sabato 31 agosto 2013

Il mastino di Baskerville

Tante volte una che si sente sconfitta in una tenzone dialettica con qualcuno che non molla manco ad ammazzarlo, scoprirebbe, se guardasse le cose con serena obiettività, che non è che abbia sbagliato qualcosa nell'argomentare.
Lo sbaglio stava a monte: nell'aver intrapreso la discussione, semplicemente.

The Taming of the Shrew


"Ah, l'accetta con cui taglia i giudizi la può riporre lì, proprio dietro alla sua montagna di supponenza, grazie."

Copyright della frase (postata su FaceBook qualche giorno fa, e prepotentemente ritornatami in mente ieri, so io perché) di Emanuele Vannini, alias Van deer Gaz; il quale, quando gli ho esternato il mio entusiasmo per l'aerea classe e la delicata perfezione dell'espressione, si è cortesemente offerto di mettermela a disposizione senza pretenderne i diritti.
Un genio generoso, elegante e signorile.

La scrivo qui per averla a portata di mano così da consultarla ed adoperarla alla bisogna. Nel frattempo cerco di mandarla a memoria. (Non è facile, eh, per come si snoda fluente ed articolata.)

Prevedo che mi servirà spesso.

Feria d'agosto

E finalmente finisce agosto. Il mese della feria per eccellenza. 

Un mese che si dovrebbe poter cancellare dal calendario.
Le feste natalizie inducono depressione e in casi particolari pensieri suicidi, ma agosto uccide proprio. E porta alla paranoia i superstiti.
Ci si arriva sfibrati da almeno un mese pregresso di giornate infinite di caldo torrido (quello sì, vocato con ogni evidenza allo svago e al riposo e a rinfrescanti villeggiature in alta quota o in ventilate località di mare, e invece per i più passato a dannarsi in città lavorando, ora esponendosi negli uffici ai deleteri gelidi getti di impianti di aria condizionata, ora boccheggiando nelle pause pranzo nei quaranta gradi all'ombra che squagliano l'asfalto sotto i piedi, e così via da capo, in ripetuti cicli di docce scozzesi assai poco salutari), ciascuna composta da mille ore di luce e spezzata da una notte troppo breve per arrecare refrigerio, e così snervati e prostrati si è costretti ad affrontare l'apocalittico evento dell'esodo di massa.
Se si vive in città è impossibile andare contro corrente: uno dopo l'altro, ogni ingranaggio dell'economia si blocca: i commercianti, e i grossisti da cui si riforniscono, e le industrie che producono i beni che i grossisti trattano, e i professionisti - commercialisti, avvocati, notai - che curano gli interessi di tutti costoro. E allora la gente s'è abituata a migrare. E allora quelli hanno l'alibi per continuare a chiudere. E' una sorta di serpente orfico, quello che si morde la coda. Chiudono gran parte degli ambulatori specialistici e di analisi, chiudono i cinema, i teatri han chiuso da un pezzo, anche nella pubblica amministrazione si lavora a ranghi ridotti, e solo per l'ordinario, o per le emergenze. Ogni affare, ogni progetto, tutto è rimandato a settembre.
Un mese morto, letteralmente.
Ora si dice che si assista ad una timida inversione di tendenza. Grazie ai grandi supermercati, ai centri commerciali e ai negozi degli stranieri non è del tutto impossibile la sopravvivenza dei molti anziani che restano in città, e anche delle famiglie che, morse dalla crisi, hanno rinunciato anche loro a partire. Posso testimoniare che in certa misura è vero. Sono stata in città fino al quattordici a sera, ripassandoci il diciassette e il diciotto, e ho sempre visto, nei palazzi e per le vie, un certo movimento, una minima ma costante vitalità. Molti esercizi commerciali hanno ridotto il periodo di inattività. Persino qualche farmacia ha optato per una turnazione, evitando la chiusura completa. Ma è comunque ancora ben misera cosa, rispetto al grosso del fenomeno.
L'apice della desertificazione si raggiunge al fatidico giorno 15, il ferragosto: le due settimane a cavallo prima e dopo di quella data sono una prova generale di pace eterna. E si è costretti a scegliere tra minestra e finestra: o resistere eroicamente in deprimente solitudine tra le serrande abbassate, incrociando le dita nella speranza di non aver bisogno di nulla, o capitolare e rincorrere gli altri rappresentanti del consesso civile nei luoghi di vacanza, dove assoggettarsi agli insopportabili riti caotici del volgo in cambio di umana compagnia, nonché della garanzia di funzionamento di surrogati più o meno accettabili di tutto ciò che si è abituati a considerare necessario nella vita quotidiana.
In ambedue i casi si sta male. E si contano a denti stretti i giorni che mancano all'alba.
Mentre ogni giorno il sole declina prima all'orizzonte, e l'estate vive una sfilacciata agonia.
Si torna dalle ferie, a fine agosto, e si dice "l'estate sta finendo". Mica vero: l'estate è già finita lungo tutto il mese precedente, nelle giornate progressivamente sempre più corte, nel cambiamento di clima in montagna, e nella non infrequente instabilità in varie zone costiere; nell'insorta punta di rigidezza della temperatura notturna, e nel frescolino della prima mattina.
La bella stagione, quella vera, quella piena, era terminata da un pezzo. Ad Agosto si sopportano scomodità assurde per goderne solo un'illusione.
Per fortuna domani entra Settembre: il mese più dolce e più bello dell'anno.
(Difatti, non faccio per vantarmi, ci sono nata in mezzo io!)

venerdì 30 agosto 2013

The Blair Witch Project


Cosa c'è da vedere in un bosco?
Niente.

Solo la propria estraneità e solitudine.

Portatemi in un bosco, e io mi sentirò smarrita anche senza smarrirmi.

Nel bosco io perdo ogni punto di riferimento: non c'è più un sopra e un sotto, un avanti e un dietro, una destra o una sinistra.
Ci sono solo alberi: a perdita d'occhio, alberi, immobili, indifferenti, e anzi, ostili, cupi per la ferita loro inferta dai tracciati di sentieri battuti da estranei, contaminati piedi di umani.
Sentieri stretti e impervi che io percorro a fatica, inerpicandomi, scivolando, o marciando in piano a ritmo cadenzato sulla mia lama di inquietudine per non riuscire a scorgerne né il principio né la fine.

Stare in mezzo ad un bosco mi dà la sensazione di essere precipitata in un buco nero spazio-temporale: un non-luogo da cui non potrò più uscire che non mi porta da nessuna parte. Mi sento estromessa dalla mia dimensione per finire catapultata in un'altra parallela dove non incontro più persone, non vivo più nella realtà, non incrocio più la civiltà perduta, se non negli ansiogeni rinvenimenti di tracce di essa in smorti e incongrui residui - un fazzoletto di carta stropicciato, una lattina di coca sfondata - il cui stridore con l'ambiente rende l'esperienza ancor più allarmante e disagevole, per come quegli oggetti fuori contesto, così blasfemi là in mezzo, mi suscitano fantasticherie sul come esoteriche entità, alseidi, o menadi, o fattucchiere in sabba, abbiano provveduto magicamente a polverizzare i fautori della profanazione, di quegli oggetti possessori e fruitori, richiudendo le frasche sul ripristinato silenzio, sicché di costoro non resta nulla; e per il sinistro presagio che debitamente ne consegue, di esser potenzialmente associata, appartenendo alla medesima specie di quelli, per arcana legge vegetale, ai loro crimini, e al loro stregonesco castigo e alla loro sinistra fine.

Dev'esser questo il motivo per cui, incontrandosi, ci si saluta nei boschi: per il conforto di veder comparire un proprio simile, perforata così la cappa di oscuro incantesimo che aleggia nell'aria con una visione a cui si assiste col medesimo sollievo con cui il caduto in un pozzo accoglie l'apparire di una mano tesa a cui aggrapparsi per risalire; o del peschereccio che, dopo una notte di tempesta, ritrova all'alba le luci del porto.

Io, peraltro, amo immensamente i boschi. Le loro macchie di verde scuro spiccanti sul colore più tenue dei dolci dorsi dei rilievi su cui poso lo sguardo mi rallegrano la vista, mi ristorano l'anima, mi allungano la vita. Ma non voglio trovarmici dentro. Mi par di violare un santuario ancestrale, un sistema cosmogonico in cui io non ho parte; e che per questo sacrilegio verrò punita.

Perché la natura non è mica benigna. Anzi, tutt'altro. La natura è selvaggia, al di là del bene e del male, e totalmente tesa all'autoconservazione. E pertanto nessuno riuscirà mai a convincermi che andar per boschi sia una passeggiata.

Ho ultimamente passato qualche giorno, non per mia scelta, appunto per boschi e foreste; vagando affannata e spaurita su e giù per le cime di monti erti e frondosi, talvolta persino piangente per lo sconforto e lo sfinimento, sentendomi piccola  e debole e indifesa come non mai. Voglio dire, alla percezione psichica della mia piccolezza si aggiungeva quella fisica, concreta, in un'esperienza integrale di minutezza e inettitudine che a tratti mi rendeva disperata.

Che forse, però, è stata anche catartica, come tutte le esperienze forti, primordiali.

E poi l'ultimo giorno sono entrata in un'abetaia secolare: una vastissima radura di alberi alti come colonne colossali, e dai rami talmente grandi e maestosi da coprire il sole, costretto a fendere frantumato in esili strisce di pulviscolo luminoso infinitesime fessure dell'ombra densa e refrigerante di quegli enormi spazi. Altro che piccina, lì ero davvero minuscola, insignificante. Lì stare in un bosco mi faceva tutt'un altro effetto. Lillipuziana, non avrei potuto dar il minimo fastidio a quei giganti; benevoli, da quelle loro incommensurabili altezze, al modo pascoliano del cielo in X agosto: "e tu, cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale..:", di un'alterità mistica; una vertiginosa cattedrale naturale, dove venivo accolta, e riparata, monda da ogni inquietudine o tormento; e, Dio, com'era bello avere quelle chiome per cielo, e quei fusti protettori attorno. Ero passata anche lì in un'altra dimensione: ma di tale splendore, questa, e pace, e armonia, che piangevo di nuovo, stavolta di intensa emozione; e davvero non avrei voluto uscirne mai più.

Forse non è stato inutile, dopotutto, questo mio errare per boschi. Anche se, comunque, cosa c'è da vedere in un bosco?



giovedì 29 agosto 2013

Unforgettable


Sono momenti, quando una persona che mai hai dimenticato e mai dimenticherai scrive a te "Cristina, indimenticabile."


"it’s incredible
that someone so unforgettable
thinks that I am
unforgettable, too."


domenica 25 agosto 2013

Le ali della libertà

Rimugino su certi accadimenti degli ultimi giorni e delle ultime ore - meglio, su certe prese di posizione adottate da un'amica non già negli ultimi giorni, anzi, palesatesi chiarissimamente già da un bel pezzo, che io semplicemente mi sono sin qui ostinata a considerare con benevola indulgenza una criticità di poco conto nel complesso di uno spirito comunque bello e a me affine, una sfrontatezza conclamata che in realtà fosse un tutto fumo e niente arrosto, e invece, macché, complice anche il mio esser reduce da un'ulteriore esposizione felice alla mia cartina di tornasole preferita nel paesaggio e tra le genti che più di tutto in questo momento mi riconducono alla concretezza, e alla bontà intrinseca che nella concretezza risiede, dove è esperienza quotidiana l'esattezza dell'assioma di Keats "verità è bellezza, bellezza è verità", scopro che no, l'atteggiamento di quest'amica, e tutto il castello di concezioni sue della vita e delle relazioni e della dignità individuale ch'ella con quest'atteggiamento mostra di aver costruito, non mi va giù, non mi piace, non mi è mai piaciuto e mai mi piacerà.
Perché dietro quest'accondiscendenza allo spontaneismo, l'assecondamento così a briglia sciolta e a testa bassa, senza un soprappensiero, senza l'ombra di uno scrupolo, di tutto quello che passa per la mente, incluse sventatezze d'ogni sorta e pulsioni distruttive e autodistruttive, io non riesco più a vederci solo la sofferenza di un'anima ferita e smarrita.
Perché anch'io ho un'anima ferita e smarrita, e mille volte avrei potuto reagire così, facendomi scudo del pretesto del mio dolore; e invece, nonostante tutto, mi sono badata, con sforzi laceranti e fatica immane. Perché non sono mai riuscita ad annullarmi nella frenesia dell'attimo, ho sempre ampliato il mio orizzonte al "dopo", alle conseguenze, alla responsabilità del mio agire, temperando il mio istinto con l'amorevolezza della ragione. E temprandomi.
Nella mia capacità di scegliere. Di esercitare, liberamente, la mia libertà.
Ovvio, è la strada più difficile. Ma è anche la più gratificante.
Perché l'altra conduce alla bassezza. Alla volgarità. All'adattamento, all'acquiescenza ad un'esistenza subumana, che dire bestiale è un insulto per le bestie, nobili esseri che onorano la loro naturalità, in equilibrio e in armonia col resto del creato.
L'uomo che si fa bestia offende le bestie.
E ho scoperto così che la volgarità io non la sopporto. Non parlo della sana e, direi, sacra scurrilità di antica tradizione, ingrediente essenziale per il comico, il grottesco, la beffa, artistico e intellettuale rovesciamento scatologico che pervade tutto l'arco dell'espressione culturale universale, dalla preistoria ai giorni nostri, passando per l'illustre periodo di Dante e Boccaccio e Chaucher e Shakespeare, e da quelle magnifiche radici sale per i rami via via, su su, in teatro e in letteratura e persino in musica, e danza, e pittura e scultura, fino ai giorni nostri.
No, io non sopporto la volgarità d'animo. Quella di chi si contenta di vivere torpidamente, senza moderarsi, senza delicatezza e attenzione per se stesso, senza pretendere a testa alta la fiera affermazione dell'essenza della sua umanità, senza aspirare a trascendere per migliorare, ma anzi, indotto a cuor leggero scevro di rimpianto alcuno, all'occorrenza, a soccombere al peggioramento. Quella di chi è disposto a lordarsi scendendo a compromessi con la parte sordida di se stesso, quella cattiva, quella malata.
E non è questione di moralismo, eh. Tutt'altro. E' una questione etica, questo sì. Nell'accezione che di etica dà Spinoza: la tendenza dell'uomo al buono, ossia, a ciò che accresce la sua potenza esistenziale.
Io detesto la volgarità, la schifo e la rifuggo. E una persona che invece vi indulga, pur dotata di tante qualità, pur manifestando per me un affetto ch'io posso presumere almeno in parte sincero, non fa per me.
Lo dico con dispiacere. Ma con la massima serenità e fermezza.
La volgarità è assenza di bellezza. Perché è assenza di autenticità.
E la mancanza di bellezza e verità non è interessante, è triste, è pesante, e porta difilato all'infelicità.

sabato 24 agosto 2013

Tempo d'estate 3/ Meriggiare pallido e assorto

Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia.

mercoledì 14 agosto 2013

Tempo d'estate 2/Ragazze di campagna

Il sole non si era ancora levato e il prato era cosparso di margherite ancora addormentate. La rugiada era dappertutto. Una bruma ondeggiante e delicata sfiorava ogni cosa: l'erba sotto la mia finestra, la siepe tutto intorno, il filo di ferro arrugginito lungo lo steccato e il grande prato giù in fondo; e le foglie e le piante sprofondavano in quella foschia, tanto che gli alberi parevano irreali, come fossero in un sogno. I nontiscordardimé, che erano spuntati lungo un lato della siepe, erano circondati da piccole aureole d'acqua che scintillavano come l'argento. Tutto era quieto, perfettamente immobile. Dalla montagna bluastra, in lontananza, si levava del fumo. La giornata sarebbe stata molto calda. 

martedì 13 agosto 2013

Bad day


Stamane tutto avrei voluto fare, meno che alzarmi per andare al lavoro.
Il senso di smobilitazione che aleggia in città, l'indolente atmosfera pre-ferragostana, l'accumulo di sonno arretrato nelle notti torride (in senso atmosferico) della scorsa settimana, mi avevano messo addosso, insieme ad un torpore pesante e incredibilmente piacevole, un'accidia imbronciata, fanciullesca. Ce n'è voluto, per convincere la mia bambina interiore a consentirmi di mettere i piedi giù dal letto. 
Di estrema malavoglia mi sono trascinata in ufficio per consumare quest'agonia dei due ultimi giorni di servizio prima delle ferie. Oggi e domani senza nulla da fare, centellinando ore, minuti e secondi che mi separano dalla prospettiva della pila di libri e DVD da assaporare in beato relax, e poi dei chilometri da macinare sotto le ruote in autostrada, via, via, verso le mie piccole gustose mete da esplorare in viaggi da godere fin dal tragitto, la macchina che corre, il paesaggio che sfreccia fuori dal finestrino, la compagnia delle soffici, eleganti sfumature della beneaugurante voce di Annie: quarantott'ore talmente estenuanti da affrontare da avvicinarsi ad un'idea di tempo incommensurabile, un purgatorio prossimo all'inferno vero e proprio.
Ma quando arrivo in ufficio, pam!, senza preavviso prende corpo una notizia che era nell'aria da tempo ma fino a ieri era priva di qualsiasi consistenza, vaga, fumosa, più simile ad un auspicio che ad un evento da verificarsi, per come le voci si rincorrevano di bocca in bocca, rimbalzando da uno all'altro degli edifici dell'amministrazione senza esser suffragate da qualcosa di più concreto di un provvedimento di riorganizzazione di massima delle competenze molto generico e ancor più generici avvisi di continui rinvii dell'attuazione dello stesso, che spostavano sempre un po' più in là temporalmente l'asticella dell'Apocalisse.
E invece tutto si è messo repentinamente in movimento: la Giunta Zingaretti nel passato week end s'è destata dal torpore completando il balletto delle nomine dirigenziali - con poche varianti di rilevante discontinuità rispetto agli sconci passi di danza della passata gestione, più una sorta di gioco dei quattro cantoni che altro, ma insomma contentiamoci - e, tra un giro di valzer e l'altro, il mio psicotico dirigente è stato sostituito.
Ecco perché si era preso, sorprendentemente e in maniera del tutto irrituale, due settimane di vacanza ad agosto a cominciare da ieri, il notorio irriducibile stakanovista.

D'improvviso, puf, tutte le angherie e le cattiverie che con vana e fatua protervia ha inteso farmi subire nei mesi passati sono state cancellate come per incantesimo. Il 2 settembre si insedierà il nuovo nominato. Io rientrerò dalle ferie il 5.
Non è che questo preluda a una rivoluzione, eh. Non cambierà proprio niente. Quello che gli succederà, uomo mite e di buon cuore ma d'apparato, classica pedina che non disturba il manovratore assai nota nell'ambiente, non mi accende alcun guizzo di speranza. Però stavolta sono preparata. Gli starò alla larga, questo è tutto il mio proposito nei suoi riguardi, e vedrò di pararne gli eventuali colpi come meglio potrò.

Ma questo, intanto, non lo vedrò più. Se ne va insalutato ospite, odiato dai più, lasciandosi alle spalle non buoni ricordi, ma una scia di insofferenza per la sua persona e un palpabile sollievo collettivo. 
Ha spadroneggiato da aprile 2011 ad agosto 2013 in un crescendo di isterica tirannia, facendo comunella con i peggiori, forte coi deboli, debole coi forti, rompendo l'anima ai pochi meritevoli e fracassando più o meno indistintamente a tutti le parti sporgenti. E ora, zacchete, il suo dominio vessatorio è finito. Chi l'avrebbe mai detto che ci sarebbe voluto tanto poco?







domenica 11 agosto 2013

Tempo d'estate 1/ La montagna incantata


"Perché fai codesta faccia?" domandò.
"Quella ha fischiato!" ripose Castorp. "Passandomi davanti ha fischiato dal ventre; me lo vuoi spiegare?"
"Via" esclamò Joachim con una risata sprezzante. "Non dal ventre, è assurdo. Era la Kleefeld, Hermine Kleefeld, che fischia col pneumotorace."
"Con che cosa?" Era molto agitato e non capiva ancora perché. Pencolava tra il riso e il pianto, e soggiunse: "Non puoi pretendere che io sappia il vostro gergo".
"Andiamo! Cammina!" lo invitò Joachim. "Te lo posso spiegare anche camminando. Stai lì come se avessi messo le radici! Riguarda la chirurgia, come puoi immaginare, è un'operazione che quassù si eseguisce di frequente. Behrens ne ha una gran pratica... Quando un polmone è molto compromesso, capisci, l'altro invece sano o relativamente sano, quello malato viene dispensato per qualche tempo dalla sua attività, affinché stia a riposo... Vale a dire: ti fanno un taglio qui nel fianco, non so con precisione in qual punto, ma Behrens se ne intende magnificamente. E allora vi si immette un gas, azoto, capisci, e il lobo polmonare intaccato è messo fuori servizio. Beninteso il gas non si mantiene a lungo, anzi ogni quindici giorni circa bisogna rinnovarlo... ti gonfiano come una pompa, così te lo devi figurare. E se si continua per un anno e più, il polmone in virtù del riposo può anche guarire. Non sempre, s'intende, è anzi una faccenda arrischiata. Ma pare che col pneumotorace si siano già ottenuti buoni risultati. Tutti ce l'hanno, quelli che hai visto un momento fa. C'era anche la signorina Iltis - quella con le lentiggini - e la signorina Levi, la magra, ricordi? - è stata a letto tanto tempo. Si sono raccolti in gruppo, le persone, e si dicono Associazione Polmone Unico, sotto questa insegna si sono conosciuti. Ma l'orgoglio dell'Associazione è Hermine Kleefeld, perché col pneumotorace riesce a fischiare... è una sua capacità, non tutti lo sanno fare. Come ci riesca non saprei dire, nemmeno lei lo sa descrivere chiaramente. Ma quando cammina in fretta, fischia dall'interno, e ne approfitta per spaventare la gente, specie i malati venuti da poco. Credo però che in questo modo faccia spreco di azoto, perché la devono gonfiare ogni settimana."
Ora Castorp si era messo a ridere: alle parole di Joachim la sua eccitazione si era volta in allegria, e mentre egli proseguiva un po' curvo coprendosi gli occhi, le sue spalle erano scosse da un riso veloce e sommesso.
"Sono proprio iscritti?" domandò, e non gli riusciva facile parlare per lo sforzo di trattenere il riso, la sua voce era piagnucolosa e leggermente afflitta. "Hanno il loro statuto? Peccato che tu non sia socio, perché mi potrebbero accettare come socio onorario... o compagno di baldoria... dovresti pregare Behrens che ti ponga parzialmente fuori servizio. Forse sapresti fischiare anche tu, se ti ci mettessi d'impegno, in fin dei conti lo si potrebbe imparare... E' la cosa più buffa che abbia sentito in vita mia!" soggiunse con un profondo sospiro. "Via, perdona se ne parlo in questo tono, ma loro stessi sono di ottimo umore, i tuoi pneumatici amici. E come venivano avanti!... Pensare che si trattava dell'Associazione Polmone Unico! - Fii - la sento fischiare... quella matta! E' una spavalderia bell'e buona! Perché sono così spavaldi, me lo sai dire?"
Joachim cercò una risposta. "Dio mio" disse "sono tanto liberi... Voglio dire, sono tutti giovani, il tempo non conta per loro, e poi può darsi che siano prossimi a morire. Perché dovrebbero star seri? Certe volte penso: morte e malattia, a rigore, non sono cose serie, sono piuttosto come un bighellonare ozioso; serietà, se vogliamo essere precisi, c'è soltanto nella vita laggiù. Credo che col tempo lo capirai anche tu, se rimani un po' qui."

venerdì 9 agosto 2013

L'amico di famiglia

Quando l'ascia entrò nel bosco, molti alberi dissero "almeno il manico è dei nostri"
(Proverbio turco)

martedì 6 agosto 2013

La lunga estate calda

Sarà anche per via dello stigma di infelici ricordi delle mie antiche vacanze marine, fatto sta che un sabato di pipinara a Sperlonga è bastato per farmi rammentare quanto odio andare al mare, e perché: bambini lasciati da genitori sciagurati a rintronarsi di sole urlanti per ore, caldo da boccheggiare peggio che in città, obbligo di mettersi in mutande a sopportare la vista di sconosciuti in mutande, spettacoli di panze a cocomero, immonde cosce gelatinose, cicatrici di laparatomie, adipi d'ogni sorta, costrizione alla promiscuità, acqua trasparente oleosa in controluce, schizzi, schiamazzi, pallonate, sabbia, odori dolciastri di creme solari, e quelle noncuranti movenze da duchessa ripresa da una telecamera, o dal paparazzo di Novella 2000, che hanno tutte le donne, me compresa, nel replicare per la milionesima volta l'inossidabile rituale gestuale di scaricare con degnazione la roba quando arrivano e ricomprimerla nella sacca quando se ne vanno, piegandola svagate, pensierose, indolenti, con gesti di lentezza esasperante. Ma poi, vedendo le foto del blitz di Alemanno ai Fori Imperiali, ho capito che m'è andata di lusso a non trovarmi a Roma nel week end, sia come sia.

Questa estate che non si decideva mai ad arrivare è improvvisamente diventata calda. Più che calda, bollente. Torrida. In molti sensi.

Oggi, che si sudava anche solo a respirare, siccome era il mio giorno libero dal lavoro ho fatto la bella pensata di riordinare la libreria. Per eliminare chili di polvere, perlopiù. E, in subordine, per trovare posto ai (troppi) nuovi libri che ho comperato nel mese di luglio appena concluso. Ed essendo tutta piena, mi è toccato fare una cernita di libri da riporre negli scatoloni per portarli in cantina, o per meglio dire, al box. Ho scelto perciò di liberare il settore di storia e cronaca. Ho tenuto, spolverato e risistemato negli scaffali i testi riguardanti la seconda guerra mondiale, il nazismo, il fascismo e il comunismo, Todorov, la Buber Neumann, Primo Levi, gli scritti del padre dei fratelli Rosselli. Ho salvato quelli sul terrorismo degli anni di piombo, sulle stragi di Stato, sull'affare Pinelli, sulla banda della Magliana, sul rapimento Moro. Ho rimesso al posto d'onore il libriccino di Calamandrei che mi regalò Angie tanto tempo fa, agli albori della nostra amicizia. Ho serbato un paio di libri sull'informazione deviata, sullo sviluppo sostenibile, sugli USA, e quello dei discorsi di Martin Luther King.
Perché quelli sono storia. Storia importante, da non dimenticare, da mantenere viva nella memoria.
Ho invece estratto ed archiviato tutti quelli su Berlusconi e ventennio berlusconiano. Via circostanze, atti, fatti, che li riguardassero. Complessivamente una trentina di titoli, dall'antesignano l'Odore dei soldi fino a quello di Curzio Maltese sui pericolosi postumi della fine del sogno del Caimano, alcuni anche piuttosto corposi.
Si è liberato un sacco di posto.
Ora la libreria ha un aspetto assai migliore. E io non vedo l'ora che arrivi il giorno - ormai non lontano - in cui Berlusconi sarà diventato solo un brutto incubo che svanisce all'alba. Finalmente la notte è finita, è giunta l'aurora. Presto sarà giorno pieno.
Il giorno in cui io non vorrò mai più saper nulla di questo sputacchio d'infima importanza, questa putrida increspatura di cronaca - ora rosa, ora nera - nel mare delle vicende della mia patria e del mondo che ha avuto l'ardire penoso di tentar di influenzare il corso della storia, e finirò di cancellarlo del tutto dalla mia mente, come se non fosse mai esistito, senza lasciar traccia della sua esistenza.
Perché è così che dovrà accadere, e così accadrà.

venerdì 2 agosto 2013

II agosto

II agosto, io lo so perché tanto
di stelle nell'aria tranquilla
arde e cade, perché sì gran pianto
nel concavo cielo sfavilla...

Anche la musica, per trovare degna espressione, si fa silenzio. Assai diverso dall'immondo silenzio delle istituzioni, che dura, oggi, da trentatré anni. Che forse, pian piano, si sta squarciando, ora.
Anche la musica si fa silenzio. Dopo quel boato insostenibile, e poi le interminabili ore di urla, tramestii concitati, suoni incessanti di sirene.

Per non dimenticare.