mercoledì 8 gennaio 2014

Philomena

Pensava: Di tutte le frasi del passato le più dolorose sono quelle scritte nella speranza di farsi amare.

15 commenti:

  1. e quali altre frasi si scrivono se non per farsi amare?

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  2. Perché dolorose? Profondamente appassionate!

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  3. Non tutte per mia fortuna, però qualcuna potrebbe rientrare tra quelle. Si, qualcuna me la ricordo.

    Ciao Cri e bentrovata anche a te. Durante una recente tombolata serale tra amici, mi hanno raccontato di un bel film uscito di recente nelle sale e mi pare di ricordare che il titolo fosse proprio un nome di donna come Philomena. Sbaglio? Ora vado a cercare in rete e, se ho toppato, torno a smentirmi prima che lo fai tu!!!

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  4. No, no... ma quale toppato! E' il titolo di un film! Un bel film, appunto! Racconta!!!

    Ciao e buona serata a te.

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  5. Lo stesso ho pensato io quando ho letto "Philomena".
    Per fortuna Carlo me ne da la conferma, avevo il timore di prendere un abbaglio. Vedrò questo film al più presto, molti ne parlano bene.

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  6. Una mia amica l'ha visto e ne ha parlato come di un film che vale la pena di andare al cinema a vederlo.

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  7. Io ci vado domani o dopodomani a vedere Philomena. Mi hanno detto - un amico del cui giudizio mi fido e di cui fra l'altro pubblico a breve la recensione - che è assolutamente da vedere.

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  8. Film o non film, se quelle frasi hanno colpito nel segno non sono dolorose, anzi.

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  9. La speranza di farsi amare. Che cosa orribile. Come ti capisco. L'elemosinare briciole a un banchetto che non ti appartiene. E fare sempre le solite cazzate, con gli uomini, coi figli, con tutti.
    Finché un giorno ti svegli e ti renti conto che, semplicemente, non va più fatto.
    E respiri a pieni polmoni, per la prima volta.
    Ti abbraccio, forte.

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  10. Finalmente riesco ad aprire e a prender parte ai vostri amatissimi conciliaboli!
    Innanzitutto: grazie di esser passati. La vostra presenza arricchisce la mia vita, virtuale e reale. Anche se voi lo sapete già sono felice di ripetervelo.
    Passiamo ai commenti: farò un discorso collettivo, perché tutto è collegato, in questo post più che in molti altri.
    Cominciamo dal titolo: Philomena. Che, come ha azzeccato Carlo, allude al film nelle sale in questi giorni. Film che io sono andata a vedere perché adoratrice incondizionata di Judi Dench e perché memore della precedente fatica del regista Frears, quel The Queen che mi ha fortemente coinvolta e commossa.
    Philomena, film da cui mi aspettavo, in tutta sincerità, una maggiore profondità e intensità, e che invece, forse nel tentativo di evitare il rischio di scivolare nel melodramma e nella costante ricerca del giusto pudore nel maneggiare una materia così ancora viva e dolorosa in una storia che è un incredibile susseguirsi di colpi di scena ora drammatici, ora bizzarri, ora assurdi, che arrivano a chiudere il cerchio in modo talmente mirabile da risultare inverosimile (della serie: quando la realtà supera ogni fantasia), mantiene forse una leggerezza un po' troppo sfumata, appena troppo sottotono: un andamento "a sottrazione", fatto di dettagli sempre appena suggeriti, con dialoghi scarni e un understatement mai travalicato, poteva andar bene per una storia che si occupava di sfiorare la vita privata della regina d'Inghilterra, ma forse non per quella delle vicissitudini di una ragazza del popolo irlandese, nella quale forse era più importante affondare a piene mani per trarne il colore e il calore che le avrebbe conferito verismo, e agevolato l'empatia e il coinvolgimento dello spettatore. Sia come sia, in ogni modo è un film riuscito, dove l'improbabile coppia dei due protagonisti funziona assai miracolosamente, e non solo per la preziosa garanzia della presenza di Judi, fulgida stella sempre e ovunque. Un film che andava visto, e che ho visto contenta di averlo fatto. Ma basta digressioni, veniamo al punto: perché ho tirato in ballo Philomena? Perché, come sempre per i titoli dei post io mi affido a titoli di libri, o di film: e Philomena, oltre ad essere il titolo del film più visto in questo periodo, è anche il nome di una delle novellatrici del Boccaccio nel Decameron, e in greco, essendo il participio passato del verbo φιλέω, significa semplicemente "amata". E poiché di una che vuol essere "amata" parla la frase estrapolata dal libro della Oates oggetto del mio post, non ci ho pensato su due volte per appiccicarlo in cima al post medesimo :)))

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  11. Sul contenuto del post medesimo: ho riflettuto molto sulle vostre considerazioni. "Quali altre frasi si scrivono se non per farsi amare?" chiede Antonio, e non è una domanda peregrina. Non scrivi anche tu, Cri, anche qua dentro, per farti amare? Per suscitare simpatia, interesse, affetto? Non si scrive sempre per farsi amare, o comunque per ottenere qualcosa che giovi al nostro benessere? Talvolta si scrive anche per malanimo, per colpire l'altro, farlo soffrire. Ebbene, non è anche quello, in ultima analisi, un tentativo di mantenere un legame, di restare indimenticabili nel cuore dell'altro, giacché non c'è niente di più simile all'amore che l'odio, avendo ambedue la stessa capacità di tenere legate due persone?
    Ambra dice: "perché dolorose? Profondamente appassionate!"; e pensando alle ideali corrispondenze amorose che nel corso della storia del mondo hanno intrattenuto milioni di persone, che hanno costituito un nobile filone letterario, che nell'immaginario collettivo emozionano e inteneriscono, che grondano sentimento, passione, nostalgia del distacco, impazienza, brama, desiderio, non posso che essere d'accordo con lei. Ma la Oates parla di un altro tipo di frasi, che Carlo ha intuito e che Martina ha centrato con dolorosa precisione.

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  12. Joyce Carol Oates è una romanziera che ho scoperto solo recentemente. Barocca, ridondante, esagitata, incredibilmente brava a trarre da situazioni da soap opera carne e sangue vivo, ribollente. Le sue pagine per me sono bordate, ceffoni, scrollate continue. E' un filo troppo melodrammatica, ma per me, come è intuibile, è dunque perfetta come un guanto della giusta misura. Un paio di titoli, soprattutto, mi hanno catturata: Sorella, mio unico amore, e questo L'età di mezzo, nel quale mi sto addentrando a fatica e a piccole dosi, come sempre quando affronto suoi testi ingombranti, sfacciati e pantagruelici. L'età di mezzo narra dell'improvvisa morte di un uomo misterioso e carismatico che, si scopre poi, in un modo o nell'altro, ha toccato nel profondo le vite di tutti gli abitanti di una comunità di ricchi in un sobborgo dorato di New York in riva all'Hudson. Una di queste persone, la prima che il libro ci presenta come la più intima e vicina a quest'uomo tanto concreto e carnale e bello nella sua genuina bruttezza (in un mondo di eternamente giovani plastificati) quanto sfuggente ed enigmatico, è la libraia della cittadina, una trentottenne devastata dalla morte di quell'uomo che ha amato più di se stessa, che era il suo faro, la sua fonte di energia psichica e anche di sostentamento economico, invischiata con lui in un rapporto dove predominava l'indistinto, il non detto, la negazione dell'esplicito "ti amo" e anche dei gesti naturali che sarebbero succeduti ad una dichiarazione del genere, e che, da esecutrice testamentaria che deve mettere mano nelle sue cose più private, scopre all'improvviso in quel modo di essere stata una tra le tante e i tanti beneficati. Apre un armadio, cade una scatola, si spargono a terra fasci di lettere, fotografie, cartoline, sue e di molte altre donne della contea, sposate e non, tutte piene di frasi appassionate, di amore inconfessato ma palese in ogni parola, di ammirazione, di desiderio di esclusività. E lei, che non era mai stata sicura di essere importante per lui quanto lui lo era per lei, nonostante la sua disponibilità e la bontà dimostratale, subisce uno choc che le spezza il cuore per la seconda volta. Tra le miriadi di carte, mischiata in mezzo a tutto il resto, le salta agli occhi una sua cartolina, che gli aveva spedito qualche tempo prima da una vacanza, con su scritto solo: Baci, Marina. Quella laconicità che celava il suo sentimento, quella sua triste dignità, quel tenero ritegno di cui lei conosce bene l'intima sofferenza, comparati con le mille e mille frasi di altre donne simili a lei che come lei avevano tentato, e forse creduto, di essere speciali nel cuore di quell'uomo, la spingono a questa amara riflessione: "Di tutte le frasi del passato le più dolorose sono quelle scritte nella speranza di farsi amare". E poiché è un sentire che conosco bene, anche se non mi appartiene più, grazie al cielo, mi ha colpita, ma non ferita, come chi guarda un'esplosione da una distanza di sicurezza. E, ovviamente, da questa spiegazione si desume anche la risposta per l'acuta osservazione di Alberto: "se quelle frasi hanno colpito nel segno non sono dolorose, anzi". Ecco, quelle frasi non hanno colpito nel segno :)))

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  13. Scusate la logorrea. Lascio qui i saluti e il mio affetto: Antonio, Ambra, Carlo, Aldo, Nou, Alberto, Marina, un abbraccio forte a ciascuno di voi :)

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