venerdì 28 giugno 2013

There must be an angel

Oooooh! Vedi, quello che ad una bambina quale per metà io ancora sono sembra una montagna invalicabile invece si rivela, all'atto pratico, una manciata di ghiaia che scagliata lontano subito non si vede più! Come mi sento bene, adesso! Grazie ad Aldo ed endi e Ambra e ad Alberto che mi ha dato la spinta finale, a Luz, a Utopia e Roberta su FB e al mio fratellone GAS che si è discretamente affacciato a supportare, ho fatto fuori senza sensi di colpa (per la mia tendenza a dubitare di me stessa e delle mie percezioni) una scorietta che da mesi mi tormentava come un sassetto nella scarpa, insomma, uno di quei piccoli fastidi che ti danno più noia di un dolore plateale. E siccome mi sento sollevata oltre ogni dire, e saltello giuliva come un coniglio di Pasqua, per ricompensarvi dell'aiuto prezioso che mi avete dato voglio raccontarvi quello che m'è successo giovedì scorso, otto giorni fa (quasi nove, in questo momento).
(Qualcuno ne è già stato messo a parte discretamente, in separata sede, per il mio pudore di una cosa tanto bella. Ma stanotte sono su di giri e non me la tengo, proprio)
Dunque, giovedì scorso finisco il post infarcito del guazzabuglio di Lacan Quasimodo ed Eurythmics ed esco nel tardo pomeriggio romano. Digiuno per dimagrire e depurarmi dal venerdì precedente, e i crampi allo stomaco sono diventati un sottofondo pulsante che scandisce le mie ore e mi ricorda che il mio corpo è vivo, e io con lui. Il caldo infernale della giornata adesso, alle sette e mezza, si sta tramutando in un tepore dolce, quasi gradevole.
Percorro Via Conte Verde ripensando alle parole della canzone intrecciate alle mie parole, e alla struggente pace che m'è scesa dentro nel cavarmi fuori quella sincerità di pensieri, e non appena arrivo a Piazza Vittorio all'improvviso qualcosa esplode dentro di me. Tutta la commozione di cui ero già gravida camminando si è andata progressivamente tramutando in tenerezza, quella tenerezza per me stessa e i miei simili che conosco bene per averla spesso provata. Solo che stavolta non finisce così, e il sentimento continua a mutare, ad evolversi, è come se mi si ingigantisse dentro, come un seme che crescendo ad un ritmo esponenziale  diventi subito una sequoia. E io, tirata in alto da quella chioma immensa che mi si erge nell'anima, il cui tronco si ancora al suolo, mi sento sollevare da terra, lieve come una nuvola, eppure traboccante di una felicità così assoluta e purissima che mi rende concreta, forte e salda al centro della scena.
E' una sorta di attacco di panico al contrario, che invece di annientarmi mi esalta, e annienta, invece, ogni mia paura, facendomi sentire bene come mai mi sono sentita, tranne (ma in maniera più approssimativa, persino quella meno netta e fulgida di questa di ora) quando ero innamorata. E allora mi spavento e d'istinto vorrei richiuderlo, questo cuore che mi si è spalancato, perché, mi domando turbata, mica sarò finalmente caduta nel transfert? E allora cerco di resistere, e nel frattempo sondo con cautela il pensiero di Edoardo, e mi rendo conto che sì, cazzarola, ne sono davvero innamorata, dei suoi occhi chiari, del suo sorriso buono, del suo abbraccio caldo, ma non più di quanto non lo sia, in questo istante, di quella donna lì alla bancarella delle borse, di quel ragazzo che fa jogging, di questa mandria di ragazzini caciaroni che mi sta passando accanto. Tutto e tutti sono trasfigurati, per me, in un unico oggetto d'amore grande quanto l'universo, e io sperimento dentro la carne l'espressione della poesia di Quasimodo, perché proprio quello mi sta accadendo, di esser trafitta da un raggio di sole. Sola sul cuore della terra, ma trafitta da un raggio di sole, ed è subito sera. E mi rendo conto che i due estremi della poesia sono essenziali per l'inverarsi della condizione di centro: che solo accettando la propria solitudine e la propria caducità si può provare l'ebbrezza della trafittura di un raggio di sole. E siccome io questo ho appena fatto, questo ora mi accade.
Con questa calma, infinita gioia che mi sospinge, senza fretta, nel frattempo mi ritrovo all'entrata del Colle Oppio, la più degna cornice che si possa concepire per questa estasi. Passo accanto alla Domus Aurea e nello scollinare il viale comincia a venirmi incontro il primo cerchio del Colosseo, immerso nella nebbia d'oro della luce del sole basso all'orizzonte. E' troppo, mi dico, questa è un'esperienza mistica, Domine non sum digna. Esulto come i salmisti dell'Antico Testamento, come nel Cantico dei Cantici c'è miele e latte sotto la mia lingua, i miei occhi sono colombe, nastro di porpora sono le mie labbra che stillano nettare, il mio collo è la torre di Davide, e miei germogli sono un paradiso di frutti squisiti, cipro e nardo e zafferano e cannella e cinnamòmo, fontana che irrora i giardini, pozzo d'acque vive.
Il tutto dura una mezz'ora scarsa, poi pian piano si attenua fino a sparire, e io torno dolcemente, gradatamente, sulla terraferma, rinvigorita. E mi dico che se anche trenta minuti così mi capitassero ogni dieci anni basterebbero e avanzerebbero per dare senso e motivo alla mia esistenza, all'esistenza di tutti.

"Nessuno in terra potrebbe sentirsi così
Sono riempita e invasa dalla gioia
Ci deve essere un angelo
che gioca con il mio cuore."
Si vede che è capitato pure agli Eurythmics...




No-one on earth could feel like this.
I'm thrown and overblown with bliss.
There must be an angel
Playing with my heart.
I walk into an empty room
And suddenly my heart goes "boom"!
It's an orchestra of angels
And they're playing with my heart.

(Must be talking to an angel)

No-one on earth could feel like this.
I'm thrown and overblown with bliss.
There must be an angel
Playing with my heart.
And when I think that I'm alone
It seems there's more of us at home.
It's a multitude of angels
And they're playing with my heart.

(Must be talking to an angel)

I must be hallucinating
Watching angels celebrating.
Could this be reactivating
All my senses dislocating?
This must be a strange deception
By celestial intervention.
Leavin' me the recollection
Of your heavenly connection.

I walk into an empty room
And suddenly my heart goes "boom"!
It's an orchestra of angels
And they're playing with my heart.

martedì 25 giugno 2013

L'anno che verrà/2

Caro contatto feisbucchiano di passabile vis retorica, millantati trascorsi picareschi e invidiabile posizione sociale, oggi ne ho anche per te.
Sì, per te: che, già maturo ganimede dissimulante la tua berciosità pappagallesca nella dispensa quale innocente "buon amico delle donne" di comprensione e consigli elargiti ovunque con studiato tatticismo per accaparrarti evidenza e invadenza da prezzemolo, da un po' ti sei convertito - chissà se per definitiva constatazione dei sopraggiunti ed abbondantemente superati limiti di decoro nella pratica in un esame spassionato della tua immagine ovoidale nello specchio de casa (perché nun è mica questione d'età, ce stanno quasi sessantenni come il mio maestro jedi e ce so' sessantenni come te, e se ve potrebbe elegge a campioni delle due opposte categorie, per come il lustro che passa tra di voi somiglia a un secolo) - in acerrimo fustigatore dei vizi della politica e araldo della virtù civile del buon governo, ed ora ci propini indignato e austero ogni due per tre articoli del Fatto quotidiano e guidi la riscossa proletaria (tu, sedicente benestante) sventolando con oltranzismo guerrigliero il tuo vessillo Ingroia e spingendo il tuo afflato populista disvelatore di complotti della Ka$ta fino agli strombazzamenti di fantomatici studi scientifici comprovanti la perfetta efficacia della cura Di Bella boicottata dai governacci cattivi in kombutta con le multinazionali.
A te, che ti applichi accanitamente a vomitare malignità viscerali sugli esponenti del PD rei dell'intesa col PdL, voglio dire quanto sia curioso che in uno dei tuoi ultimi status, tra la miriade di attributi di cui potevi sacrosantamente disporre per significare la loro vituperanda immoralità politica (banditi, delinquenti, malfattori, canaglie, ladroni, farabutti, criminali) ti sia saltato in mente proprio di vagliare un maiali; oh sì, buffo assai, non trovi? che, quando, al principio dell'autunno passato, tu, avendomi adescato per un (primo ed unico) appuntamento per un tè in centro con la scusa di darmi una mano "da amico disinteressato" in quel frangente di mia fragilità psico emotiva, desti seguito alla tua proclamata intenzione mettendomela senza parere su una coscia e tenendola lì un pezzetto, io ti abbia apostrofato in cuor mio con l'esatto preciso identico e perfetto termine...

giovedì 20 giugno 2013

Miracle of love

"...l’insetto che percorre la superficie… può credere in ogni momento che sia una faccia che non ha ancora esplorato, quella che è il rovescio della faccia che sta percorrendo. L’insetto può credere a questo rovescio, benché di fatto non ci sia… Senza saperlo, esso esplora l’unica faccia che c’è, eppure, in ogni momento, c’è anche un rovescio.”
Leggo Lacan, o, per meglio dire, leggo un saggio su Lacan, oscuro e sconcertante psicoanalista e filosofo francese che mi attira da anni ma di cui solo oggi mi pare di riuscire a capire a tentoni qualcosa, e trovo questo insetto che passeggia sul nastro di Möbius, dove il diritto e il rovescio sono tutt'uno in quanto non esiste un solo punto in cui non si uniscano: l'affascinante immagine che Lacan sceglie per quantificare l'indeterminatezza dei confini della mia soggettività, la continua, incessante, necessaria e mai compiuta ridefinizione della corrispondenza tra la realtà a me esteriore e il mio pensiero intimo su di essa.
Sono io, piccolo insetto Cri, ad affannarmi a battere palmo a palmo un qui che è sempre un altrove inafferrabile che io percepisco solo per contrasto e negazione, eco, orma, traccia di un'assenza, brama, desiderio, nostalgia, specchio, riflesso capovolto di qualcosa che, man mano che avanzo, si sposta, per il mio spostamento - sono io che la allontano, è il mio stesso incedere a provocarne il differimento -, di un nulla più in là, inclina portata, prospettiva, accessibilità di quell'infinitesimo gradiente che è la misura dell'immensità incolmabile dello scarto tra il significante e il significato dell'essere, del mio, essere, ritorto nella torsione primigenia tra i contorni della sua finitudine mortale e l'impalpabile universo che lo circonda e lo invade "fuori" e "dentro" di sé.
Quella quarta dimensione, quel quid inconoscibile, quella discrepanza enigmatica che Shakespeare riempì di metafore meravigliose: "Siamo fatti anche noi della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d'un sogno è racchiusa la nostra breve vita", "Tu non hai né giovinezza né vecchiaia, ma un sonnellino pomeridiano nel quale sogni di entrambe", "La vita è un'ombra che cammina, un povero attore che si agita e pavoneggia la sua ora sul palco e poi non se ne sa più niente. È un racconto narrato da un idiota, pieno di suoni e furore, che non significa niente" e che tanti si assoggettano invece dalla notte dei tempi, se ci riescono, a colmare con la fede in una soprannaturale entità creatrice e ordinatrice demandata del senso teleologico in cui poter far riposare la mente inquieta, smarrita, esausta.
Quello squarcio ancestrale, quel trauma incurabile di cui si ammala ogni anima che si segmenta nella coordinate della vita in una nascita, che si guarisce solo con la morte.

Sono quasi giunta al giro di boa, alla canonica, convenzionale metà dell'esistenza. Forse sono anche molto più in là, non lo so, e mentre lo scrivo una strana commozione mi fa pizzicare le narici.
Certo è che tutto quello che solo ieri era ancora progetto da realizzare - studi, lavoro, figli da crescere - l'ho compiuto. Non ho più tutta la vita davanti, il tempo della mia giovinezza è finito, e devo reinventare nuovi motivi, nuovi obiettivi. Stavolta centrati su me stessa.

Probabilmente avrei dovuto farlo anche da prima. 

Intanto tiro un po' di somme, apro le palme e mi guardo cosa ho dentro le mani.
Beh, una nuova consapevolezza: di aver scelto di essere moglie e madre per spostare il fuoco, "di-vertirmi" ovvero distrarmi dalle mie pregresse sofferenze, colmare le mie lacune affettive, specchiarmi negli occhi dei miei figli, dare compagni di giochi alla mia solitaria bambina interiore, nutrire la sua meraviglia delle loro meraviglie, la sua gioia delle loro gioie. Pagando un caro prezzo, non essendo adeguatamente attrezzata all'impegno che mi sobbarcavo, e facendolo pagare anche a loro.
Ma ormai i figli non sono più bambini dipendenti, sono entità adulte, staccate da me, questa brevissima frazione di tempo è passata in un "fiat", mi è scivolata via come acqua tra le dita, e non tornerà mai più.
Così a questa prima consegue la seconda consapevolezza: di essere sola. Di accettare di esserlo, e di esserlo sempre stata. Come peraltro lo sono tutti. Come lo canta Quasimodo: "Ognuno sta solo sul cuor della terra...". 
Percepita, questa solitudine dell'insettino Cri (una formichina, va bene, Jacques? So che tu saresti d'accordo), con una pena così squisita da sbigottirmi e struggermi di tenerezza immensa e dolcissima. Di autentico amore.
La formichina Cri, che nel bagaglio dei suoi ricordi non ha souvenir di un'esistenza grandiosa.
Che non ha mai avuto un grande amore - e probabilmente non l'avrà più, visto che l'unico uomo con cui si senta minimamente in schietta sintonia oggi è il suo maestro jedi, col quale, a prescindere da un'indubbia (e benedetta, per l'efficacia della relazione terapeutica) simpatia reciproca, sussiste un legame forzoso, funzionale, finalizzato, all'interno del quale lui è costretto a non essere spontaneo e incontrollato, e lei ad esserlo troppo - e forse anche quello l'ha fatto per scelta, per proteggere il suo cuore delicato e vibrante, già ammaccato per i colpi presi nell'infanzia, da emozioni troppo violente da sopportare.
Che non ha viaggiato e non ha visto quasi nulla del mondo e delle persone.
Che non ha mai fatto un colpo di testa, non si è mai concessa una trasgressione, mai avuto una minima audacia.
Che non ha realizzato nemmeno una piccola parte delle potenzialità che molti riscontravano in lei, e lei stessa si riconosceva, da ragazza.
Che è sempre stata qui. Tra i libri e la musica e i film e i passatempi - i puzzle, il Mahjong, scrivere scempiaggini - e la sua immaginazione.
Che però ha conosciuto l'altra parte della poesia di Quasimodo, la vertigine della trafittura del raggio di sole, e ancora oggi sa riconoscerla: il calore che l'attraversa, la commozione che le dilata il petto, la dolcezza che le pervade l'anima, una dolcezza di miele che la inonda tutta, e che la convince a vivere, vivere ancora, nonostante tutto, per vedere come andrà a finire la sua piccola avventura su questo pianeta.

"... immagina la tua vita come un grande fiume, e di librarti in volo come un uccello e di osservare questo fiume dall'alto, con le sue anse, ciascuna corrispondente ad un tuo ingorgo, un momento di sofferenza o di vergogna. E osserva che non c'è uno snodo che potresti tagliare senza interrompere il corso del fiume, che ti ha portato alla magia di quest'istante".
Questo non è Lacan, ma mi convince lo stesso.


How many sorrows
Do you try to hide
In a world of illusions
That's covering your mind?
I'll show you something good
Oh I'll show you something good
When you open your mind
You'll discover the sign
That there's something
You're longing to find

The miracle of love
Will take away your pain
When the miracle of love
Comes your way again

Cruel is the night
That covers up your fears
Tender is the one
Who wipes away your tears
There must be a bitter breeze
To make you sting so viciously-
They say the greatest cowards
Can hurt the most ferociously
But I'll show you something good
Oh I'll show you something good
If you open your heart
You can make a new start
When your crumbling world falls apart


lunedì 17 giugno 2013

Il concerto

L'avranno visto tutti in rete, ormai, questo video che riprende l'ultima esibizione dell'Orchestra sinfonica della televisione pubblica greca, a seguito della decisione governativa della chiusura della Ert, appunto l'omologa greca della Rai. Tutti avranno visto le lacrime che scorrono sul viso della violinista bionda, e poi il dolore struggente su quello della corista bruna, mentre canta l'inno nazionale, e tenta di sostenere la sua compagna accanto che non ce la fa e si piega, come spezzata in due.
Io l'ho visto stamane, e le lacrime hanno preso a scorrere anche sulle mie guance, in sincrono con quelle che vedevo sgorgare dagli occhi delle due artiste. Lacrime di dolore, di emozione, di commozione intensa e sincera.
Perché tocca i punti più profondi di me stessa. Perché mi sconvolge quasi più di ogni altra immagine o notizia sulla crisi, i disordini di piazza, i suicidi, i disperati che restano senza lavoro. Perché ne canta, letteralmente, lo strazio che suscita nella carne di esseri viventi, lo rappresenta meglio di tutte le parole del mondo.
Perché ti possono anche levare il pane di bocca, attenteranno alla vita del tuo corpo.
Ma quando arrivano a levarti la musica, ti stanno tagliando un pezzo di anima.

sabato 15 giugno 2013

Sabato, domenica e venerdì

Sabato

Mentre medito amaramente sui sei-sette tubini taglia 44, compreso quello sghicissimo nero delle foto dell'anno scorso sulla scalinata del Visconti, che ho dovuto accantonare perché mi fanno le sembianze di un insaccato (maledetta pillola, l'avevo detto io che mi faceva 'sto scherzo, avrò messo almeno quattro chili, e mo' per perderli so' cavoli amari!!!) ed eroicamente sopporto il primo giorno di dieta fai-da-te che consiste nel digiunare senza se e senza ma, sento un ronzio da qualche parte e m'accorgo che no, non è la lavatrice, è un elicottero che vigila dall'alto sul Gay Pride. In merito al quale mi viene in mente l'ultimo mio pensiero di donna della strada (intesa nell'accezione di genere femminile di "uomo della strada": uh, che gabbie semantiche queste espressioni stereotipate) sul mio nuovo sindaco, aspramente criticato per non aver presenziato. Soprattutto da Aldo Busi, che si è spinto ad affermare che "allora tanto valeva tenersi Alemanno" perché Marino si sarebbe permesso di dire "resto in famiglia", enunciato di gravissima gravità per la pretesa sottesa infamità che lancerebbe contro i gay contrapponendo "la famiglia" di stampo patriarcale, rassicurante, perbenista, cattofondamentalista, difesa ad oltranza dai family day, agli omosessuali stigmatizzati come nemici della medesima e portatori di istanze che ne minacciano la tenuta nella società. Ora, io lo so che Busi è amante della trasgressione e dello scandalo, che gode a spararle grosse per il gusto di ascoltare la sua voce e adora per raffinatissimo snobismo far parte dello showbiz più trash e cheap al punto di partecipare all'Isola dei Famosi, ma a tutto c'è un limite, persino ai paradossi busiani librati in eccitante precario equilibrio tra il genio e l'idiozia. Il fedifrago sta davvero in famiglia, fuori Roma, come peraltro aveva già dichiarato di voler fare per un paio di giorni dopo l'elezione (visto che poi i due giorni coincidevano pure col sabato e la domenica), per ripigliare fiato prima di cimentarsi nella composizione della Giunta, dunque l'espressione "resto in famiglia" null'altro significa che quello che esprime pianamente, e vorrei vedere pure che Marino l'avesse intesa caricare d'altri significati in un voltafaccia subitaneo e completo a un giorno solo dalle elezioni, fregandosi le mani sardonico manco fosse Dottor Jeckyll e Mr Hyde o la Strega di Hansel e Gretel o Cattivik (eccheccazzo d'omo sarebbe, il Genio del Male? E allora adesso che dobbiamo aspettarci, i raduni nazi anche noi a Fori Imperiali? Ecco perché voleva pedonalizzarli, il malvagio!!!). Inoltre al Gay Pride ha presenziato in nome del Campidoglio l'appena eletto Luigi Nieri di SeL, già amministratore regionale, persona stimatissima che chiunque abbia un minimo di cognizione della politica romana conosce e rispetta; e Imma Battaglia, che del Gay Pride è stata più volte organizzatrice, si è candidata per il Consiglio comunale pure lei nelle fila di SeL, dunque correndo per Marino (che non credo non ne sapesse nulla...), risultando, in prima battuta, la prima dei non eletti, e poi ottenendo un seggio in Campidoglio per la proclamata non eleggibilità del suo compagno di partito Andrea "Tarzan" Alzetta, il famosissimo paladino delle lotte per la casa. Dire che tanto valeva tenersi Alemanno è una bestialità, non solo in assoluto, ma anche, dunque, nello specifico. Perché, cos'è più importante, una comparsata propagandistica ad una manifestazione o i fatti? Ecco, giudichiamo i fatti: quelli sin qui avvenuti - le intolleranze, gli episodi di violenza, l'accresciuta insicurezza e il moltiplicarsi degli ostacoli ad una normale e civile vita quotidiana per i gay in questi ultimi cinque anni, che non potevano certo esser cancellati e nemmeno bilanciati da un'affacciata del sindaco strabico fascista in un paio di occasioni al Gay Village, e quelli che verranno, se verranno, come verranno. Solo allora si potrà a buon diritto decidere chi è meglio di chi, e se l'uno vale l'altro. E dopo questo pretendo pane per la mia fame di "ordinaria amministrazione" nel senso migliore del termine; il che, tradotto, significa la speranza di non dover mai più interessarmi di Marino per almeno i prossimi tre mesi...

Domenica

Non pervenuta (spero).


Venerdì

Dopo appena (sic!) due mesi, l'ex amica di cui parla questo post si è accorta che l'ho cancellata da FaceBook, e ha cominciato a bombardarmi: prima una mail, poi un messaggio privato, poi un SMS di cui  conosco solo l'incipit: "oggi passo da Roma, vorrei vederti" (e rivendico il diritto di esser vigliacca e di aver cancellato tutto, mail, messaggio privato ed SMS, senza rispondere e senza leggere niente di quello che contenevano. Tanto cosa avrei potuto replicare? Un bel tacer non fu mai scritto, dice il proverbio, e io approvo e mi adeguo.)
Non faccio in tempo a respingere l'assalto che ne inizia un altro: SMS della mia ex terapeuta che mi chiede come sto, se mi sono ripresa dalla morte di mio padre, che mi pensa sempre, che mi vuole bene etcetcetc. Io, arrancante a ostinato passo di marcia su per Via Bissolati, ripetendomi "undué, undué" per mantenere la cadenza che spero giovi all'erosione del percepitissimo sfregamento del sommo del mio interno cosce, leggo basita. Poi a casa mi faccio coraggio e a questa, sì, a questa rispondo. Undici anni di confidenze, dopotutto, meritano almeno l'onore delle armi. Lei mi ri-risponde. Io rispondo salutando per tagliare. Lei ri-ri-risponde, e io smetto di leggere, abbattuta.
Queste due tizie sono tutte e due psicologhe, e tutte e due invaghite di me. Vado forte con la categoria, wow.
E allora mentalmente rivolgo una prece al mio maestro jedi, il mio Vincent Price dai luciferini occhi cerulei (quando gliel'ho detto, un paio di sedute fa, che non riesco a guardarlo in faccia perché mi mette in soggezione, con quegli occhi da Vincent Price, mi ha risposto saltandomi quasi addosso: perché, cos'hai contro Vincent Price?): Edo, ma perché devono corteggiarmi solo donne psicologhe? Visto che vado forte coi terapeuti, e visto che ora sei tu il mio terapeuta, non si potrebbe, per la proprietà transitiva, avere un messaggino amoroso da te? No? Che ti costa?
Per ora nessun segno di riscontro, azz.



giovedì 13 giugno 2013

Old and wise

Anvedi, ecco, Marino, il mio nuovo sindaco, ha moglie e persino una figlia, e io che avevo arguito fosse un bel zitello, vedendolo sempre accompagnato dalla mamma. La quale risulta nelle note biografiche di wikipedia essere svizzera; ciò che secondo me spiega, in parte, il carattere - non così tipico alle nostre latitudini - fermo, volitivo, determinato, coerente sino all'intransigenza con la propria etica, del figlio. 
Invece il suo aplomb, la signorilità un poco dandy, quel fare cortese, semplice ma suadente che talvolta fa balenare dietro l'apparente bonomia del suo sguardo d'acciaio sapidi guizzi di un sarcasmo graffiante, probabilmente gli derivano dalla sicilianità del padre.
Lui, poi, è nato a Genova. Non so quanto ci abbia vissuto, forse gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, visto che da universitario stava già a Roma, per laurearsi in medicina alla Cattolica Agostino Gemelli; ma certo degli schivi e sobri autoctoni di quella città ha assorbito caratteristiche per la maggior parte diametralmente opposte a quelle di Grillo.
Un bel mix, comunque, per un uomo d'ingegno brillante, d'indole forte e di nervi evidentemente molto saldi, che si appresta, non si sa con quanta competenza da spendere, a governare una delle città più ingestibili del mondo.
(A me, per esempio, già il suo tanto strombazzato annuncio che chiuderà Via dei Fori Imperiali al traffico ha fatto incazzare, anche perché oltretutto non mi pare un provvedimento prioritario. Questo per dire che non ho particolari aspettative - che non siano quelle elementari, minime, per considerarlo un amministratore onesto, e venendo dopo la gestione appena conclusa ci vuol proprio poco - o pregiudizi verso di lui, né in negativo né in positivo.)
Berlusconi, asserendo (in verità con poca passione) che non fosse un credibile candidato sindaco perché, a differenza dell'ingegnere delle biomasse - titolo che gli ho appena scoperto in seguito alla sua dichiarazione "andrò a rispolverare la mia laurea", stupefatta per la laurea e in surplus per l'ingegneria, ma non per l'interesse alle biomasse - Giovanni Alemanno (peraltro nato a Bari), "non è romano", ha mostrato al mondo ulteriori squarci dei suoi abissi di ignoranza, sia in merito alle qualità necessarie per l'amministrazione della cosa pubblica, sia specificamente riguardo a Roma, coacervo di culture e di origini sin dalla sua fondazione, mica paesetto all'ombra del campanile chiuso nell'angusto orizzonte delle sue tradizioni folkloristiche e dei suoi micro egoismi come, per dire, certi centri del trevigiano o del varesotto.
E dunque: come mi sento oggi, da romana finalmente liberata dall'insostenibile degradazione causata dal più sfacciato malaffare coniugato alla più tragica inadeguatezza nel catastrofico operato del penoso fascistello strabico nella maniera più supremamente sconcia che la storia ricordi?
Boh, moderatamente bene.
Essendomi preparata al peggio, non mi sono esaltata oltre misura per il meglio.
Non sono proprio più la pasionaria di una volta. Dieci anni fa, o anche solo sette, o anche solo cinque, per un avvenimento simile avrei stappato bottiglie di champagne, fatto caroselli per le strade, pianto di felicità.
Invece oggi l'entusiasmo è temperato dalla sensazione che tutto sia avvenuto non già per una resipiscenza dei miei concittadini - o connazionali, visti i risultati dei ballottaggi da Nord a Sud -, ma per mera consunzione dell'apparato di potere messo su da Berlusconi e sodali. Usurati dai mille scandali, dall'immagine della totale mancanza di decoro, dall'assoluta negazione di dialettica democratica, dalla macroscopica inidoneità e indifferenza alla gestione dei problemi del paese, alla lunga si sono sfilacciati anche i saldissimi legami coll'elettorato di liberi professionisti, piccoli imprenditori, industriali, adesso pure investiti anche loro dall'onda lunga della crisi, per troppo tempo negata e celata dietro posticce allegrie da paese del bengodi dove tutto va ben, madama la marchesa, quinte sceniche che alla fine sono cadute rivelando il baratro, sepolcri imbiancati che si sono spalancati, facendo emergere lezzo e putritudine. E poi alla lunga tutto stanca: la volgarità, l'insulto, il becerume, la sfacciataggine, ora che poi ci arrivano da più fronti, cominciano a stufare la gente, smettono di essere di moda, stuccano, non divertono più. Ci sono molte spie di questo fisiologico cambio di rotta, nei dibattiti TV, negli psicodrammi che martoriano il Movimento Cinque Stelle. E forse, chissà, è arrivato il momento di un nuovo Rinascimento, se non di sostanza, almeno di forma, nell'affermazione del galateo, della pacatezza, dell'educazione, dei buoni studi e buone letture, della dialettica un po' noiosa e soporifera di un Letta o di un Marino, che quieta, distende i nervi scossi, fa ripigliare fiato, dopo anni di cappi e mortadelle sventolati in Parlamento, facce di tolla del Cavaliere lider maximo, grugniti preistorici di Bossi, Borghezio o di Calderoli, provocazioni alla Feltri o Belpietro, gutturalismi gasparriani, irrisioni luciferine alla La Russa, diti medi di Santanché, e, per non risparmiare l'opposto fronte, sgrammaticature dipietresche venate di populismo, rotacismi bertinottiani o scempiaggini pupo-pieraccionesche di Renzi (del quale, visto il cambio di trend, spero presto declinino le fortune).
A proposito di Letta, egli è stato perculato da tutti per aver detto che il voto di queste amministrative rafforza il governo delle larghe intese. Certo, più o meno siamo dalle parti della battuta del genio burlone su twitter che vuole Berlusconi contentone perché, se pure lui ha perso ovunque, in compenso ovunque ha vinto il PD, suo alleato. In verità qui c'è poco da rafforzare o indebolire. In Parlamento c'è una maggioranza formata da due partiti che alle amministrative hanno corso in antagonismo perfetto, e all'opposizione ci sono due forze, la Lega e SeL, che alle amministrative hanno corso alleate, una ciascuna, delle due forze di maggioranza: un guazzabuglio. Io però mi sentirei di dire semmai il contrario, e cioè che il governo di larghe intese non ha danneggiato Letta, inteso come esponente del PD. Insomma, l'elettore del centro sinistra, di solito assai poco incline all'indulgenza con i suoi politici di riferimento, non ha evidentemente considerato l'attuale vituperato inciucio come l'ennesimo peccato imperdonabile da far scontare ai "suoi" ritirando la sua adesione nell'urna.
E a questo punto, fatta salva la solfa delle amministrative che non son politiche, del radicamento sul territorio e quant'altro, resta il fatto che Berlusconi ha toccato con mano la raggiunta volatilità del consenso popolare. E non può più crogiolarsi sugli allori dei sondaggi favorevoli in caso di scioglimento anticipato delle Camere. Senza contare che il marasma grillesco può pigliare direzioni imprevedibili, e nemmeno la Madonna può profetizzare l'impossibilità di un ricambio di maggioranza con pezzi di M5S e SeL e PD se il PdL, sfilandosi, dovesse far cadere il governo Letta.
In quanto all'astensionismo, io penso che anche il non voto è un voto. Tanto più in un sistema maggioritario. Ossia, è l'espressione di una volontà elettorale consapevole delle conseguenze di essa. Quando io, per non riuscire a votare la Bonino, annullai la scheda delle regionali 2010 scrivendoci sopra "Vendola", sapevo di star sottraendo un voto al centro sinistra, regalando così un vantaggio al centro destra. E avevo messo in conto che nella vittoria della Polverini (che io davo, se non per certa, almeno per alquanto probabile) io avrei avuto la mia parte di responsabilità. Ma all'epoca pensai "mai si rompe, mai s'aggiusta". E poi, mi perdonino i suoi estimatori, io la Bonino, per quanti sforzi faccia, non riesco proprio a mandarla giù.
Insomma, voglio significare che i cittadini romani, se fossero proprio stati pregiudizialmente contrari a Marino, avrebbero fatto lo sforzo di andare al seggio e mettere la croce su Alemanno. Non averlo fatto fa ritenere che essi avessero messo in conto, con la loro diserzione, di favorire, nella migliore delle ipotesi, ambedue i candidati, e che avrebbero potuto ritrovarsi sindaco indifferentemente l'uno o l'altro. Poi in realtà si capiva bene che l'aria tirava molto più a favore di Marino, indipendentemente dai suoi meriti. Ma questo, con ogni evidenza, non è bastato ad indurre i suoi oppositori ad andare a sostenere il sindaco uscente. E allora vuol dire che, se pure non erano entusiasti dell'ancora illustre sconosciuto Marino, lo erano ancora di meno di Alemanno, di cui avevano sperimentato cinque anni di operato. Più chiaro di così!
Sic stantibus rebus, io credo che, in ogni modo, stavolta abbiano vinto le forze del bene: che sia stata, questa vittoria, una vittoria della democrazia, della volontà di cambiare passo, della necessità di chiudere un folle ciclo di demagogia e populismo che ha stremato il paese. Magari verrò smentita di qui a un mese. Ma in fondo questa imprevedibilità non è un male: nessuno, nemmeno Berlusconi, può più essere sicuro di nulla. Il che, anzi, direi che è proprio un bene.
Il vantaggio di aspettarsi di tutto è che ti riempi di fiducia. Possono capitare catastrofi come possono accadere meraviglie. E le une e le altre sono destinate a finire, immerse nell'incessante variabile fluttuare delle cose della vita. E' una faccenda che, finché sei giovane, non comprendi, e allora ogni sconfitta è un assoluto che ti fa disperare, come ogni trionfo ti fa schizzare in cielo, destinandoti a dare una bella culata ricadendo, inevitabilmente.
Invece così sai che ogni sconfitta non è definitiva, perché domani potrebbe ribaltarsi in vittoria. Ma anche viceversa, e questo ti aiuta a restare coi piedi per terra, a circoscrivere, contestualizzare, dare contorno alle cose.
Dunque sono moderatamente soddisfatta, moderatamente ottimista e soprattutto serena.
Vado al cinema, guardo una commedia francese rutilante di romanticismo, colori pastello, amore per il cinema, e scopro che riesco a godermela come quando ero ragazza, con lo stesso calore nel petto.
Poi vado al Campidoglio, e lo scopro immutabile, da ieri ad oggi, nelle losanghe del pavimento michelangiolesco, nella statua equestre di Marco Aurelio che adesso è una copia ma nei turisti continua a creare l'illusione perfetta di quella ora custodita nel Palazzo dei Conservatori perché quello che conta non è l'oggetto, ma la sua funzione simbolica, il miraggio di magia che evoca, i cinque anni dell'era del sindaco più imbarazzante della sua storia passati come un soffio e già assorbiti, inglobati, digeriti.
Poi la mattina dopo vado in ufficio, e davanti all'ennesima meschineria provocatoria del capo, che fino a qualche tempo fa mi avrebbe mandato il sangue alla testa, mi sento così divertita, e così fiera di averla saputa supporre, e così contenta che lui non mi abbia smentito, che mi viene voglia di andare a schioccargli un bacio in fronte (anche lui, come Alemanno, è più basso di me) ed esclamargli con gratitudine: non mi hai deluso!
Non lo faccio, ma questo mi cambia tutta la giornata. Come Roma ho traversato deserti di abomini uscendone senza un granello di polvere addosso, serafica, intangibile.
E ho scoperto che, come Roma, posso diventare vecchia e saggia senza perdere la giovinezza e la bellezza. Alé.

(Edit: leggo ora che "Veltroni lancia Renzi a segretario". Cavoli, i miei auspici allora si avverano prima del previsto!)

lunedì 10 giugno 2013

Side effects


Mattia Marchesi
29 minuti fa ·
Il PD fa il pieno ai ballottaggi. A dimostrazione che sostenere Berlusconi fa vincere.
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Maria Cristina Vecchiarelli E allora perché il PDL ha perso?
17 minuti fa · Mi piace

Mattia Marchesi Mi pare evidente, stanno abbandonando la nave che affonda.
13 minuti fa · Mi piace

Maria Cristina Vecchiarelli No, io cercavo di fare la prosecuzione logica della battuta: capisco di non essere del mestiere, eh. Ma se sostenere Berlusconi fa vincere, allora vuol dire che il Pdl non lo sta sostenendo? Ma allora, se non lo sta sostenendo, non è vero che il governo attuale è un governo Pd-Berlusconi, ma un governo Pd-Pdl che non sostiene più Berlusconi. Ergo, il Pd non sta sostenendo Berlusconi. O no?
11 minuti fa · Mi piace

Mattia Marchesi L'architrave comico della battuta sta nel fatto che il PD (partito notoriamente perdente) si è scontrato col PDL (entità con a capo Berlusconi, notoriamente vincente) alle comunali, pur governando insieme al PDL stesso.
E' evidente che trattasi di iperbole e non di raffinato ragionamento politico che, per essere tale, non verrebbe scritto da me.
4 minuti fa · Mi piace

Maria Cristina Vecchiarelli Qui di raffinato c'è solo il sale che ha sparso Alemanno: l'ho detta, la battuta da Bagaglino, così non ci pensiamo più.

(A domani considerazioni più serie. Oggi godo solo, e godo ancor di più dei rosiconi. Tiè)

Un inverno da baciare


Ha lentamente languito anche la fine di questa domenica stagnante, imbronciata di nubi e di vento, e poi arresa nel tardo pomeriggio al sorriso di un pigro, lento, dolce tramonto del sole.
Ho passato un sabato pesante, oppressivo, con lo spirito solo a tratti liberato dopo la pulizia di un bello scoppio di pianto. Ma subito gioconda, in quei tratti, lustra, nitida, assolutamente serena, guizzata su dal mare procelloso come un delfino, o una sirena, che combattono agili e sinuosi contro, e in, un elemento familiare, conosciuto e riconosciuto.
Sono stata al cinema da sola, a gustarmi col piacere di una bimba al luna park l'ultimo Sodebergh, un thriller mefitico e mordente al punto giusto, dove come nelle migliori fiabe i buoni fessi diventano malefici vendicatori e le furbissime streghe vengono sputtanate e punite come meritano. Poi come Jep Gambardella - lui solo a piedi, io in compagnia della mia bellissima Agila - ho fatto un bel girotondo per le strade decongestionate e illuminate, assaporando la supplementare magia dell'aria del sabato sera nell'usuale magia dell'atmosfera di Roma e riflettendo quieta e silenziosa su me stessa.

E ora, che è di nuovo notte, la notte di un giorno costellato di innumerevoli minuscole tempeste in un bicchier d'acqua a cui comincio a reagire con sempre maggior fiacchezza ed indifferenza e incastonato come una tiara di diamanti di altrettante piccole purissime gioie, chiudendo FaceBook prima di dormire scopro sulla bacheca di una delle Grandi Donne che mi onoro di conoscere il link de I treni a vapore, e un flusso di ricordi dolceamari mi investe soffice, senza travolgermi.
L'ho amata tanto, questa canzone, col suo ritmo che simula lo sferragliare del treno sui binari, e la sofferenza a cui faceva da soave sottofondo, e da cui mi scuoteva e rincuorava.

"Quest'inverno passerà" ha scritto Alessandra, estrapolando la frase dal testo del suo ritornello, probabilmente in riferimento al tempo meteorologico e metaforico in cui stiamo vivendo.

Curiosa coincidenza: nel pomeriggio, mentre da sola guardavo da dietro i vetri il sole basso e morbido all'orizzonte, anch'io avevo pensato ad una canzone che parlava d'inverno.
Un'altra canzone che mi piace tanto.
La posto perché io così piuttosto ora mi sento, e mi raffermo in questo sentire sempre più, in particolare se estrapolo questi altri versi da quest'altro ritornello: "Io sono qui a dirti che non ho più paura".

Ora non voglio più che passi quest'inverno, io lo voglio baciare.

(Buonanotte)

mercoledì 5 giugno 2013

Braveheart

Uscì dall'ascensore già trafelata: erano più in ritardo del solito.
"Cribbio, figlia giacobina, sono le otto e un quarto! Oggi davvero te lo scordi di arrivare entro le otto e venticinque."
"Chissenefrega, tanto ormai è finita" rispose la giacobina insolitamente rilassata, inducendole per riflesso un rallentamento dell'andatura frenetica.
Fu per questo, con tutta probabilità, che lo vide.
Girato l'angolo dell'androne, sul muro adiacente all'ascensore della scala A, tra le cassette delle poste, nella bacheca condominiale, ella lo vide.
Vide il manifestino variopinto che invitava a votare al ballottaggio della domenica seguente il sindaco uscente, con l'immagine infelice della faccia di quell'ominide piccolo e sgraziato, brutto, avulso in tutto alla città da lui amministrata per quanto avesse fatto per renderla a lui somigliante, e sotto la scritta "Abbiamo salvato Roma."
La sua retina registrò parole che il suo cervello si rifiutava di elaborare.
"Ab-bia-mo.sal-va-to.Ro-ma?"
Poi realizzò. Farlo e abbattersi come una furia sullo sportello della bacheca, tentando di forzarlo a pugni, fu tutt'uno. Ottenne invece solo di rincalcarlo verso l'interno. Ma anche così deformato il maledetto restava  ermeticamente chiuso, geloso e malevolo custode dell'ignobile foglio propagandistico. Sarebbero occorse le chiavi, in dotazione solo all'amministratore e ai consiglieri del condominio. E siccome il manifestino risultava perfettamente appoggiato alla parete della teca era evidente che non era stato infilato da sopra, ma accuratamente posto e steso da qualcuno che le chiavi le aveva.
Che nel suo condominio ci fosse una maggioranza, o comunque una chiassosa minoranza, di bruti e idioti fascisti era cosa amaramente risaputa, tentò di razionalizzare lei per calmarsi. Provò a consolarsi  pensando che per fortuna nel suo quartiere questo palazzo politicamente in controtendenza col resto della popolazione che vi risiedeva era considerabile ancora una mosca bianca, e perciò un manifestino, ancorché recante uno slogan, più che menzognero, inconcepibile, che gridava vendetta a Dio, non avrebbe influito in modo significativo sul corso degli eventi. 
Fece un profondo respiro. Attraversò l'androne, uscì dal portone, se lo chiuse alle spalle e fu fuori.
L'aria tersa e fresca del mattino le snebbiò le idee.
Si guardò intorno, guardò lo schifo dei cassonetti traboccanti di rifiuti, le saracinesche abbassate su polverosi magazzini abbandonati, le macchine ammassate in terza e quarta fila, la zozzeria per strada. Immaginò le zoccole di fogna correre assatanate sotto lo strato dell'asfalto. Cinque, ne aveva trovate l'uomo che puliva le scale, morte in cantina, dopo che aveva messo le esche col veleno a seguito del passeggio serale di un paio di loro, una arrivata fino al pianerottolo del quinto piano. Pensò alla recrudescenza di furti dei ladri d'appartamento, al Colosseo che perdeva i pezzi, ai tagli dei posti negli asili nido, alla metro C coi lavori indietro di oltre due anni, ai mezzi pubblici in sfacelo, all'illegalità che aveva colonizzato ogni cantone, alle sparatorie per strada, all'inciviltà imperante che aveva superato ogni livello di guardia. 
Le tornò l'impulso di prima di sfasciare tutto. Ma stavolta incanalato in una direzione risolutiva.
Divenne lucida, determinata e calmissima.
Seraficamente chiese alla giacobina: "hai per caso un foglio di carta?"
Quella la guardò con occhi d'intesa, e, senza proferire parola, aprì la borsa, ne estrasse un quaderno ad anelli coi fogli celesti, ne strappò uno e glielo porse.
Lei sorrise. "Grazie. Ora chinati, così ti uso come tavolino. Devo scrivere."
Due minuti dopo era attaccata al campanello del citofono. 
"Aprimi, ho dimenticato di mettere una cosa nella bacheca del condominio" ordinò imperiosa al marito assonnato.
Per colmo di sventura il colpo che aveva assestato allo sportello l'aveva piegato all'indietro, stringendo la fessura dove avrebbe dovuto infilare il foglio. Le venne da ridere, all'idea che aveva rischiato di sabotarsi da sola. Ma insistette fino a che il foglio non passò. Di largo invece che di lungo, ma passò.
Arretrò di due passi per contemplare compiaciuta la sua opera. Si sentiva benissimo, ora: aveva ottenuto il suo scopo, anzi, aveva preso due piccioni con una fava.
La faccia del sindaco era completamente coperta dal foglietto. Sul quale chiunque, inclinando appena la testa, avrebbe potuto agevolmente leggere a caratteri cubitali "AVETE IL CULO COME LA FACCIA. PEZZI DI MERDA."
E solo a quel punto si avviò, soddisfatta, a cominciare lietamente la giornata.
Poi, quando arrivò in ufficio e lo raccontò alla sua collega caterpillar grillina, ottenendo in replica un rabbioso "quello è uguale a tutti gli altri" l'armonia psichica recuperata andò subito a farsi benedire...

martedì 4 giugno 2013

Serendipity

Da wiki: 
Il termine serendipità è un neologismo indicante la sensazione che si prova quando si scopre una cosa non cercata e imprevista mentre se ne sta cercando un'altra.
A me capitano di continuo esperienze di serendipità, ovviamente. Me ne nutro, sono il mio pane quotidiano. Il mio cervello sfrenato galoppa in permanenza, sgroppa, si impenna, non si acquieta mai.
C'entra molto con la serendipità la mia tendenza a connettere in unico sentire cose tra loro lontanissime, come la filosofia e le canzonette. Non esistono scissioni nella mia cosmologia personale: alto e basso, sacro e profano, bellezza e bruttezza sono sfaccettature di un unico poliedro.
Il defunto casumano mi disse, un pomeriggio: "tu sei come un prisma che è stato forgiato al buio e poi, d'un tratto, viene esposto alla luce, ed ecco che subito mentre quella gli passa attraverso la scinde e rifrange in tutti i colori dell'arcobaleno, creando un'insolita affascinante fantasmagoria nuova di zecca. Questo effetto tu fai alle persone. Perché, ricordati: la luce viene da fuori, ma la forma è la tua".
Poetico e lusinghiero, quel giudizio mi intenerì non poco. Mi sembrava calzarmi bene addosso, espresso con fondamento, e pertanto mi spinse a perseverare nell'erronea convinzione che tra noi ci fossero una sintonia e un affetto profondi. Col senno di poi quell'apostrofarmi retorico ha svelato il suo retrogusto di stantio e di falso, ma all'epoca mi parve il segno che ero stata riconosciuta. E se pure non c'era autenticità e reale trasporto nell'anima di chi l'aveva espresso, c'era la verità della commozione che aveva in me suscitato a legittimarlo fino ad oggi.
Questa, insomma, è una qualità di cui mi è piaciuto gloriarmi a lungo.

Fino a che la settimana scorsa il mio maestro jedi non ha tirato in ballo la resilienza come dote indispensabile per vivere pienamente e positivamente, di cui, a sentir lui, io sarei provvista.

Sempre da wiki:
Resilienza [dal lat. resiliens, genit. resilientis, part. pres. di resilire "saltare indietro, rimbalzare"] è un termine che può assumere diversi significati a seconda del contesto:
in ingegneria, la resilienza è la capacità di un materiale di resistere a forze impulsive (ovvero, la capacità di resistere ad urti improvvisi senza spezzarsi).
in informatica, la resilienza è la capacità di un sistema di adattarsi alle condizioni d'uso e di resistere all'usura in modo da garantire la disponibilità dei servizi erogati. I contesti di riferimento sono quelli relativi alla business continuity e al disaster recovery. Sinonimi di resilienza sono: elasticità, mobilità. È definibile anche come una somma di abilità, capacità di adattamento attivo e flessibilità necessaria per adottare nuovi comportamenti una volta che si è appurato che i precedenti non funzionano.
in ecologia e biologia la resilienza è la capacità di un ecosistema, inclusi quelli umani come le città, o di un organismo di ripristinare l'omeostasi, ovvero la condizione di equilibrio del sistema, a seguito di un intervento esterno (come quello dell'uomo) che può provocare un deficit ecologico, ovvero l'erosione della consistenza di risorse che il sistema è in grado di produrre rispetto alla capacità di carico.
in psicologia, la resilienza viene vista come la capacità dell'uomo di affrontare le avversità della vita, di superarle e di uscirne rinforzato e addirittura trasformato positivamente.

A conti fatti, oggi preferisco la mia resilienza alla mia serendipità.

lunedì 3 giugno 2013

Insieme




Dunque, complice l'anfitrione e pronubo Aldo il Monticiano sabato scorso a Roma si sono incontrati e misurati in singolar tenzone intorno ad un tavolo (e che tavolo!) un poker di re e uno di regine: il grande Carlo, l'ottimo Massimo illustre discendente del nostro ospite, Alfredo e Franco, i due valorosi consorti della Cri che vi parla e della formidabile Sandra, anch'esse presenti e costituenti la metà del mazzo delle sovrane insieme all'altra metà, formata dalla piacevolissima sorpresa (per me che non la conoscevo ancora) Erika, e dalla meravigliosa Ambra.

La sublime disfida, apertasi a mezzogiorno, si è protratta sino alle sedici senza che alcuno di noi desse segni di disfatta. C'è bisogno di descrivere le interminabili delizie gastronomiche che ci sono state ammannite, o di narrare la nostra eroica resistenza nel fronteggiarle? Io dico di lasciar spazio alla più fervida fantasia: chi immaginasse un banchetto imperiale dei tempi del Divo Augusto non commetterebbe fallo.

Non è invece apprezzabilmente immaginabile la mia gioia nel riassaporare l'abbraccio e la presenza di persone che ho imparato in tutti questi mesi a considerare care al mio cuore: tranne Aldo, che vedo spesso, Massimo, che vedo ogni tanto, e Alfredo, che vedo tutti i giorni, gli altri disertavano il mio sguardo da oltre un anno. E ne avevo davvero nostalgia.

Il tempo è passato troppo in fretta: quattro ore sono volate come pochi istanti. Ore in cui non avrei mai creduto di sentirmi così felice, così in stato di grazia, così al posto giusto nella vita.

Non avrei mai pensato di emozionarmi sentendo descrivere il fantastico, esaltante mondo dell'aceto di Modena. Che bel modo di impiegare un pezzetto di esistenza, stare assieme a voi.

Non vedo l'ora di rivedervi.

E' stato immensamente bello trovarci e ritrovarci... Insieme.