ghostly,
Turned a whiter shade of pale.


She said there is no reason,
And the truth is plain to see
That I wandered through my playing cards,
And would not let her be
One of sixteen vestal virgins
Who were leaving for the coast.
And although my eyes were open,
They might just as well have been closed.

And so it was later,
As the miller told his tale,
That her face at first just ghostly,
Turned a whiter shade of pale.

giovedì 14 marzo 2013

Francesco


Ieri sera, casualmente, mi sono trovata in Piazza Risorgimento proprio nel momento esatto in cui c'è stata la fumata bianca. Quella non l'ho vista, ma ho visto le manifestazioni di pubblico delirio subito avviate: fiumane di genti che si riversavano verso piazza San Pietro, motorini e macchine abbandonati sotto la pioggia dove capitava, sensazione di impazzimento collettivo.
Osservando la marcia euforica di centinaia di persone, prevalentemente giovani e famiglie con bambini al seguito, e pensando alle chiese vuote, alle messe deserte, alle sempre più numerose defezioni dall'ora di religione, al drastico calo dell'opzione dell'otto per mille alla Chiesa,  mi sono detta che non c'era evidentemente, per la maggioranza di costoro, alcun motivo per tanta agitazione, se non quello di avvertire un senso del sé talmente minacciato da provare il bisogno e l'impulso di accorrere ogni volta, come pecore sbandate alla ricerca di un padrone, ora qui ora là, appresso al primo totem che s'incontra - Grillo, Berlusconi, il Papa - per stringersi agli altri individui, anche estranei, per ricevere la consolatoria carezza di un fugace senso di appartenenza ad una comunità, di unione ad una rete di relazioni motivanti l'esistenza.
Allora mi sono intenerita per tutta questa gente.
Nonché incuriosita.
Così ho acceso la radio: volevo almeno partecipare tangenzialmente all'evento informandomi se, nel braccio di ferro del potere, i curiali avessero vinto anche stavolta, riuscendo ad elevare al soglio Angelo Scola, il peggio del peggio.
Dopo un'ora di tortura di Radio Vaticana, tra discorsi di papaboys esaltati e tiritere tutte uguali di tizi che dicevano "non sono credente, ma non potevo non essere presente ad un evento storico di questa portata", finalmente il premio: la voce del cardinale protodiacono, un po' stridula per l'emozione, che annuncia il sorprendente nome di un Jorge Mario Bergoglio che si impone l'appellativo di Francesco.
Già quello, l'appellativo dico, e il sollievo per lo scampato pericolo mi ha commossa (io mi commuovo con poco, si sa).
Poi, quando ho capito chi fosse il cardinal Bergoglio, le lacrime hanno proprio cominciato a scorrermi senza freni sulle guance.
Mi hanno introdotta nelle fila attive del cattolicesimo militante all'età di cinque anni, ne sono uscita a trentacinque nauseata, dopo aver avuto esperienze con laici, monache e preti di ogni risma e di ogni congregazione; ma se c'è un ordine a cui sono rimasta idealmente legata da stima e affetto è quello dei gesuiti.
Era gesuita Carlo Maria Martini.
Era gesuita Giovanni Marchesi, mio amato professore di religione del liceo, giornalista di Civiltà Cattolica, morto qualche anno fa. Conservo, in precario bilico sulla mensola del mobile accanto al mio letto, l'angelo di terracotta che mi regalò per il battesimo di mia figlia (officiato da lui).
Era gesuita Matteo Ricci, curioso e coraggioso missionario in Cina alla fine del 1500, nonché omonimo di mio figlio.
Era gesuita Francisco Javier, instancabile viaggiatore del mondo.
Era gesuita Luis Altamirano, a cui è ispirato il film di Roland Joffé Mission.
Era gesuita Jon Sobrino, perseguitato teologo della Liberazione, che scampò ad un attentato di sicari del governo del Salvador.
Era gesuita Ignacio Ellacurria, suo confratello, che invece in quel frangente venne ucciso insieme ad altri cinque dei loro.
La Compagnia di Gesù non ha mai dato un papa alla Chiesa. Ordine illustre di uomini colti, progressisti, mentalmente autonomi, audaci, ostinati, combattenti nell'animo, mondani nel senso alto del termine, assai temuto ed odiato dalle gerarchie vaticane, colonna dell'evangelizzazione antropocentrica, centro vivo del dibattito culturale e teologico cattolico fino a che la sua feconda influenza, anche nello scambio e nel dialogo con pensatori atei e agnostici, non venne completamente esautorata dal pontificato del retrogrado Wojtyla in favore della progressiva ascesa al potere della famigerata Opus Dei, e di Comunione e Liberazione in campo nazionale.
Ho già sentito partire il tamtam delle critiche a questo Francesco: la sua presunta vicinanza, o comunque non belligeranza, alla dittatura di Videla, le sue posizioni oscurantiste nel campo della morale. Staremo a vedere.
Ciascuno ha il suo passato. Io, per dire, ho il mio, testimoniato in questo post.
Per ora, per me, quest'elezione è un segno forte di rottura, e di speranza di un cambio di clima. Non solo in senso religioso.
Alla nascita della Compagnia di Gesù dedicò un capitolo importante e divertente Luigi Magni in uno dei suoi film meno riusciti, State buoni se potete. Non è un gran film, no. E' un piccolo film del mio cuore.
Una di quelle cose belle che mi piacciono così tanto da farmi piangere.
E ora me lo rivedo. Sniff.



mercoledì 13 marzo 2013

Grande

(Non so se l'ho mai postata questa. Me la regalò Ics, grande appassionato di rap - la Bionda 17N lo sa -  nel settembre 2010, insieme a "Foto di gruppo" che sicuramente invece ho già postato. Oggi la giornata uggiosa, la cupezza dell'atmosfera politica e un generale rimescolamento interno - ieri ho fatto terapia, stamane ho proseguito per conto mio - e il post di Simone me l'hanno fatta tornare in mente. Mi pare un inno, stamane, per un'adolescente che si ingegna con fatica a crescere, affastellando delusioni su delusioni come scalini, piattaforme su cui poggiarsi per salire più in alto, quale io sono)


Porto la sveglia indietro al punto di partenza
dio com'è difficile spiegarsi quando scrivere è un'urgenza
quando i ricordi sono troppi e il blues
attraversa la mia penna e sul mio foglio si riversa a fiotti caldi
faccio “ffffff” per asciugarli
come fossero candele sulla torta dei miei diciott'anni
sento i pugni che battono alla mia porta e che mi cercano stanotte
e sì, ogni nocca ha i suoi calli
gli amici hanno sorrisi contraffatti e pellicce per coprire i misfatti
e camuffarli al contatto coi miei punti tattili
e artigli, ma retrattili, e mosse con cui possono distrarti
se t'hanno detto che crescere è confrontarsi
gli stessi non sapranno confortarti
quelli per cui crescere è un numero di targa da scambiarsi
coperto da una polizza che risarcisce i danni
banalità che qualcuno ti mette per priorità formali
la verità è che sono strumentali
e che fidarsi troppo è come, bendarsi gli occhi con le tue stesse mani
e pare, che la risposta più banale, sia proprio quella chiave, pare
che nonostante le intenzioni, stringendo e tirando le conclusioni
si cresce con le delusioni

La prima cosa che ho imparato è che va rifatto il quadro
se c'è una teoria va rivista
e più che l'occasione a fare l'uomo ladro
è l'ambizione a farlo opportunista
ed ogni volta che ho gridato fino a finire il fiato
pianto quasi fino a non vedere
ho capito che si cresce con le delusioni
e non c'è tanto in più da sapere

adesso la mia intimità è lo spazio che blindo
la privacy è il valore che scorto
fornace d'umori che scottano
questo reflusso dei miei succhi è il ricordo
di quando ho concesso troppo e ho dovuto pagarne lo scotto
scoppio
questo pezzo è per mio padre ed ogni volta che
ripete gridando che non l'ascolto
per ogni amico che ho perso
e lui l'aveva detto che un uomo non lo fanno dei peli sul petto
è un argomento serio
perché ogni amico se deve muovere un dito
guarda caso alza il medio
e a trovarne qualcuno sincero
e contarli su una mano fai fatica ad arrivare al medio
perché ogni donna è così uguale alle altre
così pronta a darti gli occhi e di contro a mischiare le carte
e io non voglio più rischiare
e prima di avere un bacio e un abbraccio devo prima guardarmi alle spalle
se oggi il sole fa dicembre un po' più tiepido
amo le tue guance e le mie labbra che si cercano
c'è un sogno che si avvera e sto vivendomelo
perché ho così paura di godermelo?
E pare, che la risposta più banale, sia proprio quella chiave, pare
che nonostante le intenzioni, stringendo e tirando le conclusioni
si cresce con le delusioni


La prima cosa che ho imparato è che va rifatto il quadro
se c'è una teoria va rivista
e più che l'occasione a fare l'uomo ladro
è l'ambizione a farlo opportunista
ed ogni volta che ho gridato fino a finire il fiato
pianto quasi fino a non vedere
ho capito che si cresce con le delusioni
e non c'è tanto in più da sapere

sabato 9 marzo 2013

Singing in the rain

Stamane un sole caldo ha progressivamente diradato le nubi, ma il tempo permane incerto e variabile.
Per cui dovrei sbrigarmi a fare la lavatrice delle lenzuola, se no quando mai s'asciugheranno, dato che è prevista pioggia per tutta la prossima settimana?
Tipo quella che tutto ieri m'ha inzuppato incessantemente.
(Ha piovuto talmente tanto che s'è bagnata persino la tastiera di Aldo!)

Così, per contrasto, ho ripensato all'otto e al nove marzo dell'anno scorso.
Al meraviglioso anticipo di primavera che quel giovedì e venerdì (l'anno scorso cadevano così) ci avevano regalato.
Me ne ricordo con precisione, ero alla stazione nel tardo pomeriggio ad aspettare qualcuno da scarrozzare - era ancora il periodo in cui ero sempre alla stazione per scarrozzare qualcuno - col mio soprabitino nuovo sgargiante, e respiravo l'aria tiepida che pareva presagire cose buone e serene.
Invece sono precipitata in una grottesca rappresentazione tragicomica niente affatto buona e per nulla serena. Molto miserabile, molto penosa, molto ridicola. 
Bruttissimi, squallidi ricordi.
C'era il sole, un sole magnifico: ma per me era un sole nero.
Stavo malissimo. Assurdamente, poi. Ora lo so.

Il calendario ha fatto un giro completo, e dopo un anno, ieri, sono stata lo stesso di umore cupo: esclusivamente per colpa della pioggia.
Evviva!!!

(Buon fine settimana a tutti)

mercoledì 6 marzo 2013

To be or not to be

Oggi è giorno di letizia per lo convento e per li frati tutti: dopo undici anni la mia amministrazione si è ricordata di me dotandomi di un nuovo pc.
Però, datosi che - come da facile previsione - l'anonimo lurido tizietto imberbe imbucato (contro la sua volontà, sicuramente, oltretutto) mediante calcio in culo di mammà, papà o zio con le conoscenze politiche giuste nella società in house che ha in appalto esclusivo l'assistenza alle attrezzature e ai collegamenti dell'intera rete Intranet regionale, denominato pomposamente "tecnico" ancorché in possesso di nozioni ed esperienza di informatica inferiori persino alle mie (maledetta sia la sussidiarietà che ha infarcito ogni ganglio vitale dello Stato di gente incompetente e malpagata mandata allo sbaraglio da società "private" ma a partecipazione ampiamente pubblica che offrono scadentissimi servizi in appalto e subappalto in cambio di corposissime spremiture di mammelle dello Stato medesimo, maledetto Bassanini che l'ha ideata e organizzata e maledetta la mia parte politica che ai tempi l'ha supportata e predicata alle masse come la panacea di tutti i mali dell'Italia!), non è stato in grado, probabilmente per aver mal configurato il computer, di riattivarmi correttamente l'account di accesso alle banche dati nazionali, indispensabile per il mio lavoro, non sono operativa.
Non è dunque colpa mia se perdo tempo, oggi.
Così passo di qui per raccomandarvi un paio di cose che ho letto e che ho trovato notevoli.
Una è questo post del Coniglio, che consiglio vivamente di leggere a tutti, in primis a Carlo che gioisce della mia svolta "politica". Io l'ho trovata un'analisi molto ben fatta della situazione, ancorché non risolutiva della questione, ahimé. L'altra è questo articolo di Repubblica, che ho scorso di fretta ma che voglio riguardare con attenzione. Che mi pare rispondere per le rime - ottime rime - alle puttanate scritte in quest'altro articolo del Fatto di ieri.
(Poi dice che una si butta a sinistra.)

Aggiungo una sola considerazione tratta dalla mia esperienza di vita, distillata in un altro accadimento di stamane (stamane è stata proprio metaforicamente la giornata di Carosello: dopo quello di Cimabue che fa una cosa e ne sbaglia due pure quello di quando arriva Lancillotto e succede un quarantotto, ma anche di Calimero piccolo e nero; e non lesinerei una citazione anche al Merendero, l'è lì l'è là l'è là che l'aspettava, passando per Carmencita, la bravabrava Mariarosa - quella è la mia eroina -, gli Incontentabili e l'omino Bialetti).
Dispongo di un collega genio. Unico tra i tanti. Un'autentica risorsa per l'ufficio e per gli utenti: preparatissimo, enciclopedico, analitico, capace di sintesi risolutive dei problemi, che è stato finora sempre ostracizzato. Per i soliti e noti motivi, pensavamo tutti: perché l'efficienza nella p.a. viene osteggiata e combattuta, perché la capacità di visione delle questioni e la competenza danno fastidio al manovratore, perché in questo paese sciagurato non c'è meritocrazia, perché la bravura suscita invidie e gelosie, perché in mezzo a tanti vasi di coccio un vaso di ferro risulta estraneo e incongruamente minaccioso per lo status quo, perché la massa di basso livello non è in grado di apprezzare il talento.
E invece stamane mi cade il velo dagli occhi. Anche con lui. (Altra persona a cui ero legata da sincero e caldo affetto: altra fregatura che piglio e porto a casa.)
Succede che io e la mia collega caterpillar lo stiamo a sentire, lo approviamo, lo incoraggiamo, sposiamo le sue soluzioni, gli offriamo collaborazione, tentiamo una sinergia.
Lui, a quel punto, si irrita. Non vuole collaborare: vuole fare di testa sua, e che noi, semplicemente, prendiamo atto e ci accodiamo. Non ci è dato avanzare controproposte, suggerire ritocchi o sfumature, mediare tra alternative che sono egualmente valide, o almeno a noi così paiono, posto che scaturiscono dalla dialettica tra individui senzienti, preparati e civili. Però non vuole manco figurare lui in prima persona: manda avanti il caterpillar, che formalmente è la coordinatrice del settore, schermandosi dietro di lei. Ma puntando i piedi se lei non si dispone a farlo in tutto e per tutto, fin nei minimi dettagli.
Rivendicando il suo ruolo di vittima incompresa, di emarginato dal sistema.
Di uno che preferisce sfasciare tutto piuttosto che sporcarsi le mani con il quotidiano, abbassarsi a lavorare assieme a noi per migliorare le cose, confrontandosi e confrontando il suo grandioso mondo mentale con la rozzezza dei dati di realtà.
Un utopista puro, incontaminato, spietato.
Un prototipo perfetto di grillino.
(A questo punto ho capito come hanno fatto tante anime belle a votare M5S)