giovedì 28 novembre 2013

Vacanze romane

Vado a Londra con tutta la famiglia.
Contro la mia volontà.
Perché l'unica bestia di casa che avrei voluto portare - Lilith, la gattina - invece resta qui.
Vabbé.
Ci vediamo martedì.

The big sleep

L'altra sera ho scovato sulla bacheca della pagina FaceBook di Angelo Branduardi questo link che mi ha catturata all'istante con la sua prima immagine e il suo interrogativo intrigante, che pareva formulato anch'esso da un bambino.
"Dove dormono i bambini di tutto il mondo?"
Poi ho letto il post, scoprendo che è una serie di scatti che risale al 2010, che ne sono stati tratti un libro all'epoca pubblicizzato su riviste di moda e costume come Vanity Fair e su quotidiani autorevoli o presunti tali come il Corriere, e una mostra esposta anche all'Auditorium di Roma nel 2011 (che ho improvvidamente perso); e che l'autore è un fotografo che collabora col patinato Oliviero Toscani; eppure con questo lavoro riesce a raggiungere una tale concretezza da risultare gli antipodi di quello stile insopportabile.

James Mollison, così si chiama, "ha fotografato in giro per il mondo le “camerette” di tanti bambini. Ogni stanza rivela la cultura e la storia di ogni piccolo d’uomo. Ogni stanza mostra la guerra o la pace di un popolo. Ogni stanza rispecchia il mondo di quel bambino.
Lo spazio dove ogni persona dorme è uno spazio intimo, carico di emozioni, significativo. Assistere a queste fotografie ci fa catapultare in un mondo diverso dal nostro, ci costringe a riflettere, tocca il cuore e talvolta ce lo sgretola… La fotografia, in questo caso, spiega più di mille parole."

Sono stata una bambina senza cameretta: senza il diritto ad un angolo tutto e solo mio, né esterno né interno.
Sono stata, peraltro, anche una bambina insonne: dall'età di nove anni, per larga parte della mia vita.
Dev'essere per questo che è scattata in me una sorta di identificazione a prima vista. E una curiosità intensa, empatica, fatta di tante domande.

Come saranno gli istanti tra la veglia e il sonno di questi piccoli, quel limbo incerto in cui i sensi cominciano a obnubilarsi e lentamente, gradatamente, dolcemente, ci si abbandona, scivolando nella perdita di conoscenza? Assomiglieranno a quelli che erano i miei? Quali sogni verranno a popolarlo, questo sonno? Esisterà nelle loro notti uno spazio franco, preservato, inaccessibile, dove questi guerrieri in miniatura possano deporre l'ingombrante e duro armamentario di imposizioni familiari, culturali e sociali a cui sono sottoposti durante il giorno, ogni giorno, per tornare a varcare nudi e lievi e indifesi la soglia della loro anima innocente, dove poter errare sospesi nella soffice, aerea indeterminatezza del loro piccolo inconscio di piuma? 

Al di là delle situazioni contingenti e delle costrizioni esistenziali - qualsiasi situazione contingente, qualsiasi costrizione esistenziale -, continua a sussistere lo spazio integro di libertà e di fantasia e di autonomia che ogni essere umano tiene dentro di sé ed esterna come può ma in maniera inequivocabile, e che nella fanciullezza, qualsiasi essa sia, è particolarmente incomprimibile? Resiste la consolazione di scoprire che, sotto la ferrea visiera della corazza in cui l'hanno imprigionato gli adulti, persiste lo sguardo puro, l'incorruttibile nucleo caldo e vitale di un bambino?

Ecco, nonostante le contraddittorie apparenze, in molti scatti sconsolanti al punto di parere la negazione completa di ogni speranza, mi piace pensare che queste foto struggenti mi rispondano "sì".

lunedì 25 novembre 2013

She


Ultimi scampoli della giornata contro la violenza sulle donne.
L'anno scorso lisciai l'appuntamento, troppo concentrata su me stessa per rendermi conto di ciò che mi circondava ed includeva. Feci invece sul tema un post appassionatamente controcorrente due anniversari orsono. Che si concludeva così:


condivido l'allarme per la violenza sulle donne, gli occhi ce li ho, ho un cuore, vedo e sento, sono solidale, comprendo l'enormità del problema, che denuncia una tragedia epocale, un dramma relazionale ed esistenziale che è tale sia per le donne che per gli uomini. Però, sarà che nella mia vita ho ricevuto le peggiori violenze non da maschi ma proprio da donne, sarà che sono carente, incerta, nella determinazione di me stessa e dunque nel mio riconoscermi nel mio genere, non riesco a non considerarmi, e a non voler essere considerata, prima di tutto, prima ancora che una donna, una persona.


Era una vita fa. 

E io sono comunque diversa, tanto diversa, se oggi, pensando a questa giornata, non mi viene altro in mente che questa canzone, piena di tutte le parole insincere più dolci ed emozionanti che un uomo, qualsiasi uomo, possa esser capace di concepire e di pronunciare, credendoci, quando è coinvolto da una donna.

Una donna idealizzata, e in quanto tale strumentalizzata, osannata, omaggiata. 
Una donna che è tutto fuorché una donna concreta con cui entrare in relazione, con cui spartire la vita, la quotidianità faticosa, non sempre esaltante, spesso frustrante.

Ma ho visto commenti, post, status su FaceBook, così tanto - giustamente - amareggiati e incupiti, oggi, che non mi sembra abbia senso aggregare a quelli il mio lamento.
Preferisco ricordare la donna, anziché la violenza. Lei. She.

Con una canzone ruffiana e bugiarda, ma veramente tanto, tanto bella.



Lei può essere il viso che non posso dimenticare
La scia di piacere o di rimpianto
Può essere il mio tesoro o il prezzo da pagare
Lei può essere la musica cantata d’estate
Può essere il freddo portato dall’autunno
Può essere centinaia di cose differenti
Come il misurare del tempo di un giorno
Lei può essere la bella o la bestia
Può essere la fame o l’abbondanza
Può cambiare ogni giorno nel paradiso o nell’inferno
Lei può essere lo specchio dei miei sogni
Il sorriso riflesso in un torrente
Lei può non essere quello che sembra essere dentro al suo guscio
Lei che sembra sempre felice fra la gente
I suoi occhi possono essere cosi lucidi e cosi fieri
Nessuno ha il permesso di vederli quando piangono
Lei può essere l’amore che è troppo sperare che duri
Forse viene da me dall’ombra del passato
Ma la voglio ricordare fino al giorno in cui morirò
Lei può essere la ragione per la quale sopravvivo
Il motivo e il fine della mia vita
Quella di cui voglio prendermi cura durante gli anni difficili
Io, voglio prendere il suo sorriso e le sue lacrime
E farne miei souvenirs
Dove lei va io voglio esserci
Il significato della mia vita è lei
Lei

sabato 23 novembre 2013

Reflection

Dimmi, dimmi chi è
l'ombra che
riflette me
non è come la vorrei perché
non so

Chi sono e chi sarò
lo so io, e solo io
e il riflesso che vedrò
mi assomiglierà

Quando il mio riflesso avrò
sarà uguale a me.




giovedì 21 novembre 2013

Fix you

Aggiustarmi non puoi.
Questo si sa.
Però mi stai accanto, mi guardi, mi vedi.
Mi dai tutto quello che puoi darmi, ti pigli tutto quello che ti puoi pigliare.
Al limite mi farai un po' compagnia.
Grazie, Edo.
Buonanotte.



When you try your best but you don't succeed 
When you get what you want but not what you need 
When you feel so tired but you can't sleep 
Stuck in reverse 

And the tears come streaming down your face 
When you lose something you can't replace 
When you love someone but it goes to waste 
could it be worse? 

Lights will guide you home 
and ignite your bones 
And I will try to fix you 

High up above or down below 
when you're too in love to let it go 
but If you never try you'll never know 
Just what your worth 

Lights will guide you home 
and ignite your bones 
And I will try to fix you 

Tears streaming down your face 
When you lose something you cannot replace 
Tears streaming down your face and I 

Tears streaming down your face 
I promise you I will learn from my mistakes 
Tears stream down your face and I 

Lights will guide you home 
And ignite your bones 
And I will try to fix you

Fedele alla linea/3

Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane.

Fedele alla linea/2

Se si vuole da me indignazione a comando, mi spiace, non ne ho più: l'ho esaurita nel quinquennio 2001-2006, partecipando a decine di manifestazioni, sit in sotto il Parlamento, cortei, fiaccolate e girotondi, tutti inutili perché l'italiano non vuole vivere in democrazia, vuole vivere nel mondo delle favole.

Fedele alla linea/1

Cresci un figlio che a vent'anni è un menefreghista e una figlia che a sedici e mezzo è una virago. E ti dici che è tutto regolare, che è l'età e che tu devi comprendere e non preoccuparti. Poi, però, quando la gattina che a due mesi era una bestiola adorabile a sei è diventata una tigre del Bengala, cominci a portela, qualche domanda, sul tuo sistema permissivo di allevamento dei cuccioli.

E poi ancora ti rispondi che sì, hai fatto bene così.

giovedì 14 novembre 2013

Tacea la notte placida

Tacea la notte placida
e bella in ciel sereno
la luna il viso argenteo
mostrava lieto e pieno...
Quando suonar per l'aere,
infino allor sì muto,
dolci s'udiro e flebili
gli accordi di un liuto,
e versi melanconici
un Trovator cantò.

Versi di prece ed umile
qual d'uom che prega Iddio
in quella ripeteasi
un nome...il nome mio!
Corsi al veron sollecita...
Egli era! egli era desso!...
Gioia provai che agli angeli
solo è provar concesso!...
Al core, al guardo estatico
la terra un ciel sembrò.




(E' sera, rientro a casa afasica, sfinita da una drammatica seduta di terapia che ha somigliato in tutto e per tutto all'esorcismo di una posseduta, e vedo sorpresa volgere gli eventi al positivo in una progressione che ha del miracoloso: la gattina mi inquadra sull'uscio e istantaneamente comincia a fare le fusa, il ventenne apatico mi accoglie sorridente, la giacobina mi chiede con dolcezza di darle una mano a riguardare il suo saggio su Giuseppe Verdi. Io lo leggo assieme a lei, ancora scossa dall'esperienza maieutica appena conclusa, e ad ascoltare i dolori e le passioni dell'uomo e dell'artista vengo travolta dall'emozione, mi scendono le lacrime, e allora quella, continuando a sorprendermi, invece di innervosirsi come d'uopo comincia timidamente a postare dal tubo, una dopo l'altra, in un crescendo di entusiasmo, le arie d'opera che le ho fatto conoscere e che le piacciono, per lo più verdiane, ma anche qualcuna tra le più note pucciniane, solo quelle cantate dalla Tebaldi però, perché è lei, a casa nostra, la preferita nella storica tenzone tra le due soprano rivali, e io ad un certo punto tiro fuori questa, di cui sono innamorata sin da bambina, e mi dà subito la stessa consolazione di allora: anche se ora non mi provoca sussulti né alimenta sogni romantici, solo mi dona pace, oscura e vellutata, nel constatare che sì, adesso questa notte, finalmente placida, tace, la luna argentea in cielo è davvero quasi piena, e nel silenzio amplificato, nella quiete serena, par davvero di udire, da immense lontananze, da dentro l'anima mia, il suono flebile, quasi inavvertibile, ma nitido e chiaro, della voce del Trovatore che mi chiama, che chiama proprio me, senza incertezze, senza fallo, mi riconosce, mi nomina, ed ecco, io ora esisto, sotto questo cielo, abbracciando il mistero, in questa notte tranquilla, in questa minuscola porzione d'infinito)

martedì 12 novembre 2013

Un romantico a Milano

E a festa finita, dopo un inquieto dormiveglia su di una zucca Frecciarossa funestato dalla scomodità dei sedili e dai fastidi alle orecchie per i continui scompensi di pressione, ieri a mezzanotte, come in ogni fiaba che si rispetti, sono tornata a calcare i sozzi marciapiedi della Stazione Termini a Roma. Scoprendoli, per bizzarria della sorte, fradici per un nubifragio che doveva essersi abbattuto sulla città fin da parecchie ore prima, mentre io ancora scorrazzavo allegra, appagata e asciutta per una Milano più primaverile che novembrina.
Tornavo a Milano per la seconda volta in vita mia, dopo la puntata ancora più fugace del lontano settembre 1994.
Pensando alla persona che ero allora - chiusa, limitata, spaurita - dovrei piuttosto dire che è stata una seconda prima volta.
Difatti ho tratto dalla visita un'impressione diametralmente opposta.
Certo ha contato molto anche la compagnia: quella conosciuta in situ che tutta mi ha, distintamente e in blocco, piacevolmente sorpresa per affabilità, simpatia, cordialità, schiettezza, gentilezza, formazione umana e culturale, e il nucleo organizzativo con cui avevo di già trascorsi amicali, Ambra e Sandra in particolare, per le quali, tra cabalistici incroci di nomi date numeri e strenue scorribande "ad eliminazione" per gli angoli più caratteristici e suggestivi della città, dove con l'avanzare del pomeriggio ad ogni canton di strada si perdeva un membro della compagnia come in una filastrocca per bambini, ho sentito rafforzarsi con sempre maggior vigore un affetto che ho istintivamente provato sin da quel maggio 2012 in cui le avevo incontrate per la prima volta.
E insomma, per tutti questi motivi, se diciannove anni fa Milano mi sembrò brutta, stavolta invece mi è parsa bellissima. Di una bellezza discreta, fatta di segrete meraviglie, come testimonia il post di Ambra, Sandra ed Erika; una grazia pudica, non chiassosa, tutta da scoprire. Ma una bellezza genuina e assoluta, senza ambiguità, senza ombre; lieve ma solida, salda di un fascino antico e moderno assieme. Composta di minuti pregiati dettagli come arabeschi di oreficeria sopraffina, mai pacchiana; compatta, non dissipata, parcellizzata in mille sfaccettature contrastanti, come è Roma. E armoniosa, organizzata, palesemente non maltrattata da una cittadinanza che si è lì radunata dall'inizio della sua storia per esercitare le sue prerogative civiche, il suo riconoscersi comunità, unita da una lingua, uno stemma e un insieme di valori, sociali e individuali. Smarrita, oggi, forse, almeno a giudicare dai racconti di qualche garbato commensale; ma non del tutto; e nonostante tutto capace ancora di sentire un senso di appartenenza, una comune identità, Milano è, in un certo senso, esattamente opposta e speculare a Roma: Roma grande dea meretrice magnifica sfatta indolente puttana che tutti e tutto accoglie e tutti e tutto lascia andare; Milano matura, elegante, dignitosa ma non austera, ritrosa, amabile, vera grande signora.
Che una romana per caso, appassionata dell'autentica bellezza, non può non amare.



(Grazie a Milano e ai milanesi, quelli purosangue e quelli per un giorno. Sono stata tanto bene. Tornerò)

sabato 9 novembre 2013

Volver


"Era mio desiderio rimanere tuo amico: ero diventato un peso?"

Torna così, nell'ulteriore puntata della telenovela virtuale che mi vede protagonista, con quest'afflitto appello inflittomi a mezzo messaggio privato su FaceBook (a cui non risponderò) insieme ad una nuova richiesta di amicizia (che non accetterò), il provolone che a luglio ho accannato.

Torna a casa Aldo, e il fausto evento risolve il mio blocco di scrittura.
Torno, per conseguenza, io, a imbrattare l'etere con un mio post.

Torna con mia grande gioia a salpare, superstite lupo di mare dopo il naufragio, lei.
Torna anche lei: a trovarmi presto, con altrettanta mia grande gioia.
Torna oltralpe lei, dopo avermi fatto passare un sabato pomeriggio pieno di ulteriore grande gioia.

Tornano poi, repentinamente, le mie paturnie: al termine di una seduta di terapia impegnativa, dove ho coperto un nuovo tratto dell'ostico percorso nella giungla della mia psiche facendo un passo avanti e mettendo il piede su un altro serpente a sonagli.
Tornano a ruota - a tradimento, assurdamente cagionate da una frase rivoltami a sorpresa tra il lusco e il brusco che è un uppercut per la mia guardia abbassata a causa delle paturnie del ritorno precedente - le ossessive voci di dentro che ripetono "Vergogna, vergogna, cattiva bambina, cattiva bambina!" costringendomi a nascondere il viso, a coprirmi gli occhi lacrimosi.
Torna simultaneamente indietro il tempo fino ai miei quattro, cinque anni di età. Torna, prepotente, il peso sull'anima, l'insopportabile senso di ingiustizia, il vano e disperato tentativo di difendersi, di reagire gridando le proprie ragioni con smodata inservibile passione, subito smorzata dalla solita coatta desistenza. Torna la confusione mentale, lo smarrimento, lo scoramento per la propria inettitudine, incompetenza, inanità.

Dopo però torna la quiete, la lucidità. Torna il presente. Torna a subentrare la ragione, il distacco, la distanza da quel passato lontano che torna a sdoppiarsi, cessando di sovrapporsi agli eventi attuali.
E poi, in ultimo, torna, a dissipare gli ultimi echi di malessere, il sorriso nel leggere una mail benevola, benedetta, che riconsola, rialza, rimette in moto.

E adesso, tra poche ore, Milano.

Tutto torna e io, finalmente, sono pronta a partire.