mercoledì 25 dicembre 2013

Do they know it's Christmas

Nel 1984 Bob Geldolf, musicista irlandese leader dei Boomtown Rats, vide uno speciale della BBC sulla tragedia della carestia in Etiopia e ne rimase così sconvolto da provare un impulso incomprimibile ad agire per reperire fondi da destinare al soccorso della sventurata popolazione di quella terra.
Trovò l'appoggio di Midge Ure, leader degli Ultravox. Insieme i due composero il testo e la musica di un motivo che fu sottoposto ai più noti cantanti e gruppi pop della scena inglese dell'epoca. Molti nomi famosi aderirono al progetto, accettando di collaborare all'incisione a scopo benefico della canzone di Geldolf e Ure come membri della Superband nata per l'occasione che prese il nome di Band Aid.
Essendo lo studio di registrazione stato messo a disposizione gratuitamente dai proprietari solo per un giorno, in un giorno la canzone fu giocoforza missata e registrata: per la precisione, tra le undici di mattina e le sette di sera del 25 novembre, tra l'ingorgo dei fan assiepati all'esterno, l'assedio della stampa all'interno, le defezioni di illustri come Bowie e McCartney, l'approssimazione di molti imposta dalla preparazione superficiale e dalla fretta (le parti registrate dagli Status Quo, ad esempio, vennero cassate perché considerate inutilizzabili, ma comunque in parecchi coretti si sentono accenni di stonature), i ritardi fuori tempo massimo di altri (Boy George arrivò solo alle sei di sera, praticamente preso di peso e portato da Geldolf, quando ormai era tutto finito, e registrò a posteriori in solitaria).
Il risultato fu un disco sporco, improvvisato, concreto, spontaneo, bello come un diamante grezzo. Che fece milioni di copie, diventando il singolo più venduto di tutti i tempi in Inghilterra, stimolò un'iniziativa analoga negli USA (i celeberrimi USA for Africa, con l'ancora più celeberrima We are the world) e un incredibile, irripetibile evento: il concerto rock di luglio 1985 del Live Aid, in diretta planetaria tra il Wembley Stadium di Londra e il JFK di Philadelphia, al quale parteciparono davvero tutte le stelle del firmamento musicale mondiale del presente e del passato, nessuna esclusa.
Riguardare oggi il video mi emoziona ancora. Paul Young, Simon LeBon, Boy George, Bono, Tony Hadley, Sting, George Michael, che lì sono poco più che ragazzini, sono più vecchi di me e oggi sono tutti più vicini ai sessanta che ai cinquanta. Per non parlare di Phil Collins.
Per non dire di Freddie, che con i Queen al Live Aid ebbe la definitiva consacrazione a icona della musica mondiale, il mio amatissimo Freddie, che è morto. Ormai da più di vent'anni.
Eppure non provo rimpianto né amarezza, riguardandolo. Bensì commozione, tenerezza, senso di calore: affetto, appartenenza, familiarità.
Gli stessi sentimenti che ho provato quando, incastrata con la mia incontentabile e incontenibile figlia giacobina in un negozio Accessorize a King's Cross Station già infestonata per Natale in un pomeriggio inoltrato della fine di novembre, ho sentito dagli altoparlanti della filodiffusione uscire le note della canzone: la melodia un po' storta, un po' cupa, un po' primitiva di Do they know it's Christmas, uno dei cardini della mia giovinezza.
E lì, in un posto dove non ero mai stata prima di allora, in una nazione a migliaia di chilometri dalla mia, in mezzo a frotte di gente estranea e indifferente, mi sono sentita improvvisamente a casa.


martedì 24 dicembre 2013

A l'unico amico

Vieni a trovarmi  
se puoi  
fra un taxi e una telefonata  
un contratto  
e un’arrabbiatura  
tra un giornale e una preghiera 
tra un film e un aperitivo  
vieni a trovarmi  
finché son vivo  
una mattina  
una sera  
scambiamoci un sacco  
d’idee sbagliate  

invecchiamo un’ora insieme. 

(Non è forse questo, il Natale? Sfiorare con la propria presenza quella altrui, e in quell'istante sentire esaltata la comune umanità e vitalità. Un gesto tanto semplice, naturale, e tuttavia così sublime che, secondo la buona Novella cristiana, è stato anelato, e compiuto, persino da Dio. Auguri, amici miei unici, di cui reco impresse nella mia esistenza in modo indimenticabile, indelebile, le ore in cui siamo invecchiati insieme. Vi abbraccio tutti idealmente come ho fatto più volte dal vivo, con affetto grande e grande gratitudine, fiduciosa di poter replicare - o sperimentare ex novo, con i pochi di voi che ancora non ho mai incontrato - innumerevoli occasioni di Natale grazie al conforto di altri preziosi momenti in vostra compagnia)

lunedì 23 dicembre 2013

Vaghe stelle dell'orsa/5

Ieri, domenica, ho saltato l'appuntamento, malandrina sfaccendata che sono.
Recupero stasera.
Nell'attesa del gran finale di domani.


MANNAGGIA
Si tagliò una mano 
per riscuotere il premio
dell'assicurazione.
Era svenuto
dopo il colpo e il sangue.
Si risvegliò all'ospedale
tra fotografi, cronisti, TV

Un professore americano
gli aveva
riattaccato la mano.



IL DRAMMA DEL TECNICO
Capire un tubo
e non capire
altro.




ATTENZIONE
Non si deve
essere grati
a chi cessa
di essere ingiusto.




LO SBAGLIO
E' sbagliato
raccontar le favole
ai bambini per ingannarli, 
bisogna
raccontarle ai grandi
per consolarli.


sabato 21 dicembre 2013

Vaghe stelle dell'orsa/4

NON MI VA

Non è colpa mia.
per quanti sforzi faccia
non riesco a soffrire
più di due minuti
poi mi distraggo
e tanti saluti.
Che vi devo dire?
Al funerale
all'eccidio, all'ingiustizia
all'alluvione
oppongo la distrazione.
Non è che io sia sordo
al dolore...
No, io me ne scordo.
Saluto chi mi insultò
chi mi tradì
chi mi rovinò.
Ho scordato l'affronto
non ne tengo più conto.
Ma non è generosità
è che di soffrire
non mi va.

venerdì 20 dicembre 2013

Vaghe stelle dell'orsa/3

Voglio preoccuparmi
della Torre di Pisa
intensamente
voglio farmene una croce
una manìa
starò lì a sostenerla
con una mano
come nei vecchi fotomontaggi.
Tempesterò sui giornali
farò cortei da solo
avrò uno scopo nella vita
finalmente
e la gente esclamerà
alla mia morte
"Ecco uno
che non poteva vedere
le cose storte"

giovedì 19 dicembre 2013

Vaghe stelle dell'orsa/2


Chi non muore si ricrede.

Chi troppo vuole firma cambiali.

Malcostume
grande gaudio.

Chi tardi arriva male parcheggia.

Chi rompe paga. Chi corrompe paga di meno.

La mela marcia costa come le altre.

Chi si ferma è panciuto.

Il diavolo non è così brutto come vorrebbe.

Quando piove chiunque vale un ombrello.

La gente meno si vuol bene e più si fa regali.

(Dose di oggi)

mercoledì 18 dicembre 2013

Vaghe stelle dell'orsa/1

Faccio una gran fatica ad accendere il pc, in questi giorni. Non so se covo qualche malattia, spero di no: ho sempre sonno, mancanza non di energia, ma di irrequietezza, e voglia di starmene rincantucciata sul lettone in mezzo a un mucchio di libri, sentendomi come un bruco nella crisalide, un'orsa in letargo nella tana. Ogni tanto mi appisolo; poi mi riscuoto e ripiglio a leggere per un nuovo segmento di tempo fino alla successiva perdita di conoscenza; il tutto sotto lo sguardo perplesso di Lilith, la nostra gattina, che dopo un po', non riuscendo ad appassionarsi alla pratica per mancanza di cognizioni adeguate di letteratura, ma apprezzando la possibilità di farsi cullare dall'insolito silenzio (ogni silenzio in luoghi nei cui paraggi ci sia io è insolito) e dall'atmosfera tranquilla finisce per addormentarsi su una coperta accanto a me.
Tra i molti libri che mi sono passati per le mani in questi giorni c'è questo compendio di genialità di Marcello Marchesi intitolato Il dottor Divago, dall'appellativo che lui coniò, insieme a molti altri altrettanto perfidi e azzeccatissimi per personalità illustri della vita pubblica e dello spettacolo - tipo Marlon Blando per Marcello Mastroianni, El Cid che tira a Campeador per Francisco Franco,  La penna montata per Dacia Maraini - per Aldo Moro.
Così, siccome quest'anno non ho comperato alcun regalo di Natale, ho pensato di lasciare qualche strenna qui sul blog costituita da poesie o motti coniati dalla mente di questo fantastico Umorista: un mini calendario dell'Avvento costituito da un pensiero marchesiano al giorno, che dono a chiunque passi di qua.
Comincio oggi con quello, celeberrimo, che potrei annettere come motto al blasone, se avessi un blasone.

SUPERTIMIDO
Affogò
perché si vergognava
a gridare
aiuto.

domenica 15 dicembre 2013

For the Beauty of the Earth

Sono tornata da poco dal concerto di Natale del coro degli alunni ed ex alunni del liceo scientifico Isacco Newton, nel quale militano, oltre a mia figlia, parecchie altre giovani creature che conosco e mi sono care.


Ci sono andata del mio solito umore: un magma di ambascia, fastidio, incertezza e irritazione, in larga parte senza un percettibile motivo. Che andava crescendo, via via che venivo a contatto con la folla che premeva per entrare, incontravo conoscenti con cui non avevo voglia di intrattenermi, venivo spintonata per infilare il budello del portone d'ingresso, lottavo per conquistarmi un posto a sedere, e una volta installata dovevo sorbirmi nell'attesa dell'inizio la visuale del muro umano di parenti che alzavano i loro cellulari o tablet per applicarsi a riprendere incessantemente, prima ancora che ci fosse qualcosa da riprendere, la scena da ogni angolazione e le conversazioni inutili e fatue dei rappresentanti della specie più minacciosa e insopportabile dell'universo, i genitori degli studenti.

Poi, la musica - di cui posto qua sotto un assaggio nell'incisione discografica di uno dei brani, per dare un'idea del clima della serata -,  che usciva dalle gole di cinquanta ragazzi e ragazze che fino a quel momento erano stati solo i nostri faticosi figli ma che ora ci apparivano mutati, trasfigurati - che rimetteva all'istante ogni cosa al suo posto, distendeva gli animi e restituiva bellezza alla cornice fastosa e solenne di Santa Prisca, alle pendici dell'Aventino, in una dimensione fuori dal tempo e dallo spazio. 

Gospel. Corali. Inni. Le voci. I volti. Il brusio di cinquecento persone cessato d'incanto, l'atmosfera che si fa gravida di partecipazione ed emozione, gli sguardi che si cercano, tra i cantori come tra gli spettatori assiepati nei banchi, per vedere se anche in quelli altrui si riflette quello che si sente brillare nei propri.

Ne sono uscita con gli occhi lucidi e un unico pensiero ad occuparmi la testa: che finché ci sono cinquanta ragazzi e ragazze tra i quindici e i vent'anni che cantano assieme in armonia non tutto è ancora perduto, per il mondo.

giovedì 12 dicembre 2013

Viva l'Italia

Ancora per poco è 12 dicembre.
Come quarantaquattro anni fa.
Tremendamente evocati nell'odore della madeleine avvelenata di questi giorni di inquietudini e tumulti.

(mi ricordo quella sera d'estate di più di dieci anni fa, quando, noi girotondini assiedianti Montecitorio per protestare contro l'approvazione della Cirami, o della Cirielli, o del legittimo sospetto, non mi sovviene più, riuscimmo a convincere gli allora DS, Margherita e Rifondazione Comunista ad abbandonare l'aula durante la votazione, per stigmatizzare il vulnus inferto al Parlamento con questa indegnità. L'allora capogruppo di Rifondazione venne giù a parlare in mezzo a noi, emozionato e commosso, e fece a braccio un discorso che ci toccò nel cuore e ci rinfrancò. Era Nichi Vendola. E mentre scendevano le luci della sera, negli ultimi fuochi rosei di un meraviglioso tramonto romano di metà luglio, noi accogliemmo i nostri rappresentanti che alla spicciolata lasciavano il palazzo per tornare in mezzo al loro popolo. Qualcuno aveva portato della musica: e dalla piazza che faceva da teatro a questa scena da cinematografo si levò leggera la voce di De Gregori che cantava questa canzone. Sembrava di stare in un sogno di un film di Fellini)


Viva l'Italia
l'Italia liberata 
l'Italia del valzer, l'Italia del caffè. 
L'Italia derubata e colpita al cuore, 
viva l'Italia, l'Italia che non muore.

Viva l'Italia
presa a tradimento 
l'Italia assassinata dai giornali e dal cemento, 
l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, 
viva l'Italia, l'Italia che non ha paura. 

Viva l'Italia
l'Italia che è in mezzo al mare, 
l'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare, 
l'Italia metà giardino e metà galera, 
viva l'Italia, l'Italia tutta intera.

Viva l'Italia
l'Italia che lavora, 
l'Italia che si dispera, l'Italia che si innamora, 
l'Italia metà dovere e metà fortuna, 
viva l'Italia, l'Italia sulla luna.

Viva l'Italia
l'Italia del 12 dicembre 
l'Italia con le bandiere
l'Italia nuda come sempre 
l'Italia con gli occhi aperti nella notte triste, 
viva l'Italia,

l'Italia che resiste 

Il pianeta delle scimmie

Ma che perfetta analisi del personaggio Matteo Renzi questo ritratto fatto dalla penna di Luigi Castaldi, scovato l'altro ieri sulla bacheca di FaceBook della mia amica Alessandra, di cui poi ho captato tracce consistenti nel colore dei post di altri amici blogger.
Io Renzi, ammetto, l'avrò sentito parlare di sfuggita tre minuti da un anno a questa parte: è più forte di me, mi suscita lo stesso fastidio che mi suscitava sentire Berlusconi (anche se sono perfettamente conscia delle incolmabili, macroscopiche differenze tra i due, non avendo Renzi né le sue "risorse illimitate", per usare l'espressione contenuta nella sentenza di condanna per il lodo Mondadori , né i suoi scheletri nell'armadio, né il suo strapotere mediatico di padrone di televisioni - e non solo di cavallo vincente su cui scommettere al momento -, giornali, società di produzione e distribuzione cinematografica, banche, assicurazioni e di leader, con la frode, del più grande colosso dell'editoria italiana). Però quei tre minuti mi sono bastati e avanzati per farmene un'opinione, che il post che ho citato esplicita assai felicemente. Si è detto che le primarie sono state falsate dalla partecipazione surrettizia di masse di infiltrati prezzolati dal satrapo, il quale, peraltro, si è saputo, gli ha telefonato cordiale per congratularsi. Io credo che, molto semplicemente, un'ampia massa di italiani di fede massmediatico berlusconiana abbia riconosciuto con entusiasmo nel sindaco di Firenze un simpatico, fresco, rassicurante e giovanile simile, uno della loro specie, "una di noi"! come scandiscono, euforici e minacciosi assieme, i freaks di Browning al banchetto nuziale della perfida Cleopatra col nano Hans.
Che accadrà ora proprio non lo so: so quello che farò io. Da domenica sera nel mio animo è scesa una grande serenità: quella che si prova quando, nell'accettare i dati di realtà, ci si sente subentrare dentro un riposante senso di impotenza che non si percepisce come costrizione, ma, al contrario, come scioglimento di ogni zavorra, allargamento dell'orizzonte della propria mente svincolata da ogni lacciolo, raggiungimento di un più alto e inespugnabile stato di libertà. Una sensazione diametralmente opposta al crescente panico vissuto, ad esempio, durante la notte di tregenda delle elezioni del 2006, con la mia agitazione parossistica ("chiedo l'intervento dell'ONU, dei caschi blu!") immortalata nel docufilm di Deaglio Uccidete la democrazia; o la nauseante, orrifica angoscia provata davanti alla copertina dell'Espresso del 2008 che, all'indomani della roboante ultima vittoria della banda delle libertà, effigiava i musi suini di Bossi e Berlusconi talmente sordidi e ghignanti che parevano usciti da un quadro di Bosch.
Stavolta è tutto diverso: ho fatto pace dentro di me. Nulla posso, io, povera persona, davanti a sconvolgimenti epocali di tale portata comparabili all'estinzione dei dinosauri. Qui, più che ad un grosso deficit civico e democratico (perché quella che manca non è solo l'ortodossia del κράτος, è proprio quella del δῆμος), prima ancora che a una grave carenza culturale, prima ancora che alla crisi delle ideologie, sembra di assistere ai primi effetti di una catastrofe antropologica. La maggioranza degli italiani non è né di destra né di sinistra: è solo composta da individui della specie homo sapiens sapiens che stanno subendo progressivamente un'involuzione, regredendo ad uno stadio subumano, più vicino a quello dei cugini primati. Purtroppo senza avere dalla loro nemmeno l'ausilio dell'istinto, né la protezione dell'irsutismo corporeo, per ora. Speriamo in un prossimo ripristino di quelle funzionalità, almeno. E si può farlo, a buon diritto, per fortuna! Già con le ultime esternazioni degli esponenti del Movimento 5 Stelle e del loro padrone abbiamo fatto radicali passi avanti verso il ritorno alle caverne. Confidiamo nella rivoluzione prezzolata dei forconi per compiere definitivamente la mutazione genetica.

mercoledì 4 dicembre 2013

Twelfth Night







"On the first day of Christmas my true love sent to me..."

E comunque.

Scendere da Oxford Circus lungo Regent Street sotto una luminaria fiabesca che illustra le filastrocche più antiche fino a Trafalgar Square, passando di lato al Mall che in lontananza rifulge dello splendore di Buckingham Palace, e poi giù attraverso i maestosi marmi della White Hall che torreggiano nel loro austero biancore sotto le stelle fino all'immensa Westminster che emerge a forza dal buio e al Big Ben grande e sfavillante più della luna e da lì arrivare ad affacciarsi sul Westminster bridge a contemplare le luci iridate del London Eye e dei mille palazzi sulle rive che si doppiano specchiandosi nel Tamigi in un dopocena londinese del primo di dicembre dolce e mite e piacevole come una ruffiana serata primaverile romana è stato un privilegio, un piccolo prodigio che conserverò nello scrigno dei miei ricordi più preziosi. Fosse stato anche solo per questo, sarebbe valsa mille volte la pena di andare fin lì. Come sei bella Londra, come sei bella Londra quando è sera. 

All's Well that Ends Well

C'è stato un momento di intenso malessere, sabato mattina, in cui ho preso a scrutare quietamente angosciata i volti degli affaccendati londinesi che affollavano ordinatamente, le fronti aggrottate da una serena pensierosità, quel fare tra il disinvolto e l'impegnato collocato sull'esatta metà della sottile linea di confine tra una sovrumana concretezza e il più totale alienato distacco, il mio autobus numero 14 in marcia verso la (peraltro) bellissima Cromwell Road, con un interrogativo che mi pesava sullo stomaco, impossibile da digerire (tanto è vero che poi la sera ho appunto vomitato): ma se tutto è illusorio, persino l'affetto tra i congiunti più stretti, a che serve tirare avanti? Dove stanno andando tutte queste persone? A che giova il loro energico affannarsi dal lunedì al venerdì al lavoro, avanti e indietro, saliscendi, sugli autobus e sulle metro, sempre perfettamente irregimentati, e poi il sabato e la domenica a macinare chilometri nei musei o sui marciapiedi e nei grandi magazzini dei quartieri dello shopping accalcati in file rigorosamente organizzate a comprare regali natalizi per altre persone ch'esse credono a loro legate da rapporto affettivo o amoroso? Che senso hanno i sentimenti, a quale verità si abbarbicano, qual è la realtà oggettiva, misurabile, verificabile, che dona loro peso, contorni e necessità? Che scopo hanno tutte queste pantomime, se non quello di passare il tempo in attesa della fine? La vita è un colossale equivoco, una frenetica deriva, e poi si muore.
E lì, concependo questi pensieri, spersa in un autobus a due piani a sud ovest di un'isola in mezzo all'Europa, lontana da casa migliaia di chilometri, accanto a volti sconosciuti e conosciuti che formavano un unico blob compatto per come non riuscivo più a cogliere apprezzabili distinzioni di familiarità tra gli uni e gli altri, mi sono percepita, in uno zoom di potenza mai provata prima, un infinitesimo puntino su una sfera di terra e di acqua, a sua volta minuscolo puntino smarrito nell'immensità di un universo di innumerevoli puntini, e ho cominciato a sudare freddo per la vertigine, e ho provato l'impulso di scappare a gambe levate: ma scappare per dove?
Non è stato un bel momento.

C'è stato poi un altro momento di disagio, questo molto meno fastidioso, quando, lunedì sera, sull'aereo della Norvegian Airlines che mi riportava a casa, giunta all'altezza della Versilia (inquadrata dall'oblò nella notte come un disegno fatto con la porporina) sono entrata, insieme all'apparecchio, ai passeggeri e a tutto l'equipaggio, in un'area di leggera turbolenza che per un quarto d'ora circa ci ha regalato la sensazione di stare su un autobus del centro di Roma a ballonzolare sui sampietrini. E lì ho percepito, nettissima, non la paura di cadere, no, perché non ero veramente spaventata: solo una sorta di apprensione, una concentrazione a cooperare spiritualmente ad un fausto esito del viaggio strettamente ancorata alla piena, forte, ferma volontà di non finire lì la vita, di giungere a destinazione e rimettere i piedi per terra. E ho riflettuto su come, al di là di ogni inquietudine sul senso, il senso vero della vita è vivere, e si esprime nell'istinto di sopravvivenza che scorre potente in ciascun essere umano, che prevarica tutto il resto. E amen. Tutto è bene quel che finisce bene.

Much Ado about nothing

E rieccomi qui, frastornata da una travagliatissima convivenza coatta con quella che, sulla carta, è la mia famiglia.
Non c'è niente di meglio, per rinfocolare tensioni che covano sotto la cenere, di un viaggio assieme a coloro con i quali ci sia disarmonia. I fuochi scoppieranno tutti, uno dietro l'altro, in un deflagrante spettacolo pirotecnico di vigore direttamente proporzionale all'intensità della tensione iniziale (nella fattispecie molto elevata) e anche alla distanza del punto di arrivo da quello di partenza. Una meta che richieda uno spostamento in aereo, per esempio, come nel nostro caso, fa ottenere risultati più apprezzabili di una per cui basti qualche ora di macchina. E difatti. Il combinato disposto dei vari fattori ha prodotto uno show faraonico di altissima qualità.
E io mi sento come se mi avessero pigliato di peso, sollevato a mezz'aria, sbatacchiato con pervicacia e poi ributtata giù, senza alcuna finalità precisa, per un Fato cieco e ostinato. Una botta di caos, anziché una botta di vita.

Forse essere così esausta darà i suoi frutti. Mi sono talmente infragilita che sicuramente stasera alla seduta con Edo faremo faville. Chissà, magari scardineremo qualche importante testata d'angolo del mio ingombrante rimosso.

Evviva.

Nel frattempo ho cominciato a godere dei benefici del trattamento in situ: dopo più di vent'anni in cui non riuscivo a vomitare (Edoardo ultimamente mi aveva detto: ci credo, coll'irrigidimento del diaframma che ti ritrovi) la notte di sabato scorso ho rifatto l'anima prima in un interludio nel lavello di cucina e poi, finalmente, con tutti i crismi, accasciata sul pavimento, nel water dell'elegante ed angusto appartamentino di Chelsea dove eravamo alloggiati.

Mi sono stappata le tubature, insomma. Che altro voglio dalla vita?

Sono davvero incontentabile.

giovedì 28 novembre 2013

Vacanze romane

Vado a Londra con tutta la famiglia.
Contro la mia volontà.
Perché l'unica bestia di casa che avrei voluto portare - Lilith, la gattina - invece resta qui.
Vabbé.
Ci vediamo martedì.

The big sleep

L'altra sera ho scovato sulla bacheca della pagina FaceBook di Angelo Branduardi questo link che mi ha catturata all'istante con la sua prima immagine e il suo interrogativo intrigante, che pareva formulato anch'esso da un bambino.
"Dove dormono i bambini di tutto il mondo?"
Poi ho letto il post, scoprendo che è una serie di scatti che risale al 2010, che ne sono stati tratti un libro all'epoca pubblicizzato su riviste di moda e costume come Vanity Fair e su quotidiani autorevoli o presunti tali come il Corriere, e una mostra esposta anche all'Auditorium di Roma nel 2011 (che ho improvvidamente perso); e che l'autore è un fotografo che collabora col patinato Oliviero Toscani; eppure con questo lavoro riesce a raggiungere una tale concretezza da risultare gli antipodi di quello stile insopportabile.

James Mollison, così si chiama, "ha fotografato in giro per il mondo le “camerette” di tanti bambini. Ogni stanza rivela la cultura e la storia di ogni piccolo d’uomo. Ogni stanza mostra la guerra o la pace di un popolo. Ogni stanza rispecchia il mondo di quel bambino.
Lo spazio dove ogni persona dorme è uno spazio intimo, carico di emozioni, significativo. Assistere a queste fotografie ci fa catapultare in un mondo diverso dal nostro, ci costringe a riflettere, tocca il cuore e talvolta ce lo sgretola… La fotografia, in questo caso, spiega più di mille parole."

Sono stata una bambina senza cameretta: senza il diritto ad un angolo tutto e solo mio, né esterno né interno.
Sono stata, peraltro, anche una bambina insonne: dall'età di nove anni, per larga parte della mia vita.
Dev'essere per questo che è scattata in me una sorta di identificazione a prima vista. E una curiosità intensa, empatica, fatta di tante domande.

Come saranno gli istanti tra la veglia e il sonno di questi piccoli, quel limbo incerto in cui i sensi cominciano a obnubilarsi e lentamente, gradatamente, dolcemente, ci si abbandona, scivolando nella perdita di conoscenza? Assomiglieranno a quelli che erano i miei? Quali sogni verranno a popolarlo, questo sonno? Esisterà nelle loro notti uno spazio franco, preservato, inaccessibile, dove questi guerrieri in miniatura possano deporre l'ingombrante e duro armamentario di imposizioni familiari, culturali e sociali a cui sono sottoposti durante il giorno, ogni giorno, per tornare a varcare nudi e lievi e indifesi la soglia della loro anima innocente, dove poter errare sospesi nella soffice, aerea indeterminatezza del loro piccolo inconscio di piuma? 

Al di là delle situazioni contingenti e delle costrizioni esistenziali - qualsiasi situazione contingente, qualsiasi costrizione esistenziale -, continua a sussistere lo spazio integro di libertà e di fantasia e di autonomia che ogni essere umano tiene dentro di sé ed esterna come può ma in maniera inequivocabile, e che nella fanciullezza, qualsiasi essa sia, è particolarmente incomprimibile? Resiste la consolazione di scoprire che, sotto la ferrea visiera della corazza in cui l'hanno imprigionato gli adulti, persiste lo sguardo puro, l'incorruttibile nucleo caldo e vitale di un bambino?

Ecco, nonostante le contraddittorie apparenze, in molti scatti sconsolanti al punto di parere la negazione completa di ogni speranza, mi piace pensare che queste foto struggenti mi rispondano "sì".

lunedì 25 novembre 2013

She


Ultimi scampoli della giornata contro la violenza sulle donne.
L'anno scorso lisciai l'appuntamento, troppo concentrata su me stessa per rendermi conto di ciò che mi circondava ed includeva. Feci invece sul tema un post appassionatamente controcorrente due anniversari orsono. Che si concludeva così:


condivido l'allarme per la violenza sulle donne, gli occhi ce li ho, ho un cuore, vedo e sento, sono solidale, comprendo l'enormità del problema, che denuncia una tragedia epocale, un dramma relazionale ed esistenziale che è tale sia per le donne che per gli uomini. Però, sarà che nella mia vita ho ricevuto le peggiori violenze non da maschi ma proprio da donne, sarà che sono carente, incerta, nella determinazione di me stessa e dunque nel mio riconoscermi nel mio genere, non riesco a non considerarmi, e a non voler essere considerata, prima di tutto, prima ancora che una donna, una persona.


Era una vita fa. 

E io sono comunque diversa, tanto diversa, se oggi, pensando a questa giornata, non mi viene altro in mente che questa canzone, piena di tutte le parole insincere più dolci ed emozionanti che un uomo, qualsiasi uomo, possa esser capace di concepire e di pronunciare, credendoci, quando è coinvolto da una donna.

Una donna idealizzata, e in quanto tale strumentalizzata, osannata, omaggiata. 
Una donna che è tutto fuorché una donna concreta con cui entrare in relazione, con cui spartire la vita, la quotidianità faticosa, non sempre esaltante, spesso frustrante.

Ma ho visto commenti, post, status su FaceBook, così tanto - giustamente - amareggiati e incupiti, oggi, che non mi sembra abbia senso aggregare a quelli il mio lamento.
Preferisco ricordare la donna, anziché la violenza. Lei. She.

Con una canzone ruffiana e bugiarda, ma veramente tanto, tanto bella.



Lei può essere il viso che non posso dimenticare
La scia di piacere o di rimpianto
Può essere il mio tesoro o il prezzo da pagare
Lei può essere la musica cantata d’estate
Può essere il freddo portato dall’autunno
Può essere centinaia di cose differenti
Come il misurare del tempo di un giorno
Lei può essere la bella o la bestia
Può essere la fame o l’abbondanza
Può cambiare ogni giorno nel paradiso o nell’inferno
Lei può essere lo specchio dei miei sogni
Il sorriso riflesso in un torrente
Lei può non essere quello che sembra essere dentro al suo guscio
Lei che sembra sempre felice fra la gente
I suoi occhi possono essere cosi lucidi e cosi fieri
Nessuno ha il permesso di vederli quando piangono
Lei può essere l’amore che è troppo sperare che duri
Forse viene da me dall’ombra del passato
Ma la voglio ricordare fino al giorno in cui morirò
Lei può essere la ragione per la quale sopravvivo
Il motivo e il fine della mia vita
Quella di cui voglio prendermi cura durante gli anni difficili
Io, voglio prendere il suo sorriso e le sue lacrime
E farne miei souvenirs
Dove lei va io voglio esserci
Il significato della mia vita è lei
Lei

sabato 23 novembre 2013

Reflection

Dimmi, dimmi chi è
l'ombra che
riflette me
non è come la vorrei perché
non so

Chi sono e chi sarò
lo so io, e solo io
e il riflesso che vedrò
mi assomiglierà

Quando il mio riflesso avrò
sarà uguale a me.




giovedì 21 novembre 2013

Fix you

Aggiustarmi non puoi.
Questo si sa.
Però mi stai accanto, mi guardi, mi vedi.
Mi dai tutto quello che puoi darmi, ti pigli tutto quello che ti puoi pigliare.
Al limite mi farai un po' compagnia.
Grazie, Edo.
Buonanotte.



When you try your best but you don't succeed 
When you get what you want but not what you need 
When you feel so tired but you can't sleep 
Stuck in reverse 

And the tears come streaming down your face 
When you lose something you can't replace 
When you love someone but it goes to waste 
could it be worse? 

Lights will guide you home 
and ignite your bones 
And I will try to fix you 

High up above or down below 
when you're too in love to let it go 
but If you never try you'll never know 
Just what your worth 

Lights will guide you home 
and ignite your bones 
And I will try to fix you 

Tears streaming down your face 
When you lose something you cannot replace 
Tears streaming down your face and I 

Tears streaming down your face 
I promise you I will learn from my mistakes 
Tears stream down your face and I 

Lights will guide you home 
And ignite your bones 
And I will try to fix you

Fedele alla linea/3

Il cane odiava quella catena. Ma aveva una sua dignità. Quello che faceva era non tendere mai la catena del tutto. Non si allontanava mai nemmeno quel tanto da sentire che tirava. Nemmeno se arrivava il postino, o un rappresentante. Per dignità, il cane fingeva di aver scelto di stare entro quello spazio che guarda caso rientrava nella lunghezza della catena. Niente al di fuori di quello spazio lo interessava. Interesse zero. Perciò non si accorgeva mai della catena. Non la odiava. La catena. L'aveva privata della sua importanza. Forse non fingeva, forse aveva davvero scelto di restringere il suo mondo a quel piccolo cerchio. Aveva un potere tutto suo. Una vita intera legato a quella catena. Quanto volevo bene a quel maledetto cane.

Fedele alla linea/2

Se si vuole da me indignazione a comando, mi spiace, non ne ho più: l'ho esaurita nel quinquennio 2001-2006, partecipando a decine di manifestazioni, sit in sotto il Parlamento, cortei, fiaccolate e girotondi, tutti inutili perché l'italiano non vuole vivere in democrazia, vuole vivere nel mondo delle favole.

Fedele alla linea/1

Cresci un figlio che a vent'anni è un menefreghista e una figlia che a sedici e mezzo è una virago. E ti dici che è tutto regolare, che è l'età e che tu devi comprendere e non preoccuparti. Poi, però, quando la gattina che a due mesi era una bestiola adorabile a sei è diventata una tigre del Bengala, cominci a portela, qualche domanda, sul tuo sistema permissivo di allevamento dei cuccioli.

E poi ancora ti rispondi che sì, hai fatto bene così.

giovedì 14 novembre 2013

Tacea la notte placida

Tacea la notte placida
e bella in ciel sereno
la luna il viso argenteo
mostrava lieto e pieno...
Quando suonar per l'aere,
infino allor sì muto,
dolci s'udiro e flebili
gli accordi di un liuto,
e versi melanconici
un Trovator cantò.

Versi di prece ed umile
qual d'uom che prega Iddio
in quella ripeteasi
un nome...il nome mio!
Corsi al veron sollecita...
Egli era! egli era desso!...
Gioia provai che agli angeli
solo è provar concesso!...
Al core, al guardo estatico
la terra un ciel sembrò.




(E' sera, rientro a casa afasica, sfinita da una drammatica seduta di terapia che ha somigliato in tutto e per tutto all'esorcismo di una posseduta, e vedo sorpresa volgere gli eventi al positivo in una progressione che ha del miracoloso: la gattina mi inquadra sull'uscio e istantaneamente comincia a fare le fusa, il ventenne apatico mi accoglie sorridente, la giacobina mi chiede con dolcezza di darle una mano a riguardare il suo saggio su Giuseppe Verdi. Io lo leggo assieme a lei, ancora scossa dall'esperienza maieutica appena conclusa, e ad ascoltare i dolori e le passioni dell'uomo e dell'artista vengo travolta dall'emozione, mi scendono le lacrime, e allora quella, continuando a sorprendermi, invece di innervosirsi come d'uopo comincia timidamente a postare dal tubo, una dopo l'altra, in un crescendo di entusiasmo, le arie d'opera che le ho fatto conoscere e che le piacciono, per lo più verdiane, ma anche qualcuna tra le più note pucciniane, solo quelle cantate dalla Tebaldi però, perché è lei, a casa nostra, la preferita nella storica tenzone tra le due soprano rivali, e io ad un certo punto tiro fuori questa, di cui sono innamorata sin da bambina, e mi dà subito la stessa consolazione di allora: anche se ora non mi provoca sussulti né alimenta sogni romantici, solo mi dona pace, oscura e vellutata, nel constatare che sì, adesso questa notte, finalmente placida, tace, la luna argentea in cielo è davvero quasi piena, e nel silenzio amplificato, nella quiete serena, par davvero di udire, da immense lontananze, da dentro l'anima mia, il suono flebile, quasi inavvertibile, ma nitido e chiaro, della voce del Trovatore che mi chiama, che chiama proprio me, senza incertezze, senza fallo, mi riconosce, mi nomina, ed ecco, io ora esisto, sotto questo cielo, abbracciando il mistero, in questa notte tranquilla, in questa minuscola porzione d'infinito)

martedì 12 novembre 2013

Un romantico a Milano

E a festa finita, dopo un inquieto dormiveglia su di una zucca Frecciarossa funestato dalla scomodità dei sedili e dai fastidi alle orecchie per i continui scompensi di pressione, ieri a mezzanotte, come in ogni fiaba che si rispetti, sono tornata a calcare i sozzi marciapiedi della Stazione Termini a Roma. Scoprendoli, per bizzarria della sorte, fradici per un nubifragio che doveva essersi abbattuto sulla città fin da parecchie ore prima, mentre io ancora scorrazzavo allegra, appagata e asciutta per una Milano più primaverile che novembrina.
Tornavo a Milano per la seconda volta in vita mia, dopo la puntata ancora più fugace del lontano settembre 1994.
Pensando alla persona che ero allora - chiusa, limitata, spaurita - dovrei piuttosto dire che è stata una seconda prima volta.
Difatti ho tratto dalla visita un'impressione diametralmente opposta.
Certo ha contato molto anche la compagnia: quella conosciuta in situ che tutta mi ha, distintamente e in blocco, piacevolmente sorpresa per affabilità, simpatia, cordialità, schiettezza, gentilezza, formazione umana e culturale, e il nucleo organizzativo con cui avevo di già trascorsi amicali, Ambra e Sandra in particolare, per le quali, tra cabalistici incroci di nomi date numeri e strenue scorribande "ad eliminazione" per gli angoli più caratteristici e suggestivi della città, dove con l'avanzare del pomeriggio ad ogni canton di strada si perdeva un membro della compagnia come in una filastrocca per bambini, ho sentito rafforzarsi con sempre maggior vigore un affetto che ho istintivamente provato sin da quel maggio 2012 in cui le avevo incontrate per la prima volta.
E insomma, per tutti questi motivi, se diciannove anni fa Milano mi sembrò brutta, stavolta invece mi è parsa bellissima. Di una bellezza discreta, fatta di segrete meraviglie, come testimonia il post di Ambra, Sandra ed Erika; una grazia pudica, non chiassosa, tutta da scoprire. Ma una bellezza genuina e assoluta, senza ambiguità, senza ombre; lieve ma solida, salda di un fascino antico e moderno assieme. Composta di minuti pregiati dettagli come arabeschi di oreficeria sopraffina, mai pacchiana; compatta, non dissipata, parcellizzata in mille sfaccettature contrastanti, come è Roma. E armoniosa, organizzata, palesemente non maltrattata da una cittadinanza che si è lì radunata dall'inizio della sua storia per esercitare le sue prerogative civiche, il suo riconoscersi comunità, unita da una lingua, uno stemma e un insieme di valori, sociali e individuali. Smarrita, oggi, forse, almeno a giudicare dai racconti di qualche garbato commensale; ma non del tutto; e nonostante tutto capace ancora di sentire un senso di appartenenza, una comune identità, Milano è, in un certo senso, esattamente opposta e speculare a Roma: Roma grande dea meretrice magnifica sfatta indolente puttana che tutti e tutto accoglie e tutti e tutto lascia andare; Milano matura, elegante, dignitosa ma non austera, ritrosa, amabile, vera grande signora.
Che una romana per caso, appassionata dell'autentica bellezza, non può non amare.



(Grazie a Milano e ai milanesi, quelli purosangue e quelli per un giorno. Sono stata tanto bene. Tornerò)

sabato 9 novembre 2013

Volver


"Era mio desiderio rimanere tuo amico: ero diventato un peso?"

Torna così, nell'ulteriore puntata della telenovela virtuale che mi vede protagonista, con quest'afflitto appello inflittomi a mezzo messaggio privato su FaceBook (a cui non risponderò) insieme ad una nuova richiesta di amicizia (che non accetterò), il provolone che a luglio ho accannato.

Torna a casa Aldo, e il fausto evento risolve il mio blocco di scrittura.
Torno, per conseguenza, io, a imbrattare l'etere con un mio post.

Torna con mia grande gioia a salpare, superstite lupo di mare dopo il naufragio, lei.
Torna anche lei: a trovarmi presto, con altrettanta mia grande gioia.
Torna oltralpe lei, dopo avermi fatto passare un sabato pomeriggio pieno di ulteriore grande gioia.

Tornano poi, repentinamente, le mie paturnie: al termine di una seduta di terapia impegnativa, dove ho coperto un nuovo tratto dell'ostico percorso nella giungla della mia psiche facendo un passo avanti e mettendo il piede su un altro serpente a sonagli.
Tornano a ruota - a tradimento, assurdamente cagionate da una frase rivoltami a sorpresa tra il lusco e il brusco che è un uppercut per la mia guardia abbassata a causa delle paturnie del ritorno precedente - le ossessive voci di dentro che ripetono "Vergogna, vergogna, cattiva bambina, cattiva bambina!" costringendomi a nascondere il viso, a coprirmi gli occhi lacrimosi.
Torna simultaneamente indietro il tempo fino ai miei quattro, cinque anni di età. Torna, prepotente, il peso sull'anima, l'insopportabile senso di ingiustizia, il vano e disperato tentativo di difendersi, di reagire gridando le proprie ragioni con smodata inservibile passione, subito smorzata dalla solita coatta desistenza. Torna la confusione mentale, lo smarrimento, lo scoramento per la propria inettitudine, incompetenza, inanità.

Dopo però torna la quiete, la lucidità. Torna il presente. Torna a subentrare la ragione, il distacco, la distanza da quel passato lontano che torna a sdoppiarsi, cessando di sovrapporsi agli eventi attuali.
E poi, in ultimo, torna, a dissipare gli ultimi echi di malessere, il sorriso nel leggere una mail benevola, benedetta, che riconsola, rialza, rimette in moto.

E adesso, tra poche ore, Milano.

Tutto torna e io, finalmente, sono pronta a partire.

giovedì 31 ottobre 2013

Canzoni alla radio

E' già notte, ma questo non mi disturba. A Roma si vive una coda di ottobrata particolarmente gradevole, e il buio che piomba improvviso prima delle sei di pomeriggio sembra uno spruzzo anticipato di magia della sera, di quelle ruffiane serate romane profumate e brillanti di stelle e percorse dal dolce fremito del ponentino come quella invocata da Rugantino per fa' capitola' Rosetta (ancora Trovajoli, così caro al mio cuore e in questi giorni tanto presente nei miei pensieri, questo meraviglioso menestrello dello spirito universale della città eterna cantato in tante colonne sonore di commedie musicali e film che fu, in virtù del suo talento strepitoso, imprescindibile complice di Luigi Magni nel perfetto connubio tra musica e parole per la creazione dell'atmosfera delle sue storie antiche e sempre attuali).
Questo, però, non è un post su Trovajoli, di cui pure, per noti e plausibili motivi, ascolto e canticchio incessantemente fra me e me le melodie da qualche giorno; né sugli incanti della mia città. Questo è solo un post di pace e di quiete, di soffice tranquillità che mi scende addosso dopo un paio di giorni faticosi, un paio d'ore prima dell'alba passate in lucida veglia e una mattinata emotivamente convulsa; perché capitano anche giorni così, albe così, mattinate così. Questo è un post di decantazione, di riassestamento, di placida errabonda rilassatezza meditativa.
Di riordino di idee vaganti che afferro mentre mi volano nella mente come farfalle da acchiappare col retino. Di pigra, amabile contemplazione di cose semplici, belle, essenziali.
Il sorriso splendido di una persona cara.
Gli occhi chiari, vividi, di un'altra.
La canzone qua sotto, che è passata alla radio l'altra mattina cogliendomi di sorpresa e facendomi vibrare di una piccola, improvvisa, insensata esultanza.
Cose minuscole che bastano e avanzano per amare la vita.


Coi dadi si stan giocando le stelle 
con gli spot sono bravi a venderci i sorrisi 
e noi davvero chissà chi lo sa con quale voce parlare 
è così così per caso nasce una canzone 
forse è stupido ma

è la più bella di tutte 
si stacca piano dal cuore 
è la più bella di tutte 
è una canzone d'amore 
è come un sasso leggero 
guardo la mano poi guardo in su 
lo tiro in alto e non ritorna più 
è un miracolo o no?

se il sasso nel cielo 
è già una stella cometa
se fosse per questo
che hanno inventato la radio
e le gite all'aperto
le corse in bici sotto ai cieli blu
proprio come quando c'eri tu

Coi dadi e poi con le guerre 
coi robot che sanno già fare l'amore 
per noi ancora qui proprio qui 
con tante cose da dire 
è così che in silenzio parte una canzone 
sembra stupido ma

è la più bella di tutte 
si stacca piano dal cuore 
è la più bella di tutte 
ecco la rima: amore 
è solo un sasso leggero 
guardo la mano poi guardo in su 
lo tiro in alto e non lo vedo più 
è un miracolo o no?

Che il sasso nel cielo 
è già una stella cometa
forse è proprio per questo
che hanno inventato la radio
e le gite all'aperto
e i vestiti di seta
le corse in bici sotto al cielo blu
le corse in bici sotto al cielo blu


domenica 27 ottobre 2013

In nome del papa re

M'hai dato tanto, e per tutto quello che m'hai dato io ti ho voluto bene, te ne voglio ancora e sempre te ne vorrò. Non ti dimenticherò, mio caro concittadino. Ciao, Gigi, e grazie di tutto.





mercoledì 23 ottobre 2013

Sogno

Non riesco più a leggere i vostri post da più di qualche giorno, e me ne scuso, promettendo che riprenderò il ritmo entro domani. Ho avuto giornate frenetiche, dentro e fuori di me. Sono stata tanto tempo in giro, da sola o in compagnia di esseri umani che hanno reso il tempo trascorso assieme a loro intenso e significativo. E adesso vivo della rendita di quelle percezioni positive.
Che poi, come sempre accade, una ciliegia tira l'altra, e ci prendi gusto, e allora ti cerchi altre situazioni in cui assaporarle, quelle percezioni.
Non perché la vita sia rosea, eh. Anzi. Ma perché anche nella difficoltà se ne coglie la bellezza. Che sta nascosta in ogni piega dell'esistenza, per chi ha imparato a scorgerla e a vederla, e prima ancora a cercarla con desiderio, bramandola.
Sta persino nella preoccupazione per un amico. Che in questo momento sta affrontando una prova difficile.
Io gli ho promesso che avrei pensato a lui, lui sa che lo sto facendo. E che sto postando questo arrangiamento del Sogno di Ratcliff: una delle arie che più mi incantavano da bambina e da ragazza.
Perciò, caro amico, Cri adesso sogna con te, si disperde nell'ipnotica sequenza di queste note, per venire a dimorarti accanto, aleggiarti attorno impalpabile in quest'attimo sospeso. Poi, ripresi i suoi contorni, e tu ripresi i tuoi, ritroverete entrambi la vostra concretezza, e vi incontrerete di nuovo sui percorsi della realtà.
Ma per adesso, sssssst, sogniamo assieme un sogno bello.


sabato 19 ottobre 2013

Alla breccia di Porta Pia



Quelli la sfondarono per entrare, questi per uscire.
La storia d'Italia è tutta qui.

Sweet dreams/2

Nell'ultimo sonno della prima mattina ho fatto un sogno.
Un sogno articolato in unità di tempo, di luogo e di azione. Talmente ben sceneggiato da sembrare un film. Curato in ogni minimo dettaglio, persino nell'uso delle luci. Tenero, sereno, commovente.
Era tanto che non sognavo così bene. E ad un certo punto, quasi che il mio inconscio dicesse "adesso basta, la dose è sufficiente e l'antifona è stata capita, non scrofaniamoci di cose belle sennò facciamo indigestione" mi sono svegliata. Senza sapere come andava a finire. O meglio, come sarebbe continuato.
Ma lo stesso con un gran sorriso sul volto e con la gioia nel cuore.
Far pace coi propri ricordi, che meravigliosa conquista.

venerdì 18 ottobre 2013

Perché non sei una mela

Qui c'è l'ennesimo regalo di Angie. Sotto l'ennesimo ennesimo: la traduzione che ne ha fatto per me che sono una capra in inglese (e non solo).

"Trovati una ragazza che non legge, incontrala nello squallore di un bar del Mid-West, in mezzo al fumo, nel sudore alcolico e nelle luci sgargianti di un night esclusivo. Ovunque la trovi la vedrai sorridente. Assicurati che il sorriso le rimanga anche quando le persone con cui parla guardano altrove. Intrattienila con banalità prive sentimento. Usa frasi ad effetto e ridine tra te e te. Portala fuori a notte fonda. Ignora la pesantezza della situazione. Baciala nella pioggia, sotto la debole luce di un lampione perché “così fanno nei film”. Nota la sua mancanza di profondità. Portala nel tuo appartamento. Facci l'amore frettolosamente. Trombala.

Fa sì che il frettoloso contratto che avete scioccamente stipulato evolva lentamente e maldestramente in una relazione. Scopri interessi comuni come il sushi o la musica folk. Costruisci un impenetrabile bastione su codeste basi, rendilo sacro. Ritirati in esso ogni volta che l'aria diventa stagnante o le serate si fanno lunghe. Non parlare di nulla che abbia un senso. Pensa il minimo indispensabile. Lascia trascorrere i mesi.
Chiedile di venire a vivere a casa tua. Lasciagliela decorare. Liticaci per cose che non hanno senso tipo: come deve essere tesa la maledetta tenda della doccia per non allagare il pavimento. Lascia passare un anno senza pensare al tempo trascorso. Comincia a pensarci. Comincia a pensare che dovreste sposarvi perché altrimenti avreste perso un sacco di tempo. Portala a cena al 45esimo piano di un ristorante che non ti puoi permettere. Assicurati che ci sia una splendida vista della città. Con fare impacciato chiedi ad un cameriere di portarle un calice di champagne con un modesto anellino dentro. Quando lei se ne accorge chiedile di sposarti con tutto l'entusiasmo e la sincerità che puoi racimolare. Non preoccuparti troppo se senti balzare il tuo cuore attraverso un pannello di vetro. E non ti preoccupare troppo se non riesci a sentire nulla. Se c'è un applauso lascialo sfumare. Se lei piange sorridi come se non potessi essere più felice. Se lei non sorride sorridi comunque.
Lascia che gli anni passino indolentemente. Fatti una carriera. Compra una casa. Metti al mondo due figli incredibili. Cerca di crescerli bene. Talvolta fallisci. Lasciati scivolare in una indifferenza annoiata e poi in una tristezza indifferente. Attraversa la crisi di mezza età. Invecchia. Interrogati sulla tua mancanza di successo. Sentiti a volte felice ma per lo più vuoto ed impalpabile. Pensa, quando cammini, cosa succederebbe se tu non tornassi più o se volassi via nel vento. Contrai un male inguaribile. Muori ma solo dopo aver osservato che la ragazza che non legge non ha mai mosso il tuo cuore verso nessuna passione rilevante, che nessuno scriverebbe la storia della vostra vita, e che anche lei morirà con soltanto il lieve rammarico che nulla è maturato nella sua capacità di amare.
Fai tutto questo, maledizione, perché non c'è niente di peggio di una ragazza che legge. Fallo, ti dico, perché vivere in purgatorio è sempre meglio che vivere all'inferno. Fallo perché una ragazza che legge ha un vocabolario che le permette di descrivere la scontentezza informe di una vita non realizzata, un vocabolario che analizza la bellezza innata del mondo e la rende una necessità accessibile invece di una fantasia sconosciuta. Una ragazza che legge rivendica un vocabolario che distingue tra la retorica fredda e disumana di chi non la ama e la disperazione muta di chi la ama troppo. Un vocabolario, perdio, che rende i miei vuoti sofismi dei trucchetti da 4 soldi.
Fallo perché una ragazza che legge conosce la sintassi. La letteratura le ha insegnato che i momenti di tenerezza vengono ad intervalli sporadici ma riconoscibili. Una ragazza che legge sa che la vita non è piana, sa, e giustamente chiede, che ci sia il riflusso dopo un'ondata di disappunto. Una ragazza che ha letto possiede nella sua sintassi il senso delle pause irregolari e l'esitazione del respiro, tipico della menzogna. Una ragazza che legge percepisce la differenza tra un breve momento di rabbia e la radicata abitudine di coloro il cui cinismo progredisce oltre qualunque forma di ragione, o scopo, progredisce anche dopo che lei ha fatto la valigia e detto un riluttante addio dopo aver deciso che io sono solo una serie di puntini di sospensione e non un periodo. Sintassi che conosce il ritmo e le cadenze per una vita vissuta bene.
Trovati una ragazza che non legge perché la ragazza che legge conosce l'importanza della trama. Sa tracciare il limite tra il prologo e le creste affilate dei climax. Li sente nella propria pelle. La ragazza che legge sarà paziente con un intermezzo e rapida verso epilogo. Ma soprattutto la ragazza che legge conosce l'ineluttabile senso della fine. E' a suo agio con le conclusioni. ha detto addio a migliaia di eroi solo con una punta di rammarico.
Non prenderti una ragazza che legge perché le ragazze che leggono sono le narratrici. Tu e Joyce, tu e Nabokov, tu e la Woolf. Tu là nella biblioteca, sulla piattaforma del metrò, all'angolo del caffè, alla finestra della tua stanza. Tu che hai reso la mia vita così dannatamente difficile. La ragazza che legge ha intessuto la sua vita di significato. Pretende che la sua narrativa sia ricca, i comprimari siano sfaccettati e i caratteri evidenziati.
Tu, ragazza che legge, vuoi che io sia tutto ciò che non sono. Ma io sono fragile e ti deluderò perché hai sognato qualcuno che è migliore di me. Tu non accetterai la vita che ho descritto all'inizio del mio pezzo. Non accetterai niente meno della passione e della perfezione e una vita degna di essere narrata. Quindi vattene. Prendi il prossimo treno per il sud e portati Hemingway con te. Ti odio. Ti odio veramente, veramente, veramente tanto."

mercoledì 16 ottobre 2013

La Moldava

Oggi ho fatto una lunga chiacchierata con una delle persone che amo di più al mondo.
Io le voglio un bene che si potrebbe definire esagerato, se non si trattasse di lei.
Invece, siccome si tratta proprio di lei, è tutto fuorché esagerato. Anzi.

Lacrime di Nemo mi ha fatto venire in mente questo splendido poema sinfonico, da cui ha rubato l'incipit.

Recita wiki: "Nella Moldava Smetana celebra la bellezza del fiume Vltava (da cui ha preso nome anche il poema), che nasce nei boschi della Selva Boema e dopo aver attraversato la campagna, giunge a Praga per poi sfociare nell'Elba, che a sua volta si getterà nel Mare del Nord."
Questa musica incantata descrive in modo mirabile il ruscello cristallino che gorgheggia, saltando tra le pietre della montagna, e poi man mano scende a valle, si ingrossa, diventa un fiume pieno, maestoso, che attraversa ogni luogo vivificandolo, e poi impetuosamente, in un crescendo trascinante, tra mille spruzzi e zampilli, milioni di gocce iridate, sfocia trionfante nel grande mare.
Una meraviglia della natura.

E ho subito pensato a quanto è simile a questo fiume, Angie.

Perciò questo post lo dedico a lei. 



martedì 15 ottobre 2013

Lacrime di Nemo


Dopo una giornata incredibilmente tempestosa, piena di furia e di schiuma, la sua navicella, sferzata dagli schiaffi delle onde, bruciata dal calore di un sole implacabile, ha finalmente trovato da ancorarsi.
Non ha fatto naufragio. E' sopravvissuta. Potrà rispiegare le vele, e ripartire.

E ora è scesa la notte, come un sipario finalmente calato sull'estenuante spettacolo che oggi è stata costretta a interpretare davanti a me, spettatrice impotente. La sua battaglia per la conquista dell'atollo dove credeva di aver trovato un tesoro che invece non c'era è finita. Ha perso, è stata ricacciata indietro, ferita, ma viva. Cessata la pioggia delle frecce acuminate di parole, si è impadronita del campo la quiete di un soffice silenzio.
E io qui, ora staccata da lei, su un'altra riva, a lei penso, e vorrei donarle il riposo, e sogni belli.

Nulla meglio di una ninna nanna, dunque. Che le giunga di là attraverso il mare.
Per placare ogni tormenta, per propiziare la bonaccia.
E che le propizi anche il salpare di nuovo, verso un'altra terra, non ostile, non infida, nel giorno che verrà.

(Buonanotte alla mia cara esploratrice. Che possa trovare l'approdo giusto.)


Chiaro di luna scendi in fondo al mare
e arriva dove il vento non può arrivare
e trova le parole per calmare
quest'acqua che si mescola col sale
quest'onda sulla riva delle ciglia
Che un po' t'incanta e un po' ti meraviglia
Che un po' t'incanta e un po' ti meraviglia

Fiore di scienza e libero pensiero
Ancora senza nave e vela senza veliero
bottiglia mezza vuota e mezza piena
e pesci e luci e canto di balena
Chiaro di luna segnami il futuro
e mescola l'idrogeno e il carburo
e mescola l'idrogeno e il carburo

E passo dopo passo piano piano
illumina i miei passi con i tuoi
che ogni passo avanti è un passo in meno
e meno ossigeno nei serbatoi

Illumina le torri medievali
e i falchi e il tempo e i sogni e gli ideali
e le città sconfitte in fondo al fumo
e il sangue e l'innocenza di nessuno
il sangue e l'innocenza di nessuno

domenica 13 ottobre 2013

La cura


Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie
dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via
Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo
dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai
Ti solleverò dai dolori e dai tuoi sbalzi d'umore
dalle ossessioni delle tue manie
Supererò le correnti gravitazionali,
lo spazio e la luce
per non farti invecchiare.
E guarirai da tutte le malattie
perché sei un essere speciale
ed io avrò cura di te.

(Pur essendo riuscita ad evitarlo accuratamente per mesi ed anni, oggi ci son cascata anch'io, nella banalità di postare 'sta canzone. E' che l'ho risentita stanotte mentre vagavo in macchina per la città meravigliosa e incasinata, ed arrivava proprio miracolosamente a ciccio. Per cui ora me la dedico e me la canto: perché, Cri, tu sei un essere speciale, ed io avrò cura di te.
E come faccio io esorto a fare tutti. Che ciascuno, passando di qui, la ascolti e dica a se stesso: "perché sei un essere speciale, ed io avrò cura di te."
Buona domenica, amici miei amati.)






Ti salverò da ogni malinconia
perché sei un essere speciale ed io avrò cura di te
io sì, che avrò cura di te

giovedì 10 ottobre 2013

The answer, my friend

Ho preso un'infreddatura all'anima. Una piccola influenza: un male di stagione.
E' che anche in casa mia è arrivato l'autunno coi suoi temporali. E all'arrivo dell'autunno le cicatrici delle vecchie ferite danno sempre un po' noia.
E andandomi a curare, come ogni martedì, un po' più acciaccata degli altri martedì, ho ricevuto l'ennesima folgorazione. Talmente potente che mi ha costretta ad andare a rimestare nell'armadio della memoria, in un mucchio di cianfrusaglie che non avevo né voglia né coraggio di guardare da un sacco di tempo.
Certo che fa impressione - tanta impressione - riesumare vecchissime conversazioni tra Ca e Cri (laddove Ca è il casumano e Cri, invece, sono io)

[25/01/2012 20:30:07] Cri: non fa niente
[25/01/2012 20:30:17] Cri: ho esperienza di gente a cui dico "ti voglio bene" che mi risponde "grazie" :)
[25/01/2012 20:30:24] Ca: :|
[25/01/2012 20:30:29] Cri: per me non è un problema
[25/01/2012 20:30:37] Cri: io in quel "grazie" ci vedo quello che sento io :)
[25/01/2012 20:30:45] Ca: ecco, questo fai bene a farlo
[25/01/2012 20:30:50] Ca: c'è gente che proprio non gliela fa, cri
[25/01/2012 20:30:58 |Cri: e capitano tutti a me :D
[25/01/2012 20:31:03] Ca: cioè lo so che si dovrebbe fare
[25/01/2012 20:31:07] Ca: e che non sono cose grossi
[25/01/2012 20:31:08] Ca: grosse
[25/01/2012 20:31:20] Ca: ma la stupidità delle persone è quella che è ecco
[25/01/2012 20:31:35] Cri: stupidità? :D
[25/01/2012 20:31:44] Ca: eh, avere paura di tre parole
[25/01/2012 20:31:46] Cri: Eh, io lo so che tu fai parte di quelli che dicono "grazie" ;)

e ricordarsi le mortificazioni a cui ci si è sottoposte, allora, per aver voluto bene a dei poveretti che ci rompevano gli zebedei notte e giorno, facendosi tenere la manina infragilita, facendoci affezionare a loro come ai nostri propri figli, ma ai quali il loro sì delicato cuore d'uccelletto implume imponeva di farci cadere dall'alto come manna dal cielo quelle tre parole di cui avevano paura, farcele sospirare fin quasi a tirarci il collo, dopo averci per lungo tempo fatto sentire prepotenti e inopportune nel pretenderle, e compararle alla scena di martedì sera, quando, sicuramente per averci viste sotto un mattone, il terapeuta, alla fine della seduta, avendoci chiesto come di routine sensazioni, emozioni e pensieri, avendogli noi (per averlo pensato davvero e non intender ometterglielo esclusivamente al fine di non compromettere l'esito della terapia), confessato in un soffio "ho pensato che ti voglio bene" - affermazione che, per il contesto in cui era stata pronunciata, a nostro avviso non presupponeva alcun riscontro, se non l'annotazione da parte dello specialista in quanto reazione psichica alla specifica interazione terapeutica testé conclusa -, ci ha risposto all'istante, del tutto inopinatamente, con voce ferma e calma, "anch'io ti voglio bene".
Ed è così andato in frantumi l'ultimo totem della mia sgangherata relazione casumanesca: il monumentale castello ideologico sul rispetto delle ritrosie dell'altro, dei suoi tempi, delle sue difficoltà, e tutto il corredo di pippe mentali in merito.
Se due persone adulte si sono vicine, tanto vicine, e in empatia si aprono il cuore vicendevolmente, vuol dire che finiscono per volersi bene, e stop. E se una lo dice all'altra: "ti voglio bene", quella le replica, spontaneamente, serenamente: "anch'io ti voglio bene." 
E' questa la risposta, amico mio. Così ovvia, così semplice, da suscitare un "oooooooh" di meraviglia per non averci pensato prima.
Perché se non ti viene, se ti muore in gola, se ti imbarazzi, se con aria confusa chini il capo e mi dici "grazie", allora, semplicemente, vuol dire che non mi vuoi bene. E quando finalmente me lo dici non vale più niente.
E difatti s'è visto.
E il resto è fuffa.

lunedì 7 ottobre 2013

We never know how high we are

We never know how high we are
Till we are asked to rise
And then if we are true to plan
Our statures touch the skies -

The Heroism we recite
Would be a normal thing
Did not ourselves the Cubits warp
For fear to be a King

(Non conosciamo mai la nostra altezza 
Finché non siamo chiamati ad alzarci. 
E se siamo fedeli al nostro compito 
Arriva al cielo la nostra statura. 

L'eroismo che allora recitiamo 
Sarebbe quotidiano, se noi stessi 
Non c'incurvassimo di cubiti 
Per la paura di essere dei re)


(Di tutto cuore auguro a me stessa e a voi una buona, buona settimana.)

venerdì 4 ottobre 2013

I just call to say I love you

Stasera, aprendo FaceBook stordita dalle cronache e dalle immagini della immane tragedia di Lampedusa, leggo sull'argomento tre status che inveiscono a buffo tutti e tre contro il papa, reo di aver messo bocca sulla vicenda, e mi incazzo subito. Di un'incazzatura diversa dalle mie solite: una specie di sbornia triste, la nausea afasica di chi è satura di facili equazioni, di volgari e trite scorciatoie alla comprensione del mondo. Il papa ha detto "Vergogna!" e i miei fichissimi contatti modaioli anticlericali (come se essere anticlericali, poi, fosse l'ultimo trend del momento, e manifestazione di raffinata apertura mentale: sai che sofisticheria, sai che novità...) ci hanno all'istante giocato al tiro al piccione, insultandolo e deridendolo a turno, novello Ecce Homo, come se fosse lui in persona il primo, solo ed unico responsabile del dramma dei flussi migratori dall'Ottocento ad oggi, dell'ipocrisia di ogni benpensante, bravo cristiano e non, sul tema, e dell'inerzia dei governanti d'Italia e d'Europa. Se fosse stato zitto, o si fosse limitato al minimo sindacale del predecessore, non se lo sarebbero cagato di pezza. Invece questo tizio qui, che (lui sì) usa un approccio nuovo, inconsueto, spiazzante, che forse tocca in loro qualche nervo scoperto, non lo possono proprio vedere. E' più forte di loro non far altro che braccarlo ed aspettarlo al varco, tentando di impallinarlo ogni qual volta dà un segno di vita. Dando così prova di esserne irresistibilmente attratti.
Come è destino di ogni segno di contraddizione.

E perciò mi è venuto di difenderlo, almeno dentro di me. E di fare il punto su quello che io penso di questo papa Francesco, al secolo Jorge Mario Bergoglio.
Se in materia di bioetica questo fenomeno si dimostra piuttosto tradizionalista, in altri ambiti esprime concezioni e assume comportamenti a dir poco stravaganti. Stravaganti per un papa, beninteso. Perlomeno, rispetto ai papi che siamo stati abituati a vedere sin qui. I suoi gesti, lontani anni luce da quelli prescritti dal rigido e glaciale cerimoniale che ha sempre reso inaccessibile il corpo del sovrano pastore della Chiesa cattolica al gregge dei suoi sudditi, non cessano di fare notizia e scalpore, suscitando stupore in tutti, ilarità in alcuni, scandalo in altri, commozione in molti.
Fa particolare sensazione - più del vezzo di augurare "buonasera!" o "buon pranzo!" a seconda del momento della giornata, o del ghiribizzo di scrivere lettere ai giornali, o finanche della rivoluzione attuata nella curia romana e nello IOR - la sua passione di telefonare alla gente. L'usanza si va diffondendo e consolidando: cominciano ad essere una piccola truppa coloro che allo squillo della suoneria hanno alzato la cornetta o spinto il pulsante del cellulare, esclamato "pronto"? e udito dall'altra parte in risposta un delicato cinguettìo di timbro argentino e argentina cadenza: "Pronto, sono papa Francesco".
Non è che componga numeri a caso, pare, quest'uomo volitivo, estroverso, palesemente consapevole e compiaciuto di esser considerato pixillated alla stregua dei protagonisti dei film di Frank Capra. No, lui chiama persone che si trovano in situazioni particolari, difficili o drammatiche, di cui è venuto a conoscenza per il loro esser di pubblico dominio, oppure che gli sono state riferite nel corso di udienze e incontri vari con la folla sempre assiepata al suo passaggio.
Le vaglia, le chiama, e si confronta con loro da pari a pari, come essere umano spogliato della immodesta magnificenza di veneranda icona del divino.

(Spingendo alle estreme conseguenze la scelta dirompente di Giovanni XXIII, primo pontefice che uscì dalla reggia Vaticana per andare negli ospedali, nei quartieri, nelle carceri. Che scese dalla sedia gestatoria e camminò in mezzo alla gente. Che in una bella notte di metà ottobre, alla fine della giornata campale di apertura del Concilio Vaticano II, sfinito e già prossimo alla morte, di malavoglia sospinto dal segretario particolare alla finestra ad ammirare lo spettacolo della moltitudine di luci protese verso di lui dalle mani della marea di fedeli che colmava Piazza San Pietro e un tratto di Via della Conciliazione senza dar segni di voler defluire, si affacciò, vide quella sterminata massa di popolo, poi vide la luna, si emozionò, improvvisò, e si cavò dal cuore una benedizione lirica, poetica, con questa frase incastonata in mezzo: "Tornando a casa, troverete i bambini. Date una carezza ai vostri bambini e dite: questa è la carezza del Papa.")

Agli occhi degli scettici questo papa, come tutti gli altri, è solo l'ennesima icona del gigantesco apparato di affari e potere molto poco ultra e molto molto terreni; per cui gesti del genere vengono da loro percepiti come meri atti dimostrativi, pagliacciate propagandistiche per i gonzi, che lasciano il tempo che trovano. Beh, ovvio, se già non è vero che una telefonata ti allunga la vita, come pretendeva uno spot della Tim di vari anni fa, tanto più è certo che non te la cambia. Ci vorrebbe ben altro, per risolvere le tribolazioni della gente: si dovrebbero porre in campo mezzi e risorse per intraprendere azioni ben più incisive. Mezzi e risorse che ai rappresentanti della confessione religiosa più potente e diffusa nel mondo sicuramente non mancano.

A me questa mania bergogliana è sembrata a lungo un po' buffa. Una bizzarria: innocua, simpatica, ma buffa e niente più.
Poi ho letto ieri la notizia: papa Francesco chiama la mamma dell'alpino morto undici mesi fa in Afghanistan.
Ora, lasciamo stare i motivi più o meno nobili per cui questo faceva l'alpino, e quelli per cui si trovava in Afghanistan. Concentriamoci sull'evento: una madre che, sia come sia, ha perso un figlio. Che convive con un dolore irriferibile, inconcepibile.

E leggiamo quello che lei ha raccontato sulla circostanza, così come riportato da Repubblica Genova del 2 ottobre.

Quella volta che la incontrò in piazza San Pietro le disse : "Lasciami il numero che poi ti telefono". E sabato l'ha chiamata: Papa Francesco ha telefonato alla madre di Tiziano Chierotti, l'alpino di Arma di Taggia (Imperia) ucciso in Afghanistan 11 mesi fa. 
Gianna Chierotti era appena tornata dal cimitero e, racconta, "avevo avuto un crollo" quando è squillato il telefono. "Sono Papa Francesco" le ha detto Bergoglio.
"Abbiamo parlato di Tiziano - ha detto madre - e mi ha detto cose che voglio tenere nel cuore. Mi ha trasferito tanta serenità. Quando gli ho detto che stavo male, lui mi ha risposto: "Esistono le intuizioni". Lui ne ha avuto una, mi ha chiamato quando più ne avevo bisogno".
"All'udienza generale - ricorda la mamma dell'alpino - gli avevo lasciato l'album con le foto e le frasi che Tiziano ci scriveva. Non credevo che il Papa le avesse custodite fino ad oggi. Ho avuto la sensazione di non avere un Papa dall'altra parte del telefono ma un papà. Quell'uomo ha un dono grande ed è un grande Papa, un Papa straordinario".

Ecco, questa breve cronaca mi ha colpita moltissimo.
"Lasciami il numero che poi ti telefono."
E quella gli lascia il numero.
E lui le telefona.
E quella sta male, glielo dice. E lui le replica: "esistono le intuizioni."

Mi ha colpita perché sono cose di cui faccio esperienza anch'io: di cosa significhi ricevere una chiamata, una banalissima chiamata, al momento giusto. Di cosa significhi farne una a qualcuno a cui serviva. Senza nemmeno saperlo, farla, quella telefonata: pensarci, a quella persona.

Mi ha colpita, questo papa Francesco, come mi colpisce la voce affaticata e accorata di papa Giovanni alla finestra, mentre dialoga con migliaia di persone come se fossero solo in due, lui e la gente, divenuta una colossale, unica individualità, in un corteggiamento amoroso esclusivo e intimo, che strappa emozioni dal petto a tutte e due le parti: alla gente, ma anche al papa, in quel rispecchiamento occhi negli occhi che è il segno di ogni autentica umana relazione.

“Cari figlioli, sento le vostre voci. La mia è una sola, ma riassume tutte le voci del mondo; e qui di fatto il mondo è rappresentato. Si direbbe che persino la luna si è affrettata stasera… Osservatela in alto, a guardare questo spettacolo… La mia persona conta niente: è un fratello che parla a voi, un fratello divenuto padre per volontà di Nostro Signore… Continuiamo dunque a volerci bene, a volerci bene così; guardandoci così nell'incontro..."

Di questo il mondo è affamato: non di fede in un'esistenza superiore, ma di fiducia nella comune umanità, e nelle potenzialità che essa porta con sé: prima fra tutte, la capacità di amarci scambievolmente, e di legittimare così, gli uni gli altri, la nostra esistenza.

Ma tutto ciò dispiega i suoi effetti solo nella gratuità del movimento verso l'altro. Solo se è purificato da ogni desiderio di contropartita, se è un gesto che non contempla le conseguenze di se stesso. Se viene compiuto senza aspettative, senza tentativi di controllo o manipolazione, solo gustando la bellezza del momento dell'incontro, del contatto tra le anime, in un effimero che diventa eternità.

Ma nel contempo non nasce per assoluto disinteresse nell'autosufficienza di un essere immerso in un divino distacco da Primo Motore Immobile. Al contrario, sboccia dalla umana esigenza di un uomo tra gli uomini. Un uomo come Angelo Roncalli, un uomo come Jorge Mario Bergoglio, che sperimenta la mostruosa solitudine di cui ha scritto toccanti parole papa Montini, Paolo VI: «Il mio isolamento è completo e terribile. Di qui lo sconcerto, la vertigine. Mi sento come una statua su un piedistallo: ecco come vivo ora», per sconfiggerla ha bisogno estremo di sentirsi legato agli altri uomini. Di riaffermare la sua somiglianza, la sua affinità spirituale con altre creature. Giovanni declamava da un balcone: Francesco telefona. Ma tutti e due, nel momento in cui agiscono così, non stanno più genericamente amando l'umanità: stanno amando quei loro simili, quelli e non altri.

Un bel film di Giuseppe Piccioni, "Fuori dal mondo", contiene due momenti clou: quello a inizio film, quando Silvio Orlando chiede alla suora Margherita Buy "perché mi ha aiutato?" e quella risponde "perché lei aveva bisogno di aiuto" e lui allora la incalza "ma se ci fosse stato un altro al posto mio lei sarebbe venuta lo stesso?" e lei replica astrattamente "sì, certo!"; e quello a fine film, quando di nuovo Orlando le chiede: "se ci fosse stato un altro al posto mio tu l'avresti aiutato lo stesso?" e quella, che ha avuto tutto il tempo del film per guardarsi dentro, stavolta risponde un sincero, concreto, onesto "no".
In quel diniego è racchiuso il senso di ogni legame, lungo tutta la vita o mezz'ora, che è sempre un legame d'amore: il riconoscimento dell'altro. E di sé. Senza il quale si cessa di vivere. Si respira, ci si muove, ma internamente si è morti.

Ecco, papa Francesco possiede l'umiltà, direi quasi la tenera furbizia,  di riconoscere, come uomo, di aver bisogno dell'amore degli uomini. E la gioiosa astuzia di saperselo accaparrare, in uno scambio alla pari, dove la madre dell'alpino sembra la parte debole, quella bisognosa, che ne esce arricchita e riconfortata. Ma dove invece la cosa, per dirla con Carlo Verdone, è senz'altro molto, molto reciproca.

E peggio per quelli che ci ridono sopra. Si vede che non capiscono, non sanno.

Non sanno cosa si perdono.

mercoledì 2 ottobre 2013

La saggezza nel sangue



Dal sito di Spinoza il fantastico, laconico, essenziale tweet di eio, il fondatore in persona:




Il giardino delle delizie


AHAHAHAHAHAHAAHAHH!!! LO SAPEVO! Lo sapevo che avrei vinto la scommessa!
Sono diventata una fine politologa, ahem.

E nel clima di "pacificazione" che ha auspicato il Caimano durante il suo grave discorso cominciano già i distinguo: Sacconi smentisce Formigoni che aveva affermato che "ormai la fiducia di Berlusconi è tardiva" e che i nuovi gruppi parlamentari avrebbero comunque visto la luce; Zanda rimbecca Bondi, Nitto Palma se ne va per dissenso con Zanda, e PD e PDL cominciano a darsele di santa ragione: bagarre in aula.
Per non essere da meno avevano cominciato i grillini, minacciando ed offendendo la senatrice Dal Pin, ex appartenente al Movimento, che aveva dichiarato di votare la fiducia al governo per evitare la follia di rimandare il Paese a votare col Porcellum.



E il commentatore del Wall Street Journal Simon Nixon twitta: "Berlusconi declares his support for Letta government and all of Europe collapses in laughter at the absurdity of Italian politics."
Devo tradurre?




Faith

Faccio una scommessa con me stessa: il Caimano, pur di spiazzare la strategia deberlusconizzante di Letta e Napolitano, all'ultimo momento voterà la fiducia. Da una bestia senza catene, senza faccia, senza principi, senza dignità, è lecito aspettarsi tutto e il contrario di tutto.
Se lo farà sapremo che la minaccia di Alfano, Giovanardi, Cicchitto (Dio che raccapriccio scrivere questi nomi qua sopra), era fondata e destinata a concretizzarsi.
Altrimenti, semplicemente, prosegue la scommessa, il governo cadrà per la sfiducia dell'intero PdL.
Ecco, Cri, facciamo così: se il governo si salva o cade per il voto più o meno compatto (concedimi qualche patetica, poetica defezione, magari i sei che pare abbiano applaudito il discorso di Letta) dei servi del delinquente, vinco io. Se invece si salva per l'ausilio di una corposa pattuglia di transfughi che certifichi l'abbandono da parte dei topi della fogna prosciugata e contestualmente la rifondazione della Democrazia Cristiana che lobotomizza come niente fosse stato vent'anni di follie e riprende senza soluzione di continuità a sguazzare nella palude dove eravamo prima dell'avvento del maggioritario, vinci tu.
In entrambi i casi, come al solito, perde l'Italia. Tiremm innanz'.
(Ed intanto, come volevasi dimostrare, ecco apparire dichiarazioni a raffica del redivivo Casini...)

sabato 28 settembre 2013

Il cavaliere inesistente

Insomma, c'erano anche da noi tutte le cause della Rivoluzione francese. Solo che non eravamo in Francia, e la Rivoluzione non ci fu. Viviamo in un paese dove si verificano sempre le cause e non gli effetti.

(E' tanto che ce l'ho in canna questa frase. Stasera mi pare assai opportuna, se un delinquente per festeggiare il suo imminente compleanno si regala impunemente una crisi di governo nella generale acquiescenza)

venerdì 27 settembre 2013

Survivor

"Chiunque sia sopravvissuto alla propria infanzia, possiede informazioni sulla vita per il resto dei propri giorni."

Con questa frase di Mary Flannery O' Connor, per cui sono grata al mio amico e grande artista Carlo (altro libro che dovrò comperare, questo della O' Connor!), celebro il superamento delle cinquantamila visite sul mio blogghino.

Ringraziandovi ancora e rassicurandovi che, in quanto sopravvissuta alla mia infanzia, ne avrò ancora molte, per conseguenza, secondo quanto sopra affermato, di cose da scrivere.

giovedì 26 settembre 2013

L'ultimo giorno del circo

E adesso, con l'ultimo (per ora), eversivo, miserabile bluff delle minacciate dimissioni di massa degli eletti del PdL, fragoroso e ridicolmente innocuo come il botto di un tappo stappato di champagne, veniamo a sapere che l'Uomo della Provvidenza da cinquantacinque giorni non dorme più e ha perso undici chili.
Per l'irrefrenabile dissenteria, ovviamente.
Il suo agitarsi folle e disperato ha assunto tratti paradossali, grotteschi, eccessivi persino per un uomo palesemente privo di dignità e di etica come lui.
Pian piano tutto si compie, ogni tassello torna al suo posto, il puzzle si ricompone. Così, mentre all'orizzonte si cominciano a profilare gli altri nodi grossi come montagne - i documenti richiesti con rogatoria del 2006 finalmente arrivati da Hong Kong per il processo Mediatrade, le ammissioni di De Gregorio, il dossier della Guardia di Finanza sull'inchiesta di Bari - venuti al gigantesco pettine avvelenato che, come nella fiaba di Biancaneve, per vent'anni è stato conficcato sul capo dell'Italia esanime, scopriamo, a integrazione del quadro della sua personalità, un ulteriore tratto caratteriale del Grande Malfattore, non meno distintivo della sua compulsiva, svergognata capacità di mentire e di delinquere, sin qui dissimulato: un'abissale vigliaccheria.



Han spento lucciole e lanterne
messo il leone nella gabbia
scambiato il funo con la nebbia
domani il circo se ne va.
Le stelle accese nella tenda
sono tornate dei fanali
i clown degli uomini normali
domani il circo se ne va.

Passato il giorno della festa
ritorneremo a misurare
quel posto vuoto sul piazzale
domani il circo se ne va.

Passato il giorno della festa
ci resta il piccolo calvario
di spazi vuoti al calendario
domani il circo se ne va.

Han messo via le luminarie
smontato tutto pezzo a pezzo
soldati e bimbi a metà prezzo
domani il circo se ne va.

Nel lampo breve di un istante
forse era solo un'illusione
l'uomo sparato dal cannone
domani il circo se ne va.

Passato il giorno della festa
resta un ricordo eccezionale
un manifesto lungo il viale
domani il circo se ne va.

Passato il giorno della festa
ci sono a far da spazzatura
lustrini fra la segatura
domani il circo se ne va.

Solo l'orchestra del silenzio
che non ha posto per partire
rimane a farci divertire
domani il circo se ne va.



mercoledì 25 settembre 2013

Rush

Com'è come non è, sono sbalordita dell'avverarsi della mia premonizione, e in un lasso di tempo così breve.
(Forse non è nemmeno stata una premonizione: forse sono io che gliel'ho tirata, oppure è stato Aldo! Sìssì, sono sicura che Aldo c'entra qualcosa!)
Ho dato conto qui della mania di Edoardo di dondolarsi vigorosamente spingendo all'indietro lo schienale della Poang, la famosa poltroncina di legno dell'Ikea che molleggia, e dei miei timori che mal gliene incogliesse, una volta o l'altra. Per la verità io me lo vedevo lanciato in orbita a tutta velocità per il contraccolpo, questo cavaliere statuario apparentemente invulnerabile.
Invece stasera è successo il contrario: io mi accomodo sulla mia poltrona, lui si lascia cadere con forza sulla sua e crac, il legno mille volte sollecitato cede e si crepa, mandandolo gambe all'aria.
Vedere il proprio terapeuta finire a culo per terra a inizio seduta è cosa che solo a me, comunque, poteva capitare, ne sono certa.

sabato 21 settembre 2013

Si sta facendo notte




Staccate la corrente
un po' di pace qui
fermiamoci un istante, voglio stringerti così
è bello ritrovarsi,
abbandonarsi e già
costretti in questa fabbrica alienante
chiamata città
non sentono ragioni
i sentimenti no,
almeno per un po'
mi apparterrai
ti apparterrò

Inutili rumori
non è felicità
vorrebbero convincerci
che il paradiso è qua
è un mondo virtuale
padrone chiunque sei
smetti di spiarci, di sfruttarci
esistiamo anche noi
in fondo a questa vita
talmente breve che
non è un delitto se
se la offro a te

Di travagliati giorni
fantastiche tournée
io contro il mondo
e tu a fianco a me
quel coraggio dov'è
si sta facendo notte
è il nostro cantiere che riparte
più efficiente che mai
guai se così non fosse
siamo ancora pieni di risorse, aspetta e vedrai

La voglia di cantare
è figlia dei miei guai
salvare quel sogno
è tutto ciò che vorrei
mi aiuterai

Si sta facendo notte
c'è gente che non dorme ma riflette
sul tempo che va
non è un problema l'età
aprite quelle porte
e fate entrare amore in ogni cuore
finché ce ne sta

Non fosse stata musica
a guarire i silenzi miei
non starei qui a difenderla
non ti chiederei
di credere in lei
lo sai

Si sta facendo notte
se questa nostra stella non decolla
avrò sbagliato e anche tu
che ti aspettavi di più
son giochi disonesti
per tanti irresistibili idealisti
assoluzione non c'è

Diamoci dentro affinché
non si faccia notte
alziamoci fin lassù
mattone su mattone
seguiamo questa pallida illusione
qualcosa succederà

Si sta facendo notte