mercoledì 6 luglio 2011

Web killed the video star

Sono una diciassettenne degli anni sessanta del secolo scorso, venuta al mondo nell'anno di punta del decennio del baby boom, assieme alla minigonna, al linguaggio Basic, ai bombardamenti a tappeto in Vietnam, al golpe Borghese e alla prima radio pirata inglese.
Un mondo antico, lontano anni luce.
Un mondo di drammaticità consolatoria, scisso nettamente tra opposte fazioni, polarizzato dalla Guerra Fredda e dalle fedi nelle ideologie.
Pervaso dall'euforico ottimismo per l'altro boom, quello economico. 
Culturalmente arretrato, voglioso di modernità e progresso, e proiettato alla conquista di nuove frontiere, nello spazio come nei diritti civili, con il medesimo ambizioso, fiducioso, ostinato entusiasmo.
Influenzato dalla dottrina della Chiesa - soprattutto tra gli ampi strati di popolazione contadina divenuta operaia migrando in città, il cui attaccamento alle tradizioni formava con quello alla religione un tutto unico percepito imprescindibile alla conservazione della propria identità -, ma la Chiesa del Concilio Vaticano II, di Giovanni XXIII e di Paolo VI. La Chiesa con la faccia buona di padre Mariano e l'audace austerità evangelica di Don Milani.


Segnato dall'imprimatur della televisione di stato.
Una TV di spartano eppure scintillante bianco e nero, a due soli canali e senza telecomando, esclusivamente pomeridiana e serale, fatta di pause e tempi lenti, 
sigle lunghe dei telegiornali, 
tediose tribune politiche, 
varietà del sabato sera lustri di paillettes e professionalità di magnifici presentatori e ballerine in calze scure, 
telefilm polizieschi, 
grandi sceneggiati, 
spettacoli teatrali,
cartoni animati di Pippo Paperino e Topolino e Looney Tunes e Merrie Melodies e Popeye, 
e della mitologica TV dei ragazzi, di racconti a episodi - tra tutti, per me, Pippi Calzelunghe, Vacanze all'isola dei gabbiani, Il tesoro del castello senza nome - a cui affezionarsi al punto di separarsene con struggimento (guardando, in quell'epoca primordiale senza registratori né DVD,  l'ultima puntata col lutto nel cuore per un distacco di cui non si sapeva la durata, aggrappati alla sola speranza, incerta e nebulosa, di una messa in onda delle repliche)
ma anche dei documentari di Immagini dal mondo,
di Carosello, 
e persino del monoscopio, dell'Intervallo con le pecore, dell'Ora esatta, del colonnello Bernacca con le sue Previsioni del tempo, 
e della cornice che era la sigla d'apertura e chiusura dei programmi, con le magnifiche note del Guglielmo Tell in sottofondo, e quelle fantasmagoriche immagini di onde che solcavano le nuvole.


Quel mio mondo antico è finito. S'è frantumato sotto le spinte di simultanei mutamenti epocali - crollo delle ideologie, riassetto del nuovo ordine mondiale, aggressiva e inarrestabile espansione dei colossi asiatici, migrazioni di milioni di persone dai paesi più poveri della terra verso quelli più ricchi, globalizzazione - i cui processi il consesso civile si è andato scoprendo impotente a controllare.


Analogamente ai cambiamenti storici, ecco i cambiamenti televisivi: già nel successivo decennio di piombo, di pari passo con lo sgretolamento nei primi bagni di sangue delle stragi di Stato e del terrorismo nero e rosso dei residui dell'innocenza post bellica, prendeva piede il pionierismo anarcoide ed un po' sciatto delle tv locali.


Poi, negli anni ottanta, il ciclone. All'epoca del CAF, il nostro edonismo reaganiano in sedicesimo, è sbarcata sugli schermi, in tutta la sua potenza di fuoco, la televisione commerciale. La quale è  riuscita ad operare un regresso antropologico dei suoi fruitori per mezzo di un coacervo di vizi ed abusi tutti riconducibili alla mera sostituzione del termine in un complemento di specificazione: 
da TV di servizio (per tutti) a TV di profitto (per uno).


Ancorata al mio mondo perduto, io a questo ciclone ho resistito. Non così molti altri. Forse per paura, smarrimento, per lo smantellamento delle certezze nei valori del passato, gli anticorpi mentali di parecchi miei coetanei, ma soprattutto di quelli nati nel decennio successivo al mio,  esposti per meno tempo ai benefici influssi della "buona" TV, non sono stati in grado di scongiurare il dilagare dell'epidemia di degenerazione dei neuroni. 
Così, allettati da una visione affrancata dall'analisi, dalla riflessione, dall'elaborazione dei contenuti offerta da programmi sempre più scadenti e raffazzonati, atti a suscitare pianti e risate senza logica né pudore né rispetto, e fomentare i più bassi istinti di rabbia o arrapamento al di là di ogni limite di decenza, civiltà ed educazione, i contagiati hanno finito per accusare un danno cerebrale e psichico irrimediabile. 
E' su queste basi che, anno dopo anno, si è compiuto il progressivo smottamento della percezione della realtà dal piano della scomoda concretezza all'assai più comodo livello del miraggio e dell'allucinazione, fino all'inversione di rotta per cui non è stato più il mondo a fare la TV, ma la TV a fare il mondo. 
Qualsiasi avvenimento nazionale, mondiale o locale, è stato allora percepito o meno, indipendentemente dalla verità dei fatti, a seconda della rilevanza che gli è stata data in televisione. 
E' in questo quadro che il potere di una televisione con fini di lucro, e pertanto intrecciato inestricabilmente col potere economico, è diventato la spinta propulsiva del potere politico. E con la televisione a fare da mezzo di indottrinamento e condizionamento delle masse, la catastrofe democratica degli ultimi vent'anni in Italia può ben dirsi una catastrofe culturale, e prima ancora ontologica; persino, a giudicare dalle cronache di questi giorni, a livelli ancora più profondi ed inquietanti di quelli che potevamo immaginare.


Ma anche questo, come ogni altro fenomeno umano, ha avuto il suo andamento di nascita, crescita e tramonto. Come nell'apice più fulgido del Rinascimento già covavano i germi della corruzione del Manierismo, e nello splendore del pathos del Romanticismo era contenuta in nuce la depressione del Decadentismo, così pure il populismo mediatico ha allevato in seno sin dai primordi del suo trionfo la sua nemesi: gli stessi ragazzini nati sotto la sua egemonia.


Questi neonati degli anni ottanta, così alieni dalla bambina ch'io ero stata.
Sradicati, immemori delle epoche storiche pregresse azzerate dalla fine dei blocchi granitici dell'URSS e degli USA contrapposti, il primo parcellizzato in una esplosione di micro Stati, con le geografie politiche stravolte di sei mesi in sei mesi.
Deprivati degli idealismi collettivi e delle aspirazioni alle battaglie di conquista di classe o di genere, tutte combattute prima del loro avvento, e forse anche per questo spesso intimisti, ripiegati all'ascolto delle loro soggettive solitudini.
Più liberi e disinvolti nei costumi come nei movimenti, ma per questo impossibilitati alla necessaria esperienza della trasgressione, e nostalgici di una purezza ed autenticità di rapporti di cui patiscono la penuria. Indipendenti, abituati a viaggiare, capaci di vivere al di fuori del recinto protettivo dei confini nazionali, eppure in certi momenti straordinariamente fragili, incerti, bisognosi di un nido e di cure e protezione. 
Meno costretti agli obblighi religiosi, ma condizionati dalla figura titanica, ingombrante, di un papa retrogrado che tuttavia si offriva nella sua sofferenza ai loro sguardi ammirati in eventi oceanici degni di una rockstar.
Vissuti nella cattività della tv berlusconiana, prima sotto l'angusto orizzonte di Bim Bum Bam e degli stranianti cartoni animati giapponesi propinati solo perché a basso costo e pure censurati senza criterio, e poi di Amici, Uomini e Donne, Grande Fratello.
Ma anche protagonisti, al contempo, del boom delle nuove tecnologie multimediali, e dunque via via sempre più dirottati nel loro tempo e nella loro energia vitale dalla televisione al computer e alla rete. Per cui più aperti, informati, reattivi, coinvolti e costretti a formarsi opinioni e visioni delle cose da una molteplicità di stimoli indiscriminati, senza alcun filtro e alcuna censura, semplicemente impensabile per i loro coetanei di vent'anni prima. 
Destinatari oggi, da adulti, del culmine delle conseguenze della catastrofe democratica avviata alla loro nascita: l'arretramento dei diritti civili e sociali, l'egoismo e l'avidità delle generazioni precedenti, la perdita di una prospettiva di futura realizzazione della propria vita. E nonostante questo ancora tenaci e capaci di vedere coi loro occhi nuovi e sentire colle loro orecchie sensibili, e di far librare i loro spiriti sulle ali dell'immaginazione, al di là del tunnel dove si trovano prigionieri.


E' sulle spalle di questi ragazzi di venti e trent'anni, definiti da un indegno rappresentante delle istituzioni "la parte peggiore dell'Italia", che poggiano le speranze del cambiamento che si è avviato. 


Sulle spalle di queste creature arruffate e belle, generose loro malgrado. Perché, lottando per loro stessi, stanno lottando per tutti. E a noi, che abbiamo dato loro in eredità un pugno di mosche, loro stanno prospettando e mettendo in mano un futuro che hanno dovuto inventarsi dal niente e che noi da soli, indegnamente, pur avendone i mezzi, non avremmo saputo mai più guadagnarci.


Il web ha ucciso la star del video, finalmente. E se pure non si sa ancora se questo sia l'inizio di una nuova era, o solo di un tempo di minimi aggiustamenti, si sa per certo che, in ogni modo, è solo merito loro.


2 commenti:

  1. Speriamo di essere all'altezza del tuo post (anche solo un pochino...) :*

    PS: Vacanze all'isola dei gabbiani è stato uno dei miei romanzi preferiti durante le scuole medie! :)

    RispondiElimina
  2. Bella Angie! Secondo te a chi pensavo mentre scrivevo? <3

    PS: Vacanze all'isola dei gabbiani l'ho riletto poco tempo fa: non ha perso un grammo del suo incanto. (E avessi visto com'era bello il telefilm, davvero :) )

    RispondiElimina