sabato 25 gennaio 2014

Una stanza tutta per sé

Oggi è l'anniversario della nascita di Virginia Woolf.

Me lo ha ricordato Carlo, il mio amico regista e letterato, postando forsennati omaggi al suo genio su FaceBook.
(Frattanto, mentre scrivo, sta andando in scena la prima del suo spettacolo sulla memoria della Shoah, I sommersi, che io vedrò in replica domani pomeriggio a Montepulciano: scrivo e penso a lui e alla compagnia, e lo sguardo mi si allarga alle belle vie medioevali del centro città, e poi al panorama fatato della Valdichiana, e non vedo l'ora che sia domani, che io parta per arrivare lì, e per ora incrocio le dita e mentalmente gli grido "merdamerdamerda!")
Ho letto poco e niente, colpevolmente, di Virginia Woolf, nata Stephen, una delle colonne portanti del Novecento, e devo recuperare. Impossibile prescindere dall'apporto di questa scrittrice ed attivista politica intorno alla quale ha ruotato il circolo di tutte le più grandi figure della scena sociale, culturale e politica del suo tempo, e che ha segnato per sempre un confine tra un "prima" e un "dopo" nella concezione della donna, sia col suo impegno che con la sua stessa vita. Fragile, sofferente, scissa interiormente da una malattia psichica che oggi si ipotizza fosse una sindrome bipolare ma per cui all'epoca non si potevano avere certezze di diagnosi né di cure, e allo stesso tempo volitiva e determinata a morire tanto quanto a vivere la vita nella massima intensità; amatissima dall'uomo che la sposò e ne condivise il destino cercando di carpirla, forse più che capirla, e trattenerla accanto a lui, nel suo orizzonte e nel mondo, vanamente, disperatamente, sino alla fine, quando l'ultimo e decisivo tentativo di suicidio di lei sancì l'irrevocabile arresto di quella corsa ad inseguimento, e al contempo impegnata in almeno tre profonde relazioni sentimentali con altrettante donne che influenzarono significativamente la sua vita e le sue opere, ella ha impresso su se stessa prima ancora che sulle pagine dei suoi libri l'irruzione incontenibile della modernità nella narrazione, e anche nella percezione, che l'uomo scrittore - e più precisamente, la donna, e la donna scrittrice e poetessa - fa e ha di se stesso/a e di ciò che lo circonda, e della relazione tra lui/lei e questo.


Qualche giorno fa, per coincidenza, ho visto The hours: il film, da cui è tratto lo spezzone che ho appuntato qua sopra, che intreccia momenti salienti e dolorosi dell'esistenza della Woolf con quelli di altre due donne, apparentemente senza un filo conduttore meno labile del pretesto di un libro della prima, Mistress Dalloway, che viene riferito alle altre due - la prima lo legge, la seconda viene apostrofata affettuosamente col nome della protagonista - in due diverse epoche. Solo nello scioglimento finale tutte le reti sotterranee verranno alla luce, in una maniera che mozza il fiato.

Io ho pianto tanto guardando questo film di rara intensità e bellezza, che parla di Virginia e attraverso Virginia, e attraverso Virginia parla di me, di noi, di tutte; come fossi spezzata a metà, per lunghi tratti, fino al finale, sommersa in egual modo da malessere e profonda emozione, invischiata nella melassa di una storia torbida, trasgressiva delle regole dell'onore e del decoro e della sobrietà e dell'obbligo che abbiamo di essere felici calzando pedissequamente i panni di cui ci rivestono l'ambiente sociale e familiare, che scandaglia nel fondo dell'anima delle donne emergendone col trofeo di intollerabili intimi segreti, ma lo fa con una semplicità e un'essenzialità miracolose, lasciandoti rimescolata a lungo, e infine arricchita. Perché, in qualche modo, io lo so come si sente Virginia, credo di saperlo. L'ho sentito anch'io, per un periodo della mia vita: per fortuna non lo sento più, lo contemplo da lontano come chi è fuggito da un incendio e si volta indietro a guardarlo, ormai al sicuro, ma rievocando senza sforzo l'impressione, il calore, il bruciore in gola, consapevole che basterebbe tornare sui propri passi per farsene riafferrare. Così credo di sapere come si sente Laura Brown, che tra la vita e la morte sceglie, in un'affermazione estrema di se stessa ai limiti del disumano, e tuttavia purissima come il canto di un usignolo, la vita, la sua vita, pagandone fino in fondo il prezzo, e come si sente Clarissa Vaughn, la dolcemente smarrita mistress Dalloway dei nostri giorni, costretta suo malgrado in un agone di lotta tra la genuinità del suo sentimento e la confusa complessità che sente turbinarle dentro, e piena di nostalgia per una felicità mai vissuta. Di sceneggiatura perfetta, implacabile, densa di pathos e di umana empatia, recitato in stato di grazia da tutti gli attori coinvolti, The hours è una thing of beauty che mi ha fatto tanto male e tanto bene. Inscindibili, nel film, così come nella vita, come afferma anche Virginia nel suo Una stanza tutta per sé:  "La bellezza del mondo ha due tagli, uno di gioia, l'altro d'angoscia, e taglia in due il cuore."


Perché "non si può trovare pace sottraendosi alla vita."

8 commenti:

  1. The Hours, un bel film, una perla all'inizio del film: la lettera al marito di Virginia prima di suicidarsi, due grandi attrici la Kidman e la Streep. Ma bene anche gli altri protagonisti.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono completamente d'accordo. La consapevolezza che le parole che aleggiano nell'aria all'inizio e alla fine del film sono effettivamente quelle che Virginia scrisse al marito mi fa venire ancora, se ci ripenso, la pelle d'oca. :)

      Elimina
  2. ho amato i suoi libri e in effetti quel film è bellissimo

    RispondiElimina
  3. Lo sai che questo è uno dei miei film preferiti, vero? Lo sai che lei è una delle mie scrittrici preferite, vero?
    Ti regalo uno dei passaggi più dolorosamente splendidi del film:

    http://www.youtube.com/watch?v=kvHcswMy05A

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ti giuro che l'avevo immaginato, Marti. E ti giuro che questo è anche per me uno dei passaggi più dolorosamente splendidi. Anzi, per me in questo passaggio si giunge all'acme, al punto più alto e sublime della pellicola. Non l'ho condiviso solo perché estrapolato dal contesto avevo paura perdesse la sua forza solenne, terribile, quieta, dirompente. Sono felice di questa nostra sintonia. :)

      Elimina
  4. Virginia Woolf l'ho conosciuta da adolescente smarrita, in cerca di una figura femminile da amare e ammirare. E ho continuato a ritrovarla e a sentirla da adulta. E' splendido il tuo omaggio, come sempre ricco di riflessioni e bellezza, ad una donna che ci ha lasciato in eredità se stessa, con il suo pensiero e la sua grandezza.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Un'ulteriore ottima ragione, per me, di approfondire la conoscenza e la vicinanza, per ora più intuita che vissuta, con questa nostra magnifica sorella :)

      Elimina