giovedì 27 settembre 2012

Pink flamingos/2

E adesso, per celebrare degnamente lo sconfinamento delle 25.000 visualizzazioni di questo blogghino, facendo un po' la vaga nella speranza che passi inosservato salvando il mio onore - ché ci vuole una bella spudoratezza ad osare tanto -, tiro fuori dal fondo della pattumiera l'altro mio rifiuto musicale del cuore.

Ooooooh. Questo, più che un rifiuto, è una discarica intera. E' l'apoteosi dell'immondizia. 

Venditti non è solo melenso, gregoriano come Baglioni - la cui tendenza madonnara è incarnazione di una specifico e precipuo aspetto dell'indole trash, "de panza", della romanità. 
Venditti è il vessillifero di un'altra corrente, ancora più caratteristica: la paraculaggine.
Dopo i primi albori diffusamente "impegnati" in coppia con De Gregori, difatti, egli - vuoi per sua naturale inclinazione, vuoi per la discreta influenza di qualche addetto ai lavori che nella sua vocalità forse intravede prospettive di rientri economici da hit parade - scivola progressivamente dall'ispirazione alla commercializzazione. Per cui, dopo essersi mantenuto in precario equilibrio tra arte e mercato fino a Sotto il Segno dei pesci (uscito nel 1979), negli anni ottanta, pregni di edonismo reaganiano, si sbraca senza pudore, diventando un idolo del pop melodico con un'offensiva a palle incatenate di tre LP di seguito, uno più scafato dell'altro: Cuore, Venditti e Segreti, e - badaboum badaboum! - il grande botto di In questo mondo di ladri.
Io, ovviamente, li adoro tutti e tre. Sono la colonna sonora della mia giovinezza, delle mie timide speranze, del mio aprirmi alla vita. Cuore, del 1984, sono i miei vent'anni. Con Venditti e segreti, 1986, comincio a lavorare in mezzo alla gente che lascerà un segno perenne nella mia esistenza, nel posto dove passerò i tre anni più faticosi e più stimolanti della medesima. Con In questo mondo di ladri, nel momento clou, che come tutte le vette di massimo fulgore già porta in sé i germi della decadenza, mi congedo in bellezza da quel mondo che rimpiangerò per sempre per andare a seppellirmi nella pubblica amministrazione.
Mi ricordo sabati e domeniche passati a studio, con il mio amato capo che si affacciava a dare uno sguardo, ancora più bello e cool nei vestiti informali del week end. Mi ricordo nottate passate a quadrare bilanci, o a lavorare per la verifica della Guardia di Finanza, intermezzate da certi pasticcini raffinatissimi che lui ci portava per confortarci e coccolarci un po', e da tanta musica. Questa.

E da In questo mondo di ladri, siore e siori, ecco la punta di diamante, la canzone più ruffiana che Venditti abbia mai scritto, che non a caso egli sostiene essere la sua preferita.
E' anche la mia.
E ogni volta che la risento la dedico nel mio cuore melenso a coloro che nel mio cuore dimorano.

Ricordati di me.


(Sniff. Questa musica mi rende sempre felice. Come sono banale...)

martedì 25 settembre 2012

È la fede degli amanti | come l'Araba Fenice | che vi sia ciascun lo dice | ove sia nessun lo sa

"Ci sono diversi tipi di amicizie. Io distinguo tra amici e amici stretti. L'amicizia stretta è sempre un impegno: non puoi avere un amico stretto se tu sei amico di qualcuno e quello non è amico tuo. Se hai un amico stretto hai fiducia incondizionata nell'altro e viceversa e questo tipo di amicizia si accompagna all'amore, a quel tipo di amore che può forse avere anche una dimensione erotica, sebbene non una dimensione sessuale. L'amicizia che non è amicizia stretta è qualcosa di diverso. Siamo amici perché siamo coinvolti nelle stesse cose, abbiamo interessi comuni, ci sentiamo molto vicini l'un l'altro ma non è lo stesso tipo di impegno assoluto che esiste nell'amicizia stretta."

sabato 22 settembre 2012

Pink Flamingos/1


Oggi, siccome ho il vizio di coltivare i miei pensieri ossessivi e amo rigirarmi nella mia melma interiore, ed è sabato, giorno in cui molta gente normale fa le pulizie, mi è venuto in mente di rivoltarmi un po' nella mia spazzatura.

Dunque questo che segue è un post trash, dove mi accingo a fare outing sulle mie debolezze più recondite e vergognose.

Chi di noi non ha mai subito una fascinazione oscura e invincibile per cose che sente come repulsive? Se ce n'è uno, alzi la mano. 

Tutti fermi, eh? 

E ora la alzi chi a quella fascinazione cede spesso e volentieri. ZAC! Che foresta! Sembra di stare al  live Wembley Stadium '86 durante la performance di Radio GaGa di Freddie. (Che meraviglia! Pensarci mi emoziona ed esalta ancor oggi come allora... Che spettacolo. Prima o poi me lo regalerò in un post.)

Io faccio senz'altro parte della schiera che la alza. Anzi, le alza tutte e due. Anzi, si mette a saltellare a ripetizione sulle gambe come una molla e non smette più. Solo perché sprovvista di ali per sollevarsi in volo e restare per aria a librarsi su tutti gli altri.

Sono la regina dell'attrazione per la repulsione. Nella quale indulgo continuamente, con enorme e consolante sollievo.

Sono una crepuscolare. Una replicante del Gozzano che forse, potrebbe, amare d'amore solo l'amica Carlotta di nonna Speranza, ossia, un'immagine muffa e stantia di una ragazza che non esiste più, su una fotografia di un mondo che non c'è più, da vagheggiare in modo estetico, indolente, senza costrutto. Una dandy che, per curarsi i lividi delle sue rovinose cadute dai voli pindarici che compie allo scopo di sottrarsi al confronto con la rozza ma impegnativa realtà quotidiana, va a rifugiarsi nel kitsch delle "buone cose di pessimo gusto".

Dalle stelle alle stalle. E viceversa, su e giù da una montagna russa che la stordisce, la placa e la infervora. Sconvolta, con lo stomaco sottosopra, spaventata e ammaccata. Ma illusa che sia meglio distrarsi così piuttosto che affrontare la banale e terribile concretezza che da sempre, per pregressi buoni motivi, la atterrisce.

E insomma: confesso che, tra le mie segrete miserie, c'è una perversa passione per le vischiosità delle canzoni di Baglioni e Venditti. 

Il primo lamentoso compagno di merende dei miei diciott'anni, testimone e complice dei miei turbamenti sentimentali e sessuali del periodo.
Di lui ho ripreso, nascondendomi come una ladra, a riascoltare roba nel febbraio 2006; anno in cui il mio ex ex capo, allora ancora solo collega, venne trasferito ad altra sede per promozione e se ne andò dalla stanza matrimoniale che dividevamo da sei anni prima. Come tutti i matrimoni, stavamo attraversando una crisi, e ci comportavamo come Sandra e Raimondo in casa Vianello già da un po'. Dunque mi sembrò, al momento, che il suo trasferimento mi facesse piacere; al massimo, mi lasciasse indifferente. Celiando, allora, gli misi su, il lunedì della sua ultima settimana, in ufficio, la canzone sottostante. Scoprendo poi che invece, scherzando scherzando, ero entrata in una telenovela sudamericana di scene madri in cui mi si aprivano ad ogni piè sospinto - in stanza, nei corridoi, al bar all'angolo, per strada, a casa mia - le cataratte di una diga di lacrime che allagò cose e persone, compreso lui e il suo vestito di tweed di buon taglio, per quello ed altri giorni a venire. Favore che lui mi restituì puntualmente ad aprile 2011, quando, dopo esser tornato da noi come nostro dirigente per tre anni, ed esser io stata la sua segretaria personale, fu ritrasferito, stavolta per degradamento, e si mise letteralmente a piangermi addosso, alla faccia del nostro rapporto burrascoso e non di rado rancoroso, senza riuscire a smettere, per un tempo equivalente al mio precedente, se non addirittura superiore.

Questa la canzone, che mi è rivenuta in mente per un complesso di sensazioni idiote in questi giorni. E che riascolto assaporandone tutta la squallida, melensa tenerezza.


(Brrrrr. Mi pare che per adesso basti e avanzi. La canzone di Venditti ve la risparmio, per oggi. Rimandiamola a domani. Buon sabato a tutti)

(Ringrazio la Volpe per avermi spiegato il sistema di sovrascrivere un link. Hai visto, Giulio? Funziona. Ho imparato!)


venerdì 21 settembre 2012

Settembre (21)

settembre 2012

Io (arrancando sfiatata sul costone del sentiero 1 delle Marmore):
- pant pant. Se gioventù sapesse, se vecchiaia potesse!

- Vero. Ma siccome noi non siamo né l'uno né l'altro, per noi non vale.

- Questo lo scrivo su web. Ci faccio un post.

- Allora aggiungici pure questo: in medio stat virtus.




Avrei voluto dedicarti una canzone
con le parole della televisione
tutti quei fiori e quei discorsi complicati
che al cine fanno nei locali raffinati.
Ma mi sembra di commettere un reato
perché per dirti che sono innamorato
perché per dirti cosa sento in fondo al cuore
non c'è motivo che mi finga un grande attore.
Per dirti t'amo, amo te, bastava solo che guardassi intorno a me
per dirti ti vorrei sposare, è giusto dirlo, dirlo in modo naturale.
Non voglio chiuderti in nessun mondo fatato
e non ho voglia di tornare nel passato
io so, potremmo avere il mondo nelle mani
se siamo forti e fiduciosi nel domani.
Avremo un posto dove andare a lavorare
e avremo figli da allevare e da curare
e tanto amore tanta gente come noi
e avremo un mondo, un mondo nuovo intorno a noi.
Per dirti t'amo, amo te, bastava solo che guardassi intorno a me
per dirti ti vorrei sposare, è giusto dirlo, dirlo in modo naturale.
La vera vita non si alleva in una serra,
chiedo il tuo amore, che è nutrito dalla terra,
perché è cresciuto con la pioggia e con il sole
e sa capire anche queste mie parole.
Per dirti t'amo, amo te, bastava solo che guardassi intorno a me
per dirti ti vorrei sposare, è giusto dirlo, dirlo in modo naturale



(Lui parla poco, ma fa tante foto...)

giovedì 20 settembre 2012

Un'anima divisa in due

La terra ha completato un altro giro intorno al sole.
Un altro anno è passato.

Non sono più diciassettenne. Sono avvenute cose, quest'anno, per cui mi si è reso chiaro, una volta per tutte, che la mia adolescenza mai sorta è definitivamente tramontata. Per sempre. Senza possibilità di risarcimento.

Non sono ancora una donna. Ne ho ancora molta, molta, di strada da fare.
Sono smarrita, ansiosa, irrequieta, instabile. Ho sempre il sorriso sul volto, il pianto nel cuore. O viceversa. Straziata dal sentire il braccio di ferro interno tra il mio spirito selvaggio, ribelle, che finalmente vorrebbe spiccare il volo e tira, tira appassionatamente verso il fuori, e la mia indole addomesticata, impastoiata, che invece ha il terrore dell'ignoto, del salto nel buio, e tira, tira disperatamente dall'altra parte.

Cerco di convincermi che, presto o tardi, queste catene si spezzeranno, e non mi fermerà più nessuno. Io non mi fermerò, più, sabotandomi da sola.

E allora si ricomporrà, questa mia anima divisa in due.

Due anche le canzoni qui appresso: la prima me l'ha donata la mia cara, amata Angie. La seconda me la regalo io.

Cin cin. Auguri, Cri. Nonostante tutto.
Ne hai bisogno.





Anime fiammeggianti attonite
Squarciato il velo della cecità
A mezzo cielo in vuoto
Denso d'inganno figurativo
Tra ciò che hanno distrutto
E ciò che non gli toccherà
Appare la bellezza mai assillante né oziosa
Languida quando è ora e forte e lieve e austera
L'aria serena e di sostanza sferzante
Anima fiammeggiante soffoca
Smaniosa d'aria non ce la fa
Giorni spremuti e notti
Attinti a un pozzo profondo millenni
Il somigliare agli altri non la salva
Anima fiammeggiante zoppica
Zoppica brace non sa se ce la fa
Un gioco antico un bel gioco
Pericoloso solo per sé
Appare la bellezza mai assillante né oziosa
Languida quando è ora e forte e lieve e austera
L'aria serena e di sostanza sferzante
Appare la bellezza mai assillante né oziosa
Languida quando è ora e forte e lieve e austera
L'aria serena e di sostanza sferzante
L'aria serena e di sostanza sferzante






mercoledì 19 settembre 2012

Pane e rose

Sono fermamente convinto che, se i cittadini si rendessero conto della loro fame di bellezza, ci sarebbe una ribellione per le strade. Non è stata forse l'estetica ad abbattere il Muro di Berlino e ad aprire la Cina? Non è stato il consumismo e i gadget dell'Occidente come ci viene raccontato, ma la musica, il colore, la moda, le scarpe, le stoffe, i film, il ballo, le parole delle canzoni, la forma delle automobili. La risposta estetica conduce all'azione politica, diventa azione politica, è azione politica.

lunedì 17 settembre 2012

Book of love

Ssssst, buonanotte


e buona settimana di lotta, di sorrisi, di fatiche, di frustrazioni e soddisfazioni.

E di anniversari. Forza e coraggio!




venerdì 14 settembre 2012

Both sides now

Ieri pomeriggio, dopo un paio d'ore di tempo apocalittico che è sembrato inverare la paura di Abraracourcix per come davvero il cielo pareva ci stesse cadendo sulla testa, ha finalmente cominciato a spiovere, propiziando la mia lunga passeggiata verso la chiesetta sconsacrata di Santa Rita da Cascia, adiacente al Teatro di Marcello, ora riconvertita in spazio espositivo del Comune.
Sono andata ad un appuntamento a cui mi aveva invitato Claudio: l'inaugurazione della mostra di cui lui è curatore, nell'ambito della rassegna "Autunno Contemporaneo", dell'opera denominata Novembre 1977; creazione di Zaelia Bishop, artista trentacinquenne romano sulfureo, barbuto e nerovestito come un Rasputin metropolitano.
Mostra costituita da un'unica installazione di grande effetto: uno scheletro di albero di ciliegio collocato nella nicchia dell'abside, sul vecchio altare, a occupare con drammatica concretezza la pienezza dello spazio col suo tronco nudo e con la sua folla di nudi, esili rami protesi verso l'alto come mani tese al cielo; troneggiante sulla fuga di centoventi libri aperti, neri e accartocciati dal fuoco di una fiamma ossidrica, stesi a terra innanzi al visitatore come un tappeto di cadaveri di sogni e illusioni bruciate, perdute, disposte in linea con le geometrie del pavimento a formare un labirinto, un spazio ludico cupo e suggestivo.
Claudio mi ha dedicato in anteprima una visita guidata, ripetendo per me sola le parole che ha scritto quale presentazione dell'opera:
"l'artista si racconta, ripercorrendo la sua vita dalla nascita - appunto, novembre 1977 - fino all'età adulta... Una crescita travagliata, dove nel passaggio tra le varie fasi dell'esistenza è individuato il centro del dolore e dello smarrimento: infanzia, giovinezza, età adulta, simboleggiati dall'albero di ciliegio spezzato. E' qualcosa di cui tu sai più di qualcosa, Cri."
Già.
Ho scambiato qualche osservazione con l'autore: sul travaglio creativo nel darle forma, ma anche sul travaglio del successivo smantellamento, quando verrà smembrata e distrutta, transitoria ed effimera proprio come l'esistenza. Lui mi ha parlato con gentilezza, curiosità e un'ombra di grata sorpresa; affabile e gradevole, così diverso dall'idea di eccentrico e viziato sociopatico che aveva dato l'impressione di voler trasmettere con quel travestimento che, non so bene perché, mi è venuto di ripetergli quello che ho scritto anche a commento di un post:
"la tua opera mi ha colpita molto. Inscena il dolore della crescita, lo strappo, la tristezza per quello che si è perso e non si potrà più avere. O che non si è avuto, e non si potrà avere mai più. Che è il mio attuale dolore, quello con cui sto facendo i conti. Però ultimamente non so, mi è venuto uno strano, bizzarro ottimismo: ho avuto un'infanzia tragica, una giovinezza non vissuta, una maturità sofferta, ma magari allora, chissà, avrò il mio riscatto nella vecchiaia. Chi mi dice che non sia proprio l'ultimo tratto del cammino quello in cui, anziché un tetro e rassegnato declino, mi sarà riservata l'esperienza di un gusto intenso, di un autentico godimento della vita?"
Lui mi ha guardata con uno sguardo improvvisamente attento, venato d'interesse, di simpatia. E mi ha risposto d'impeto, con intenzione, marcando con forza le parole: "io lo credo, che sarà così."
L'ho guardato anch'io negli occhi vividi, scoprendoli, in contrasto col suo aspetto luciferino, perlacei, innocenti, di un grigio bluastro luminoso e vellutato.
"Grazie" ho replicato, con la voce che mi si incrinava. "Sei molto gentile e incoraggiante."
"Non lo dico per gentilezza" ha ribattuto pacato ma deciso. "Io ne sono sicuro. Ogni istante della nostra vita è l'istante. In ogni istante possiamo ricominciare, reinventarci, esplodere, scoprirci."
A quel punto non so bene cosa mi è successo. Ho dovuto salutarlo in fretta e in furia, e in fretta e in furia congedarmi anche da Claudio e dagli altri. Fuori, in strada, ho retto dieci metri scarsi; all'altezza dell'ingresso al Teatro di Marcello già lacrimavo.
"Sei una piagnona, Cri" mi sono detta, sorridendo tra i singhiozzi. "Dannati squilibri ormonali. Ti commuovi per ogni scemenza, ogni bruscolo ti manda in subbuglio. Sei proprio un tedio, una piattola, una palla!"
E intanto piangevo come un neonato. Di tenerezza, che aveva ripreso a sboccarmi dal cuore a fiotti. E di contentezza, per risentirmi quella tenerezza nel cuore, incondizionata, come evidentemente era sempre stata, solo che io che non ci avevo mai voluto credere.
Sentivo dentro di me l'esultanza di aver recuperato l'armonia dei miei meccanismi interiori. Come un congegno antico, ma ancora ottimamente funzionante. A cui serviva solo una spolveratina per ritrovare nitidezza.

S'era fatta sera, ormai. Alle sette, a metà settembre, comincia a prepararsi il tramonto. Nel frattempo non solo non pioveva più, aveva anche fatto capolino un ultimo spicchio di sole. Così, senza esitare, mi sono regalata un ultimo scampolo di libertà. E mi sono mescolata ai turisti nel salire lo scalone del Campidoglio.
Sono arrivata davanti alla balconata dei Fori con una strana sensazione: pressata da un amalgama di immagini nella testa, eppure anche così attenta, così partecipe delle manifestazioni di vita che mi contornavano. Come se il mio cervello, il mio cuore si propagassero all'esterno di me, mescolando insieme realtà e pensieri, il momento, i ricordi, i miei sentimenti e quelli degli altri, la Cri bambina e quella matura, in un tutto nuovo, fuso e confuso, in cui però ogni cosa era illuminata, nitida, distinta e percepita con una chiarezza prioritaria e ultimativa, dove la mia solitudine era una pena preziosa, feconda, lo strazio del chicco di grano che muore per partecipare del rigoglio dell'universo.
Una mestizia bellissima mi ha dilatato il petto.
Non c'era posto al mondo migliore di quello dove stavo, sola, in mezzo alla gente, davanti alle pietre, di fronte al cielo. Pativo una passione che era il segno, e il motore, della mia esistenza, non virtuale, non immaginata. Concreta, di carne e di sangue. E al contempo immersa nel mistico fluire dei giorni e degli anni, nell'onda che non si sa dove finirà per rifrangersi. Però, intanto, ancora a cavallo di quell'onda. Viva. Essenziale. Vibrante d'amore.
Qualcosa che avevo provato, prima di ieri, solo quando ero innamorata.
Certe volte la felicità è così intensa da far male.
Certe volte il dolore è così dolce da dare gioia.
E io ho guardato la vita da tutte e due le parti, ora.



Bows and flows of angel hair and ice cream castles in the air
And feather canyons everywhere, i've looked at clouds that way.
But now they only block the sun, they rain and snow on everyone.
So many things i would have done but clouds got in my way.

I've looked at clouds from both sides now,
From up and down, and still somehow
It's cloud illusions i recall.
I really don't know clouds at all.

Moons and junes and ferris wheels, the dizzy dancing way you feel
As every fairy tale comes real; i've looked at love that way.
But now it's just another show. you leave 'em laughing when you go
And if you care, don't let them know, don't give yourself away.

I've looked at love from both sides now,
From give and take, and still somehow
It's love's illusions i recall.
I really don't know love at all.

Tears and fears and feeling proud to say "i love you" right out loud,
Dreams and schemes and circus crowds, i've looked at life that way.
But now old friends are acting strange, they shake their heads, they say
I've changed.
Well, something's lost but something's gained in living every day.

I've looked at life from both sides now,
From win and lose, and still somehow
It's life's illusions i recall.

It's cloud illusions i recall.
I really don't know clouds at all

martedì 11 settembre 2012

Com'è bello fa' l'amore quanno è sera

Dice il piccolo cactus, regalandomi una frase del suo grandioso ultimo post: "Roma è bellissima se non ci vivi."

Io invece da sempre penso che vivere a Roma è fantastico. Solo che bisogna averci il fisico, mi ripeto fiera, gonfiandomi il petto con orgoglio e tipicamente romana spacconeria diretta discendente dal miles gloriosus.

E, a proposito, genti che non sapete quello che vi perdete, io ora chiudo, esco nel pomeriggio d'oro sotto il cielo più azzurro che abbia mai visto e vado a comprare il gelato da Fassi che andrò a sbafarmi a casa di un romano forse non di sette generazioni ma sicuramente di sette vite.


Tiè.

lunedì 10 settembre 2012

Tutta mia la città

E finalmente traversare Roma con un'emozione che è, di nuovo, solo mia.
Senza ricordi che si frappongano ad inficiare la gioia del momento.
Roma solo mia, tutta mia. Com'era prima.
E' mio il rosa che sfila tra i pini ormai in ombra di Villa Borghese in uno dei più magnifici skyline che sia dato ad essere umano di contemplare.
E' mio il kitsch rutilante e rassicurante di Via Veneto.
Miei i marmi solenni di palazzo Barberini.
Mia la mirabile geometria della prospettiva di piazza Esquilino, con la basilica di Santa Maria Maggiore incastonata tra l'obelisco ed il campanile in una perfetta linea di fuga.
Mia la fresca allegria scanzonata delle gambe scoperte delle ragazze che si slanciano sicure e leggere sui marciapiedi.
Mia la tenera euforia della bambina non più che quattrenne col vestitino a righe e i riccioli biondi che, incoraggiata dalla sorridente indulgenza della mamma, si arrampica più e più volte sul palo di un segnale di divieto di accesso elastica come una molla, con abilità di ginnasta e gridolini di gioiosa eccitazione; e che alla fine, aiutata da un'amorevole spintarella, se ne issa alla sommità con l'esaltazione che la fa vibrare in tutta la persona, tremante di quella fierezza e felicità, quella delizia che provano solo i cuori implumi dei bambini quando essi, giocando col loro corpo, ne constatano il funzionamento e le potenzialità oltre le loro aspettative; sentendosi così, loro abituati a continue frustrazioni per la loro inadeguatezza di piccoli, diventare improvvisamente invincibili, signori del loro minimo mondo, per un breve momento che per loro è sempre un'eternità senza limiti.
Mio è tutto questo, e tutto il resto. Tutto mi trapassa l'anima, tutto mi risuona dentro.
Com'era prima.
Più di prima.
Sono viva. E sono libera, finalmente.


sabato 8 settembre 2012

Le città e la memoria. 2.

All'uomo che cavalca lungamente per terreni selvatici viene desiderio d'una città. Finalmente giunge a Isidora, città dove i palazzi hanno scale a chiocciola incrostate di chiocciole marine, dove si fabbricano a regola d'arte cannocchiali e violini, dove quando il forestiero è incerto tra due donne ne incontra sempre una terza, dove le lotte dei galli degenerano in risse sanguinose tra gli scommettitori. A tutte queste cose egli pensava quando desiderava una città. Isidora è dunque la città dei suoi sogni: con una differenza. La città sognata conteneva lui giovane: a Isidora arriva in tarda età. Nella piazza c'è il muretto dei vecchi che guardano passare la gioventù; lui è seduto in fila con loro. I desideri sono già ricordi.

venerdì 7 settembre 2012

Come tu mi vuoi

Fra le tante qualità di Bacco la più lodevole è senz'altro quella di scacciare le preoccupazioni dall'animo umano; l'effetto purtroppo è di breve durata, perché, svanita l'ebbrezza, noie e grattacapi tornano a pesare tra capo e collo. Il mio intervento è ben più efficace e duraturo. L'ebbrezza che io ispiro colma l'animo di eterna beatitudine. Non c'è mortale che non debba ringraziarmi in qualche modo per la mia generosità, mentre le altre divinità hanno elargito i propri doni in modo assai più parziale, privilegiando l'uno piuttosto che l'altro. Non in tutti i Paesi Bacco fa crescere la nobile pianta della vite, il cui nettare allontana le pene e rende l'uomo ricco di dolci speranze. Raramente Venere dona la bellezza e sono rari i casi in cui Mercurio regala all'uomo l'eloquenza. Non sono in tanti quelli cui toccano le ricchezze, con la protezione di Ercole, e non a tutti il sommo Giove di Omero concede di diventare re, come spesso Marte non concede ad alcuna delle parti in lotta il privilegio della vittoria. E non son pochi coloro che si sono allontanati a musi lunghi dal tripode di Apollo. Saturno spesso scaglia i suoi fulmini e Febo le sue frecce pestilenziali. Nettuno uccide molti più naviganti di quanti non ne salva. E se citassi poi Veiove, Fiutone, Ate e le altre divinità vendicative e malefiche potreste pensare che io stia parlando di carnefici dell'Accecamento, della Punizione e della Febbre e non di divinità.

Soltanto io, la Follia, sono così equa e giusta da mettermi al servizio di chicchessia. Non chiedo a nessuno di adempiere voti, non mi adiro, non voglio atti di contrizione se nelle cerimonie in mio onore è stata omessa una parte del rituale; non scateno il finimondo se si fanno sacrifici a tutti gli dei e ci si dimentica di far gustare anche a me l'acre profumo delle vittime arse sul rogo. Gli dei comunque hanno un carattere bizzarro e a volte è senz'altro meglio lasciarli dove sono piuttosto che rendere loro omaggio. Si comportano proprio come certi uomini, così irritabili e permalosi che spesso è meglio evitare di conoscerli.

Comunque nessuno, ribatterà qualcuno, offre mai sacrifici alla Follia, o le dedica un tempio, E' vero, me ne dolgo (ve l'ho già detto) e mi meraviglio di tanta ingratitudine. Ma, grazie al mio buon carattere, non me la prendo. E poi, per quale ragione dovrei aspirare a simili offerte? Che cosa me ne faccio di un grano di incenso, di un tortino di farina, di una capra o di un porco? I mortali mi onorano con un culto che gli stessi teologi definiscono più interiore e profondo. No, non invidio affatto Diana, che viene venerata con sacrifici umani. Penso che il modo migliore di rendermi onore sia quello di accogliermi nel cuore (capita ovunque e di sovente) e lasciarsi guidare dai miei consigli in ogni pensiero e azione. Nemmeno i cristiani hanno un contegno così profondamente devoto nei confronti dei loro santi. Quanti sono coloro che spesso accendono una candela alla Vergine maria, magari in pieno giorno, quando non serve neanche per far luce! E quando pochi invece quelli che con una vita casta e moderata e con l'amore per la vita eterna la santificano imitandone l'esempio! Non sarebbe forse questo il modo migliore per servire Dio e le sante schiere celesti?

Che cosa me ne farei poi di un tempio, dal momento che il mio tempio è la terra stessa? Fino a quando l'uomo la abiterà, non mi mancheranno i fedeli. Non sono così stolta da desiderare statue di pietra e tele imbrattate di colori. Le immagini sono di impedimento al vero culto, poiché gli uomini le scambiano per i santi in carne ed ossa e venerano i ritratti anziché loro. Le statue innalzate in mio onore sono tante quanti sono gli uomini che vivono sulla terra e che, a volte senza neppure saperlo, sono mie immagini viventi. Né invidio le altre divinità che sono venerate in questo o in quell'altro angolo del mondo e solo in particolari momenti dell'anno: per esempio Febo si venera a Rodi, Venere a Cipro, Giunone ad Argo, Minerva ad Atene, Giove sull'Olimpo, Nettuno a Taranto e Priapo a Lampsaco. A me invece la terra intera rende onore, sempre e ovunque.

mercoledì 5 settembre 2012

Proof

"Per mettere alla prova la realtà, occorre farla camminare sulla corda. Quando le verità diventano acrobatiche, allora siamo in grado di esprimere un giudizio" sentenzia sardonico il grande Oscar.

Ma quando mi pongo ad aspettare al varco qualcuno, quando agisco, o non agisco, o reagisco, spinta dall'impulsiva necessità di farlo uscire allo scoperto, di metterlo finalmente a camminare nudo sulla corda senza rete, nella sua autenticità, in realtà è me stessa che sto mettendo alla prova.
Perché in verità non ho bisogno di prove. So già prevedere quel che accadrà. Non ho dubbi né difficoltà nella comprensione della realtà contingente che mi accingo a pungolare; essa non ha segreti per me. Sto solo decidendomi ad aprire gli occhi, a cessare di fare resistenza, dismettendo la mia codardia di struzzo, per farci i conti, e valutare la mia forza di farvi fronte, la mia capacità di sopportarla a viso aperto.

Cercando di cavarmi da dentro il coraggio necessario a fare questo salto mortale.

Sono io, l'acrobata da giudicare.



martedì 4 settembre 2012

Autumn

Oggi, rotta, rintronata e sfasciata, con tutte le giunture doloranti e i polpacci tesi e gonfi, sono rientrata al lavoro dopo le ferie.
Attuando l'escamotage suggerito dal marito sovrastando i miei lamenti: "qui l'unica per star meglio è insistere. Vai al lavoro a piedi, di buon passo, vedrai che ti ripigli subito".
Ho così rispolverato una vecchia consuetudine di qualche anno fa, prima di sedermi davanti a questo pc ad impigrirmi e a farmi venire il culo quadro e le gambe molli.

Ci ho messo, a passo di carica, venticinque minuti esatti, arrivando grondante di pioggia e di sudore.
Perché finalmente, oltre alle ferie, è finita anche questa estate torrida e malsana, facendomi gustare un'avvisaglia di autunno in un pacchetto all inclusive: freddo, nuvole, maltempo, traffico impazzito, e rassicuranti manifestazioni di inciviltà dei motociclisti romani che per saltare la fila si arrampicano rombando sui marciapiedi senza riguardi per i pedoni.
(Il tratto di Via Casilina da Ponte Casilino a Porta Maggiore, da me ripercorso oggi in commosso pellegrinaggio tra lo sfrecciare impavido dei motorini, è stato perfetto tester dell'escalation di bestialità dei miei concittadini: se ai tempi dell'amministrazione Rutelli chiunque si fosse azzardato a montare con due ruote sulla lunga striscia di banchina pedonale ivi allocata avrebbe trovato a fine corsa un vigile che gli sbarrava la strada con in mano la contravvenzione già compilata e staccata, dall'epoca della gestione Veltroni - grazie a, e non nonostante, un paio di dissuasori risultati da subito incentivi all'infrazione per quanto era divertente farci lo slalom in mezzo - la barbarie e la cafonaggine sono divenute rapidamente normalità tollerata; e una volta che, particolarmente spaventata e infastidita dal sentirmi alle calcagna veicoli lanciati a tutta velocità, sono andata a reclamare l'intervento dei quattro vigili che stazionavano inerti all'incrocio in fondo alla strada incriminata, mi sono sentita rispondere: "non possiamo farci niente, signora".)

Ho scoperto da qualche anno di amarlo intensamente, l'autunno. Molto più dell'estate, tempo immoto, solitario e feroce che mi disorienta, mi deprime, mi annichilisce, con quel chiarore abbacinante, quel calore insopportabile che brucia e rinsecchisce ogni cosa.
L'autunno, quando tutto si desta dal torpore e ricomincia, ricco di contorni netti e lucidi, di colori scuri e decisi. L'autunno, apice della pienezza, maturo e rigoglioso. Denso di profumi, lustro di pioggia, fresco di vento, brulicante, traboccante di vita.



lunedì 3 settembre 2012

A room with a view

Gli uomini soggiornano il più delle volte unicamente nel piano intermedio della casa che è la loro vita, e hanno arredato l'ambiente in modo confortevole, con buone stufe e altre comodità. Raramente scendono nei luoghi posti più in basso, dove sospettano l'esistenza di fantasmi che potrebbero terrorizzarli; raramente essi si affacciano dall'alto della torre, perché lo sguardo nel profondo e nell'immenso dà loro le vertigini.
Certo, alcuni amano soggiornare unicamente in cantina, sentendosi a loro agio più nelle tenebre e nei rifiuti che nella luce e nella responsabilità; e altri ancora restano volentieri sulla torre per perdersi in lontananze imperscrutabili, irraggiungibili per sempre.
Ma i più infelici sono coloro che corrono senza posa lungo le scale tra la cantina e la torre, lasciando abbandonati e ricoperti di polvere gli spazi effettivamente destinati all'abitare.