mercoledì 29 febbraio 2012

Il funambolo

Nella piena e totale coerenza della sua melensaggine ella amò tanto quel cantautore al tempo della sua giovinezza mancata. Sorda e muta alle relazioni umane, sociali e civili, per carenza di indispensabili esperienze dialettiche formative che le aveva inibito anche le già scarse capacità logiche e di buonsenso, fornita altresì in sovrabbondanza di una parossistica intelligenza emotiva, ella non era né femmina né maschio, ma una sorta di scoiattolino incompiuto di genere e di identità che viveva una vita scollata dalla realtà, raggomitolato nel fondo della tana in un buco di un albero altissimo, uscendone solo, e di continuo, con l'immaginazione, un'immaginazione meramente sentimentale. Lui, piccolo, infelice, appassionato, col suo intimismo rabbioso e tuttavia consolatorio per quel palliativo di umanità che le offriva, le era compagno perfetto in quel suo rosario di giornate inerti; la sua musica le implodeva fragorosamente nell'anima scuotendola di un furore amoroso sconosciuto, mai provato scambievolmente per alcuno, ma compreso per una sorta di intuizione superiore, e ardentemente bramato, ch'era inversamente proporzionale al silenzio ovattato della sua solitudine. 
Era ormai adulta quando, sentendosi come Cenerentola al ballo dopo l'intervento della fata madrina, andò ad un suo recital a teatro insieme ad uno sperso quanto e più di lei. Presero posto in piccionaia, dove avevano prenotato per risparmiare (tanto, aveva pensato lei, mica lo devo vedere, lo devo ascoltare!), e, in mezzo ad un sommesso ma vivace brusio, attesero in silenzio che il concerto cominciasse. Sì, in silenzio, a brutto muso, senza scambiarsi una parola, uno sguardo, un sorriso, perché avevano litigato già prima di arrivare per sciocchezze che i difetti di comprensione tra loro avevano contribuito a ingigantire; e il suo disgraziato compagno, ora, era brusco, di malumore, come sovente capitava, e perciò totalmente disarmonico, lontanissimo da lei, che si agitava a disagio sulla poltroncina scomoda, faticando a star seduta, pervasa da un turbamento scuro e triste, che dava un sapore cattivo di metallo raggelato alla sua emozione, togliendole ogni entusiasmo per lasciarle solo l'impulso di alzarsi, sottrarsi al contatto con quella persona distante, non cara né familiare, e con tutti quegli altri estranei inquietanti, e tornare sui suoi passi a rintanarsi di nuovo nel rassicurante buco che era la sua mesta prigione-rifugio.
Finalmente dal fondo lontanissimo del palcoscenico buio sbucò un omino minuto, che da quell'altezza pareva addirittura minuscolo; il quale, seguito da un unico occhio di luce, mosse alcuni passetti verso il centro della scena, fino ad arrivare di fianco ad un pianoforte a coda. 
Ci fu un attimo di sospensione, un'attesa in cui tutto il teatro trattenne il respiro.
Poi si levò come un incantesimo il tintinnio lieve e scintillante delle prime note dell'introduzione di questa canzone.


La musica di struggente bellezza salì e salì leggera fino a lei, a carezzarle il centro del suo essere. Poi arrivò la voce, vibrante, dolorosa, affettiva, a ripararla, ad isolarla in una bolla di cristallo dalle miserie del quotidiano, dal dispiacere, dalla mortificazione, dalla fatica, dall'insoddisfazione. Istantaneamente il grumo di sofferenza che le opprimeva il petto si sciolse in due perfette lacrime che le scesero simmetricamente dagli occhi. Il dolore era amore. E lei, illuminata e protetta dal conforto di questa consapevolezza, non era più lì.

Oggi ha capito perché tra tante canzoni più pregnanti per erotismo, energia, intensità, proprio questa, così atipica nella sua produzione, abbia sempre significato così tanto. Perché parla di lei. Perché lei è un funambolo che vive perennemente in precario equilibrio sospesa a metri da terra, mentre passa il tempo e intacca l'involucro vuoto di un'anima inscalfibile:

passa il tempo e il tempo dimmi che cos'è 
se il presente tiene dentro sè 
ogni passato prossimo 
come se non fossimo già qui 
ancora immobili, così 
con quei ricordi indistruttibili 
quei sentimenti indivisibili 
saremo lì, 
fragili
e nasconderemo le armonie 
di certe poesie...

Perché lei è un funambolo sospeso da terra, incapace di scendere se non quando la dolce zavorra dell'amore la tira giù in mezzo ai suoi simili rendendo la sua eterea incorporeità concretezza di carne e sangue; e allora, solo allora le pare di riuscire a vivere, di aver risolto la sua scissione, di riuscire a infilarsi nel suo involucro e a fare tutt'uno con esso. Fino a che non arriva, puntuale come la morte, la certezza dell'illusione, della sua fallacia, della sua inabilità alla pratica, della sua pretesa di vedere lanterne nelle lucciole, e quel peso allora le diventa insostenibile, e lei, confusa, straziata e oppressa, non trova altro di meglio da fare che scrollarselo di dosso, deporlo al suolo e tornare a vivere sul suo filo, staccata da tutti, protetta dalla tenerezza della sua malinconia, a guardare il mondo dall'alto come quella sera ha visto l'omino minuto dalla piccionaia, attendendo acquietata, atarassica, assorta nelle sue fantasticherie, la consumazione che il tempo che passa farà ancora della sua vita, a suo modo felice.

lunedì 27 febbraio 2012

Me and you and everyone we know

"Innanzitutto, dovresti avere il diritto di venire generato da un padre e una madre che si amino, durante un atto sessuale coronato dal reciproco orgasmo, affinché la tua anima e la tua carne abbiano come radice il piacere. Dovresti avere il diritto di non essere considerato un incidente né un peso, bensì un individuo atteso e desiderato con tutta la forza dell'amore, come un frutto che deve dare un senso alla coppia, trasformandola in famiglia. Dovresti avere il diritto di nascere con il sesso che la natura ti ha dato (E' sbagliato dire: "Aspettavamo un maschietto e invece è nata una femmina" o viceversa.) Dovresti avere il diritto di essere preso in considerazione fin dal primo mese della tua gestazione. Sempre, in ogni momento, la donna gravida dovrebbe accettare di essere due organismi in via di separazione e non uno solo che si espande. Nessuno può considerarti responsabile degli incidenti che potrebbero intervenire durante il parto. Quello che avviene all'interno dell'utero non è mai colpa tua: per rancore nei confronti della vita, la madre non vuole partorire, e mediante il subconscio ti arrotola il cordone ombelicale attorno al collo e ti espelle non ancora formato, prima del tempo. Non volendoti consegnare al mondo, in quanto sei divenuto un tentacolo pieno di potere, vieni trattenuto più a lungo dei nove mesi, e il liquido amniotico si sarò seccato bruciandoti la pelle; ti si fa ruotare fino a che saranno i piedi e non la testa a scivolare verso la vulva, i morti entrano nel loculo così, coi piedi in avanti; ti si fa ingrassare più del dovuto così non potrai passare dalla vagina e il parto gioioso verrà sostituito da un freddo cesareo che non è parto ma estirpazione di un tumore. Rifiutandosi di accettare la creazione, la madre non collabora con i tuoi sforzi e chiede l'aiuto di un medico che ti schiaccia il cervello con il forcipe; poiché soffre della nevrosi da fallimento, ti fa nascere semiasfissiato, azzurrino, costringendoti a rappresentare la morte emozionale di chi ti ha generato... Dovresti avere diritto a una profonda collaborazione: la madre deve voler partorire tanto quanto il bambino o la bambina vogliono nascere. Lo sforzo sarà reciproco e ben equilibrato. Dal momento in cui tale universo ti produce, è tuo diritto avere un padre protettivo che sia sempre presente durante la tua crescita. Così come a una pianta assetata si dà l'acqua, quando manifesti un interesse hai il diritto che ti venga data la possibilità di realizzarlo, affinché tu ti possa sviluppare sulla strada che hai scelto. Non sei venuto qui per realizzare il progetto personale degli adulti che ti impongono mete che non sono le tue, la principale felicità che ti offre la vita è consentirti di arrivare a te stesso. Dovresti avere il diritto di possedere uno spazio dove isolarti per costruire il tuo mondo immaginario, per vedere quello che vuoi senza che i tuoi occhi vengano limitati da una moralità effimera, per ascoltare le idee che desideri, anche se sono contrarie a quelle della tua famiglia. Sei venuto qui soltanto per realizzare te stesso, non sei venuto a occupare il posto di un morto, meriti di avere un nome che non sia quello di un parente scomparso prima della tua nascita: quando porti il nome di un defunto, è perché hanno innestato su di te un destino che non è il tuo, rubandoti la tua essenza. Hai il pieno diritto di non venire paragonato a nessuno, nessun fratello nessuna sorella vale più o meno di te, l'amore esiste solo quando si riconoscono le differenze fondamentali. Dovresti avere il diritto di venire escluso da ogni litigio famigliare, di non venire preso come testimone nelle discussioni, di non essere il ricettacolo dei problemi economici degli adulti, di crescere in un ambiente pervaso di fiducia e sicurezza. Dovresti avere il diritto di venire educato da un padre e una madre che la pensano allo stesso modo, avendo appianato le loro divergenze nell'intimità. Se divorziassero, dovresti avere il diritto di non essere costretto a guardare gli uomini con gli occhi risentiti di una madre né le donne con gli occhi risentiti di tuo padre. Dovresti avere il diritto di non venire sradicato dal luogo in cui hai i tuoi amici, la tua scuola, i tuoi professori prediletti. Dovresti avere il diritto di non venire criticato se scegli una strada che non rientra nei piani di chi ti ha generato; il diritto di amare chi desideri senza avere bisogno di un'approvazione; e quando ti sentirai capace di farlo, dovresti avere il diritto di lasciare il nido e andare a vivere la tua vita; di superare i tuoi genitori, di andare più avanti di loro, di realizzare quello che loro non hanno potuto fare, di vivere più a lungo di loro. Infine, dovresti avere il diritto di scegliere il momento della tua morte senza che nessuno venga a mantenerti in vita contro la tua volontà."

domenica 26 febbraio 2012

Una giornata particolare

C'è un piccolo sussulto nell'universo quando le anime di tre esseri umani in diverse stagioni della vita, di genere diverso, provenienti da epoche e luoghi diversi, con bagagli di esperienze diverse, fardelli di dolori diversi, scrigni di ricchezze diverse, ad una data ora di un dato pomeriggio di un dato giorno intersecano ad un crocevia le loro diverse esistenze, scoprendo, in quella breve sospensione spaziotemporale, di capirsi nel linguaggio comune di un'identica, medesima giovinezza.

giovedì 23 febbraio 2012

Here lies one whose name was written in water

"Beauty is truth, truth beauty," - that is all
        Ye know on earth, and all ye need to know.

John Keats,  Londra, 31 ottobre 1795 – Roma, 23 febbraio 1821

mercoledì 22 febbraio 2012

Solitude

Rovisto nel caos dei frammenti confusi e sbiaditi della mia infanzia infelice come nella scatola di uno degli innumerevoli puzzle da migliaia di pezzi con cui ho riempito in passato lunghe ore di vuoto e distolto la mente dall'usura dell'ansia e, come sempre accade quando si fanno queste esplorazioni, più rimescolo i tasselli, più lo ricaccio sotto gli altri, più mi torna in mano lo stesso, sempre lo stesso pezzetto dentellato, l'immagine di una bambina che in un tardo pomeriggio di tarda primavera, da dietro l'angusta finestra di cucina, le mani appoggiate sul vetro, guarda un giardino come fosse un quadro e pensa con un tuffo al cuore a come vola il tempo, ché sono già sei anni che è venuta al mondo, sei anni che improvvisamente le paiono un'eternità, mentre sente posarsi sulle sue piccole spalle una consapevolezza della propria mortalità, e un disincanto, che da quel momento in poi non l'abbandoneranno più.
E' quello il momento in cui prende coscienza di se stessa e della sua esistenza, quello in cui tutto il fardello di eventi che ha vissuto fino a lì acquista il potere di imprimerlesi dentro e decidere del suo destino. Non ricorda di aver fatto di questi pensieri nel frangente del pericolo, della paura, della sofferenza, lì è stata indomita, incosciente, combattiva. E invece le capita lì, in quell'istante di silenziosa quiete, di sentirsi stanca, vecchia, di perdere la spensieratezza. E di cominciare a smettere di sperare qualcosa di bello per la sua vita.

A distanza di tanti, troppi anni, quella bambina è ancora dietro il vetro. Separata da me come dal giardino. Io la vedo, ma non posso raggiungerla, non potrò raggiungerla mai più. E il mio amore per lei ora è infinito, ma tardivo. E il mio dolore è immenso, come gli occhi castani di quella bambina bellissima e sola.


domenica 19 febbraio 2012

Così lontani, così vicini

Di diversità e di cose incomprensibili e assurde e di rapporti tra le persone e auguri ad Angie per il suo compleanno. <3


Some of us laugh,
Some of us cry,
Some of us lay back - watch the world go by.
Some of us fear,
Some of us hate,
Some of us won't wake up 'till it's too late!

The distance between us is a mystery to us all,
The difference between us is so small!

There are no answers, only questions
And we're all strangers to the truth
But in my mind's eye
I have found the reason why
And I carry the burden of the proof.

Why do we fight?
Why do we fall?
Why do we stand there - backs against the wall?
Why don't we change?
Why don't we try?
Why don't we turn 'round, help the other guy?

The distance between us is a mystery to us all,
The difference between us is so small!

There are no answers, only questions
And we're all strangers to the truth
But in my mind's eye
I have found the reason why
And I carry the burden of the proof.

... E ora qualcosa di completamente diverso (Versatile blogger)


Ringraziando di esser stata eletta (e ringraziando la sempre inestimabile e indispensabile Angie, che m'ha spiegato che cos'è 'sta roba), raccolgo la catena della Tazza e condivido sette informazioni su di me che il mondo ancora non conosce.
Allora, sfrondandolo di quelle riguardanti faccende banali, illegali o eccessivamente imbarazzanti (e anche di tutte quelle banali, illegali ed imbarazzanti contemporaneamente, ossia la stragrande maggioranza) e cercando di tenere a freno, per una volta, la mia tendenza allo scrivere barocco, stilo l'elenco premettendo una dichiarazione di intenti: sarò breve.

1) Mi fa schifo il formaggio. Il suo odore per me è puzza nauseabonda. Respingerei con disgusto l'uomo della mia vita, Jim Sturgess, James McAvoy, John Cusack o Jim Parson, e persino Jim Carrey (mi avvedo solo ora della circostanza che tutti gli attori che mi arrapano hanno il nome che comincia con J, e si chiamano o Giacomo o Giovanni, con netta prevalenza di Giacomi), se uno di questi a cena con me mangiasse formaggio rifiutando poi di sottoporsi ad adeguata decontaminazione a mezzo lavaggio accurato delle mani, nonché energico strofinamento dei denti con dentrifricio e spazzolino, qualora avesse intenzioni più specifiche.

2) In compenso adoro la panna. E il gelato, possibilmente di Fassi. E la scamorza alla piastra. E la mozzarella, se è fresca ed ha un lieve retrogusto di plastica, o è cotta su una pizza. Ma la panna più di tutto.

3) Quando ho le paturnie la mia Tiffany è la libreria, possibilmente multimediale, dove mi infilo con cadenza almeno bisettimanale, e questo forse non lo dovevo dire perché rientra piuttosto nel novero delle cose banali. Meno banale, forse, il fatto di aggirarmi tra le cataste di libri esposti sugli scaffali e sui tavolini con un senso di vertigine e di lieve ansia al pensiero di non indovinare a prima botta quale, in tutto quel mare di carta e copertine, sarà il tomo della mia vita. E nel dubbio comunque uscire dal negozio con una mezza dozzina di volumi (che chissà quando leggerò), tre o quattro CD e dieci DVD, per un totale di spesa di euro 330,25.

4) Sono in generale una compratrice compulsiva, anche perché non sopporto il disagio di uscire a mani vuote come sono entrata, mi sembra quasi di fare un torto, e per questo nei negozi di abbigliamento o di calzature induco all'acquisto acquirenti recalcitranti, siano essi parenti o amici a me accompagnati o estranei mai visti prima, rivaleggiando con le commesse nel descrivere le virtù di un vestito o di un paio di scarpe. Ultimamente son riuscita a farlo con mio marito in una concessionaria con una Peugeot 508 di cui stiamo attendendo la consegna.

5) Non so nuotare. Non pratico alcuno sport. Non so andare sui pattini. Ho imparato ad andare in bicicletta senza rotelle dopo i dodici anni, e ormai credo peraltro di aver disimparato.

6) Non porto pantaloni da almeno vent'anni, e il reggiseno da tutta la vita. Ho scoperto le gambe, in tutti i sensi, a diciassette anni, ed essendo rimasta ferma a quell'età continuo ad indossare solo ed esclusivamente minigonne. Abbinate a scarpe con tacchi rigorosamente bassi.

7) Spesso, dopo la prima mezz'ora di sonno, 1a) faccio il sogno ricorrente di mandar giù in gola la fede nuziale o un veleno mortale, e 2a) allora scatto, urlante e in un bagno di sudore, scompostamente a sedere sul letto, e 3a) nello scatto mi esce una spalla, l'una o l'altra indifferentemente, dal suo alloggiamento, 4a) strappandomi altre urla disumane che alla fine riescono a 5a) destare il consorte che in trance mi tira il braccio, me lo rimette a posto, 6a) si gira di là e riprende a dormire. Variante possibile: 1b) il figlio maggiorenne dalla stanza accanto sogna che lo sto soffocando (suo sogno ricorrente), si sveglia lanciando inquietanti strida di belva ferita a morte, 2b) io mi sveglio di soprassalto spaventatissima, scatto scompostamente a sedere sul letto, e da lì si ripiglia pedissequamente dal punto 3a.

E adesso la passo a chiunque dei miei contatti si voglia cimentare, con menzione speciale ai maschi sottoelencati:

La Volpe
Il Monticiano
Gap
Zio Scriba
HIV
PurtroPPo
The Aubergine

svelando così anche il non richiesto mio punto 8 ^^).


sabato 18 febbraio 2012

Love and Pride

Ieri mattina, ore 8 e 20 a.m. (in ritardo di cinque minuti sull'orario di entrata, come sempre)
Io: quante ore fai oggi?
Figlia giacobina: cinque
Io: vuoi che ti venga a prendere all'uscita?
Figlia giacobina: no
Io: sicura? Mica mi costa niente, non lavoro, lo faccio senza problemi
Figlia giacobina: ho detto no, non voglio, lascia stare

Ieri mattina, ore 11 e 30 a.m.
Figlia giacobina (via SMS): se ti va puoi venirmi a prendere
Io (via SMS): ma all'una e un quarto?

Ieri mattina, ore 0 e 39 p.m.
Figlia giacobina (via SMS): sì ma solo se ti va
Io (via SMS): ma certo che mi va! Arrivo! :*

venerdì 17 febbraio 2012

Angel-a

Riflettere. Riflettersi. Nello sguardo di una Angel-a come in uno specchio. E in un gioco di rimandi alla fine tirarsi fuori dal petto, dagli occhi, la propria immagine autentica. Scoprirsi, in ogni senso. Nella bruttura. E poi nella bellezza.
E a quel punto viene da sé, volersi bene.

Non tutti ce la fanno, purtroppo. E questo, dopotutto, è solo un film.

Peccato.

giovedì 16 febbraio 2012

An Officer and a Gentleman

Oggi - anzi, ormai ieri -, girovagando sul tubo, ho beccato Joe Cocker che canta Up where we belong, storica colonna sonora di questo sfacciatamente fichissimo film.
Al che non ho resistito e sono andata a cercarmi la scena finale.
E ora faccio outing: lo so che è un film misogino, irritante per quel doppiofondo di morale piccolo borghese che cela nemmeno tanto accuratamente. Assunto corroborato dalla solida controprova fornita dalla circostanza che piace parecchio alla mia (ex) terapeuta. Tanto dovrebbe bastare per continuare a godermelo surrettiziamente, da quella melensa romantica sentimentale che sono, evitando di rivelare questa mia debolezza al mondo. Ma ieri, con le immagini e i pensieri che mi frullavano nel cervello, non ho saputo rinunciare a esibire le mie emozioni nel gustarmelo, Richard Gere, al tempo il bassetto più fascinoso dell'universo, che offre a una estatica e golosa Debra Winger la disponibilità matrimoniale di un piccolo uomo divenuto ufficiale e scopertosi gentiluomo, con le due realtà in stretta correlazione, inscindibili l'una dall'altra.
E anch'io estatica e golosa mi guardo e riguardo 'sta scena di splendida pacchianeria. E nostalgica. Avendo constatato che nella realtà giovani ometti ce ne sono, in senso proprio e metaforico, ma che - oltre a non essere nemmeno lontanamente in possesso di un'oncia dello charme di Richard - non sono ufficiali, né gentiluomini.

martedì 14 febbraio 2012

Dedicato

Il mio amico Bruno me l'ha donata, io la dono a te, insieme all'abbraccio impalpabile in cui ti stringo.

Ciao, ragazza delle nevi. <3


Padre della notte
che voli insieme al vento
togli dal mio cuore
la rabbia ed il tormento
e fammi ritornare
agli occhi di chi ho amato
quando è poca la speranza
che resta nel mio cuore
Padre della notte
che le stelle fai brillare
tu che porti vento e sabbia
dalle onde del mare
Tu che accendi i nostri sogni
e li mandi più lontano
come barche nella notte
che da terra salutiamo

e fammi ritornare
tra le braccia di chi ho amato
quando è vana la speranza
che resta nel mio cuore
quando è poca la speranza
che resta nel mio cuore
dammi una pace limpida
come un limpido amore

Padre della notte
ovunque è il Tuo mistero
dentro ogni secondo
come in ogni giorno intero
Tu che hai dato a noi la fede
come agli uccellini il volo
Padre della terra
Padre di ogni uomo
Padre della notte
della musica e dei fiori
Padre dell’arcobaleno
dei fulmini e dei tuoni
Tu che ascolti i nostri cuori
quando soli poi restiamo
nel silenzio della notte
solo in Te noi confidiamo

e fammi ritornare
tra le braccia di chi ho amato
fammi ritrovare un giorno
l’amore che ho aspettato
quando è poca la speranza
che resta nel mio cuore
dammi una pace limpida
come un limpido amore

Padre della notte
che voli insieme al vento
togli dal mio cuore
la rabbia ed il tormento
e quando un giorno sta finendo
quando scende giù la sera
fa’ che questa mia canzone
diventi una preghiera.

lunedì 13 febbraio 2012

Les liaisons dangereuses

Mai rileggersi le chat invece di andare coscienziosamente a dormire, se non si vuol scoprire che ovviamente, sul momento, correndo a scapicollo su quella illusoria corsia preferenziale virtuale che pare collegare in contemporanea tutti gli internauti in qualsiasi parte del mondo, presi (affannosamente) dal voler trasmettere quello che si sentiva essenziale voler comunicare, per guardare la tastiera non si è osservato con attenzione lo schermo, lasciandosi così sfuggire dettagli essenziali ai fini della giusta comprensione di quel che il proprio interlocutore stava dicendo. (E a rileggersi lo scambio di battute con uno a cui, parlando di mele, vien risposto a patate, pare di assistere ad un siparietto tragicomico da commedia dell'assurdo: "Ma no, non hai capito" "Ma sì" "Ti dico di no!" "Ti dico di sì!". Roba davvero da mettersi le mani in faccia.)

Invece ora te ne accorgi alla prima occhiata. Ma comunque troppo tardi. Vorresti allora riavvolgere il film all'indietro, opporre un "ehi, aspetta un attimo!", analizzare, precisare, sviscerare, ma l'attimo è passato, il tizio non è più disponibile e tu te la devi tenere fino a quando lui non avrà ripristinato il contatto. E, anche quando potrà riavviarsi, il discorso tra voi due difetterà sempre della conseguenzialità delle reazioni, della percezione del linguaggio del corpo o delle espressioni del volto dell'altro, compromettendo, parzialmente o in modo determinante, l'elaborazione di un disegno di lui meno impreciso di quello che hai appena dovuto cancellare. E quello poi mica starà predisposto a concentrarsi di nuovo in una conversazione con te, sarà al lavoro, a casa, nella sala d'aspetto di un aeroporto, chissaddove, in mezzo a mille cavoli; la tua freccia di urgenza vitale che hic et nunc gli avrai scoccato gli giungerà, sì, improvvisa (di una tempestività istantanea eppure statica, comunque differita, se lui non sarà collegato, al momento in cui lo sarà di nuovo) ma asetticamente smorzata, normalizzata, stimolo controllabile da cui lui potrà decidere se farsi toccare o meno, e pure i tempi e i modi e la misura di questo suo riscontro; trasformatasi ormai l'emotiva scintilla iniziale, l'impulso spontaneo, in manieristica espressione letteraria, gelido cristallino oggettino distinto e compiuto, a cui letterariamente verrà risposto - se verrà risposto. E nonostante questo tu comunque lascerai scritto, non riuscirai a farne a meno, con tenacia irredimibile, il tuo ennesimo messaggio in bottiglia. Perché alla fine questo spazio cieco, questo vuoto dove tu sai che può esserci qualcuno dall'altra parte, te lo aspetti, ma non è che puoi esserne sicura, e in ogni caso però sai di star tracciando un segno che resterà impresso come graffito urbano sul ponte di un cavalcavia che prima o poi qualcuno leggerà passandoci davanti, suggestiona, seduce, induce a comportamenti disinibiti mentalmente e psichicamente, narcisisti, iperbolici, e in nuce talmente sregolati da poter divenire, in casi nemmeno tanto estremi, lesionisti e autolesionisti.

Perché in realtà, mancando il riscontro concreto della presenza dell'altro, finisci a parlare soprattutto con te stessa. Con te che conosci i tuoi punti deboli, le tue necessità compulsive, e talvolta ti abbandoni alle suggestioni del tuo pathos istrionico, lasciandoti trasportare verso una meta indefinita ma in una direzione dove chiaramente ti piaccia vagare e perlustrare; talaltra usi questa lavagna come uno specchio dove rifrangerti e rileggerti: ora mera esibizionista compiaciuta che contempla, dopo averla lustrata fino a farla così lucidamente brillare, la sua personale specificità di cui i propri eccessi verbali fanno testimonianza, ora egocentrica ossessiva che prende a trivellare i meandri della mente alla ricerca di un significato esistenziale che funga almeno da puntello di senso temporaneo, da isoletta, scoglio, su cui una naufraga della vita possa almeno per lo spazio di una mezza mattinata venire a buttare le membra grondanti esauste dall'affronto delle procelle di un mare tempestoso per ripigliare fiato ed asciugarsi, crogiolandosi sollevata e un poco deliziata al tepore del sole.
(Ah, i bei tempi andati, quando una corrispondenza era regolata e scandita prevalentemente da questioni oggettive: la levata della posta dalle cassette, gli orari dei treni, le eventuali assenze o incurie degli impiegati addetti allo smistamento e poi del postino, la loro tempestività o il loro lassismo; per non parlare di quando le lettere viaggiavano sulle diligenze).

Beffardo virtuale, che in apparenza ci connette e invece in realtà ci distacca, che ci illude confondendoci i piani, offrendoci una fittizia, miracolistica immediatezza in cambio della irreversibile cessione di un po' della nostra comune umanità.

venerdì 10 febbraio 2012

Ammonia Avenue

Dopo la splendida giornata di sole di ieri, oggi si ripiomba nell'inverno siberiano. Gelo, cielo plumbeo, pioggia che adesso, da pochi minuti, vien giù mista a visibili fiocchi di neve. Mi sono alzata dopo aver dormito troppo e male ora sono qui, svogliata, insoddisfatta di me stessa, intirizzita, impensierita dalla mia assenza di pensieri, inquieta della mia quiete inerte. E dire che ieri mi era sembrato davvero un giorno di rinascita, pieno dei segni germoglianti di fecondità di ogni genere, biologiche, naturali, spirituali. Un giorno in cui la Cri selvaggia si è destata anche lei, dandosi da fare parecchio, ma così di buonumore come in certe preziose, rare occasioni le accade, da farmi sentire quasi un privilegio averla dentro ad essermi di così tanta compagnia, a colorarmi ogni dettaglio, scartoffie scrivanie sole viali alberati linde palazzine primo novecento stanze d'ospedale vetrate finestre lussureggianti cedri del libano sottopassaggi imbottigliamenti stradali marmi statue frontoni visi figure sciarpe cappelli rami di pino marciapiedi squarci di prati podisti accaldati semafori cani al guinzaglio, di colori più vividi e intensi, come se le percezioni esterne, le sollecitazioni del tutto che ci contornava, se le pigliasse lei al posto mio, facendosene trafiggere ritta sulla cima del mondo, a braccia aperte, palme distese ed occhi chiusi per ricrearne, per lei e per me, la propria autentica immagine interiore, veicolarne attraverso una straordinaria capacità di affezione la propria verità dell'esistenza, che è sempre e solo quella: tenerezza, tenerezza, struggente, amorosa tenerezza, per lei-me stessa e per gli altri, nessuno escluso.
Ieri sera tutto questo si è smorzato, appassito, come spesso fatalmente mi accade. Lo slancio è stato frenato dall'impatto con la realtà, il volo si è interrotto, impantanato in una vischiosità di parole non in sintonia con i miei colpi d'ala. Però so che riprenderà.
Come so che, anche se oggi è quasi impossibile crederci, tornerà la primavera.
Per intanto, caro Aldo, ti comunico che già da qualche giorno, indizio fausto e foriero di salda speranza, sorridente e vitale e bella come e più di prima, ben imbacuccata e calzata di un cappellino di lana bianco a disegni blu (che mi son parsi fiocchi di neve), all'incrocio tra via Conte Verde e Viale Manzoni, è tornata la ragazza rom.


Is there no sign of light as we stand in the darkness?
Watching the sun arise
Is there no sign of life as we gaze at the waters?
Into the strangers eyes

And who are we to criticize or scorn the things that they do?
For we shall seek and we shall find Ammonia Avenue

If we call for the proof and we question the answers
Only the doubt will grow
Are we blind to the truth or a sign to believe in?
Only the wise will know

And word by word they handed down the light that shines today
And those who came at first to scoff, remained behind to pray
Yes those who came at first to scoff, remained behind to pray

When you can't hear the rhyme and you can't see the reason
Why should the hope remain?
For a man will be tired and his soul will grow weary
Living his life in vain

And who are we to justify the right in all we do?
Until we seek until we find Ammonia Avenue

Through all the doubt somehow they knew
And stone by stone they built it high
Until the sun broke through
A ray of hope, a shining light Ammonia Avenue

martedì 7 febbraio 2012

Abbracci gratis

Claudio ha letto il mio post precedente, si è fatto un sacco di risate e mi ha tirato fuori un po' di video. Sapendo che mi avrebbe fatto piangere.

L'espressione Free Hugs Campaign, o semplicemente Free Hugs (in italiano abbracci gratis) si riferisce a un'iniziativa sociale nata a Sydney, in Australia, ed in seguito diffusasi in molte altre città del mondo.
Vi partecipano persone comuni che offrono, appunto, abbracci gratis (free hugs) ai passanti, in luoghi pubblici come parchi e grandi vie pedonali.
L'organizzatore originale dell'iniziativa ha affermato che lo scopo degli "abbracci gratis" è semplicemente quello di offrire un atto casuale di gentilezza disinteressata.

Vedi, sono un'attivista di Free Hugs Campaign e non lo sapevo.

Finisco ora di asciugarmi le lacrime su questa incredibile, meravigliosa cosa di Sondrio.

Aspettami, Aldo, che arrivo presto!
(E se qualcuno non ama gli abbracci, beh, peggio per lui, non sa cosa si perde.)





All I ever wanted, all I ever needed is here in my arms

Varco la soglia della stanza (di malumore e lievemente angosciata, as usual) e inquadro Claudio di spalle, il suo ciuffo sparato che spunta oltre la rotondità della nuca, chino sulla mia scrivania ad organizzare e collazionare una pila di scartoffie. Non ci penso nemmeno un secondo, mi viene di abbrancarlo da dietro mentre gli grido il mio "buongiorno!" e lui ride. "Che ti passa per la testa, stamattina, Cri? Che hai combinato nel week end?" indaga divertito, con aria d'intesa.
Rido anch'io, subito sollevata. Poi lui raccoglie le cartuccelle e va a sedersi al suo posto. E allora io faccio quattro salti e vado a chinarmi su di lui per buttargli le braccia al collo.


Dico io, che bisogno hanno gli esseri umani delle parole, quando un abbraccio dice tutto?

domenica 5 febbraio 2012

Another day

[28/01/2011 00:31:31] sai, il vero coraggio, forse, è decidere di "scendere"
e passare da un piano di idealizzazione ad un piano di realtà
che è quello che non riesce proprio più a me
vivere, abbandonando il dubbio, che invece è essenziale
abbandonando le alte aspirazioni
perché arriva un punto in cui si scopre con dolore
che le due cose non si potranno mai abbinare
pensare è "alto"
vivere è "basso"
e non c'è niente da fare
c'è un'angoscia di fondo, un'insoddisfazione, una mortificazione
che non mi abbandona mai
e che nel contempo
è come se mi intenerisse il cuore
e mi rendesse viva, e calda


[04/02/2012 14:19:47] però insomma bisogna sapersi dare una prospettiva
cioè
la nostra vita è insignificante
però cribbio siamo qui
cerchiamo di godere di ciò che abbiamo
per noi le cose e le persone possono essere importanti
in un senso relativo
certo è un equilibrio difficile riuscire a sentire l'inutilità nell'assoluto e a vivere intensamente nel relativo
la nostra vita è insignificante in senso assoluto, ma per noi deve essere la cosa più significativa del mondo
sì cri
sono d'accordo perfettamente con la tua frase
ma non è un modo facile di vivere
e non è che tutti possano vivere così
e io con la tua: vivere intensamente nel relativo :)
:)
mi viene di farci un post :D
yeah
eh fallooooooooo
:D

sabato 4 febbraio 2012

Cos'è?

Cos'è? Cos'è?, Non so che cosa sia
Cos'è?, Che strana bizzarria
Cos'è,? E' roba di Natale
Cos'è?, Mi sembra innaturale...


(Ah, se la neve di Roma fosse così candida...)

Victims

Che furore. Il pastore sardo non dice alla polizia il nome del bandito che gli ha ucciso il fratello, la vecchietta siciliana non dice il nome del mafioso, che pur ben conosce, che ha ucciso il figlio della sua più cara amica, e le puttane non dicono il nome dell'abietto individuo che le riduce nella loro tragica schiavitù. Continuassero, continuassero pure con quei loro "punti d'onore". Già da molto tempo pensava che qualche volta bisognava punire non solo i colpevoli, ma anche le loro vittime che per insensibilità morale si lasciavano torturare.

giovedì 2 febbraio 2012

Il fiore

Che a questo fatto dolce-atroce, il quale non riesce a disgustarci di un dio primaverile come Apolline il Chiaro, assistessero i leopardiani Eros e Tànatos, è di solare evidenza.

(Parlano Eros e Tànatos).

EROS Te l'aspettavi questo fatto, Tànatos?
TANATOS Tutto mi aspetto, da un Olimpico. Ma che finisse in questo modo, no.
EROS Per fortuna i mortali la chiameranno una disgrazia.
TANATOS Non è la prima, e non sarà l'ultima volta.
EROS E intanto Iacinto è morto. Le sorelle già lo piangono. L'inutile fiore spruzzato del suo sangue, costella ormai tutte le valli d'Europa. E' primavera, Tànatos, e il ragazzo non la vedrà.
TANATOS Dov'è passato un immortale, sempre spuntano di questi fiori. Ma le altre volte, almeno c'era una fuga, un pretesto, un'offesa. Così accadde di Dafne, di Elino, di Atteone. Iacinto invece non fu che un ragazzo. Visse i suoi giorni venerando il suo signore. Giocò con lui come gioca il fanciullo. Era scosso e stupito. Tu, Eros, lo sai.
EROS Già i mortali si dicono che fu una disgrazia. Nessuno pensa che il Radioso non è uso fallire i suoi colpi.
TANATOS Ho assistito soltanto al sorriso aggrottato con cui seguì il volo del disco e lo vide cadere. Lo lanciò in alto nel senso del sole, e Iacinto levò gli occhi e le mani, e l'attese abbagliato. Gli piombò sulla fronte. perché questo, Eros? Tu certo lo sai.
EROS Che devo dirti, Tànatos? Io non possono intenerirmi su un capriccio. E lo sai anche tu - quando un dio avvicina un mortale, segue sempre una cosa crudele. Tu stesso hai parlato di Dafne e Atteone.
TANATOS Che fu dunque, stavolta?
EROS Te l'ho detto, un capriccio. Il Radioso ha voluto giocare. E' disceso tra gli uomini e ha visto Iacinto. Per sei giorni è vissuto in Amicle, sei giorni che a Iacinto cambiarono il cuore e rinnovarono la terra. Poi quando al signore venne voglia di andarsene, Iacinto lo guardava smarrito. Allora il disco gli piombò tra gli occhi....
TANATOS Chi sa... il Radioso non voleva che piangesse.
EROS No. Che cosa sia piangere il Radioso non sa. Lo sappiamo noialtri, dèi e demoni bambini, ch'eravamo già in vita quando l'Olimpo era soltanto un monte brullo. Abbiamo visto molte cose, abbiamo visto piangere anche gli alberi e le pietre. Il signore è diverso. Per lui sei giorni o un'esistenza non fa nulla, Nessuno seppe tutto ciò come Iacinto.
TANATOS Credi davvero che Iacinto abbia capito queste cose? Che il signore sia stato per lui altro che un modello, un compagno maggiore, un fratello fidato e venerato? Io l'ho veduto solamente quando tese le mani alla gara - non aveva sulla fronte che fiducia e stupore. Iacinto ignorava chi fosse il Radioso.
EROS Tutto può darsi, Tànatos. Può anche darsi che il ragazzo non sapesse di Elino e di Dafne. Dove finisca lo sgomento e incominci la fede, è difficile dire. Ma certo trascorse sei giorni di ansiosa passione.
TANATOS Secondo te, che cosa accadde nel suo cuore?
EROS Quel che accade a ogni giovane. Ma stavolta l'oggetto dei pensieri e degli atti per un ragazzo fu eccessivo. Nella palestra, nelle stanze, lungo le acque dell'Eurota, parlava con l'ospite, s'accompagnava a lui, lo ascoltava. Ascoltava le storie di Delo e di Delfi, il Tifone, la Tessaglia, il paese degli Iperborei. Il dio parlava sorridendo tranquillo, come fa il viandante che credevamo morto e ritorna più esperto. Quel che è certo, il signore non disse mai del suo Olimpo, dei compagni immortali, delle cose divine. Parlò di sé, delle Càriti, come si parla di una vita familiare - meravigliosa e familiare. Qualche volta ascoltarono insieme un poeta girovago, ospitato per la notte.
TANATOS Nulla di brutto in tutto questo.
EROS Nulla di brutto, e anzi parole di conforto. Iacinto imparò che il signore di Delo con quegli occhi indicibili e quella pacata parola aveva visto e trattato molte cose nel mondo che potevano anche a lui toccare un giorno. L'ospite discorreva anche di lui, della sua sorte. La vita spicciola di Amicle gli era chiara e familiare. Faceva progetti. Trattava Iacinto come un eguale e coetaneo, e i nomi di Aglaia, di Eurinòme, di Auxò - donne lontane e sorridenti, donne giovani, vissute con l'ospite in misteriosa intimità - venivano detti con noncuranza tranquilla, con un gusto indolente che a Iacinto faceva rabbrividire il cuore. Questo lo stato del ragazzo. Davanti al signore ogni cosa era agevole, chiara. A Iacinto pareva di potere ogni cosa.
TANATOS Ho conosciuto altri mortali. E più esperti, più saggi, più forti che Iacinto. Tutto distrusse questa smania di potere ogni cosa.
EROS Mio caro, in Iacinto non fu che speranza, una trepida speranza di somigliarsi all'ospite. Né il Radioso raccolse l'entusiasmo che leggeva in quegli occhi - gli bastò suscitarlo-, lui scorgeva già allora negli occhi e nei riccioli il bel fiore chiazzato ch'era la sorte di Iacinto. Non pensò né a parole né a lacrime. Era venuto per vedere un fiore. Questo fiore doveva esser degno di lui - meraviglioso e familiare, come il ricordo delle Càriti. E con calma indolenza creò questo fiore.
TANATOS Siamo cose feroci, noialtri immortali. Io mi chiedo fin dove gli Olimpici faranno il loro destino. Tutto osare può darsi distrugga anche loro.
EROS Chi può dirlo? Dai tempi dei caos non si è visto che sangue. Sangue d'uomini, di mostri e di dèi. Si comincia e si muore nel sangue. Tu come credi di esser nato?
TANATOS Che per nascere occorra morire, lo sanno anche gli uomini. Loro durano in un mondo che passa. Non esistono: sono. Ogni loro capriccio è una legge fatale. Per esprimere un fiore distruggono un uomo.
EROS Sì, Tànatos. Ma non vogliamo tener conto dei ricchi pensieri che Iacinto incontrò? Quell'ansiosa speranza che fu il suo morire fu pure il suo nascere. Era un giovane inconscio, un poco assorto, annebbiato d'infanzia, il figliolo d'Amicle, re modesto di terra modesta - che cosa mai sarebbe stato senza l'ospite di Delo?
TANATOS Un uomo tra gli uomini, Eros.
EROS Lo so. E so pure che alla sorte non si sfugge. Ma non son uso intenerirmi su un capriccio.Iacinto ha vissuto sei giorni nell'ombra di una luce. Non gli mancò, della gioia perfetta, nemmeno la fine rapida e amara. Quella che Olimpici e immortali non conoscono. Che altro vorresti, Tànatos, per lui?
TANATOS Che il Radioso lo piangesse come noi.
EROS Tu vuoi troppo, Tànatos.

Intermezzo

Al lavoro con un'infezione addosso, in depressione ed immunodepressione, fiaccata nel fisico e nell'anima anche da una notte agitata da tristi e inquieti sogni di solitudine e abbandono la cui traccia resta a bruciarmi dentro insieme alla febbre, scollegandomi da cose e persone che mi sollecitano ad un interesse per le minuzie quotidiane che oggi mi giunge solo come un insopportabile brusio di sottofondo che vorrei ma non posso scacciare, vado sul blog del Monticiano e ci trovo il Preludio della Cavalleria Rusticana.
La Cavalleria Rusticana! Trastullo della mia infanzia e giovinezza, veicolo di sublimi emozioni, uno dei molti che i miei sventati aguzzini mi prospettarono, non intenzionalmente, a surroga delle cure e tutele negate alla loro creatura.
Io non ho avuto amore nella mia vita, però ho avuto accesso alla musica. E lo ritengo comunque un immenso privilegio.


(Questa sapevo anche suonarla)