giovedì 4 agosto 2011

Camminare insieme

"Mi vuoi accompagnare a casa?"
Lo bisbigliò quasi, con la voce di un bambino che ha paura del buio.
Misi il piede sul primo scalino e mi fermai. Gli avrei fatto attraversare la nostra casa, ma non lo avrei potuto condurre a casa sua.
"Signor Arthur, pieghi il suo braccio, qui, così: ecco, così, signore."
Infilai la mano nel cavo del suo braccio.
Lui dovette curvarsi un pochino, per poter camminare con me, ma se miss Stephanie Crawford fosse stata a guardare dalla finestra del piano di sopra, avrebbe visto Arthur Radley che mi scortava sul marciapiede come avrebbe fatto qualsiasi gentiluomo.
Giungemmo al lampione, all'angolo: quante volte Dill e io eravamo stati fermi là, abbracciando il grosso palo, osservando, aspettando, sperando? Quante volte Jem e io avevamo fatto quel percorso? Entrai nel giardino dei Radley per la seconda volta in vita mia. Boo e io salimmo gli scalini che conducevano al portico. Le sue dita trovarono la maniglia della porta; lui lasciò andare dolcemente la mia mano, aprì la porta, entrò e la richiuse. Non lo vidi mai più.
I vicini portano dei cibi quando qualcuno muore, fiori quando siamo malati e piccoli doni nelle occasioni intermedie. Boo era nostro vicino. Ci aveva regalato due figurine di sapone, un orologio rotto con la catena, un paio di monetine portafortuna, e le nostre vite. Ma i vicini ricambiano i doni. Noi, invece, non avevamo mai rimesso nel tronco dell'albero quel che vi avevamo preso: non gli avevamo regalato niente, e questo mi rendeva triste.
(...)
Atticus aveva ragione. Una volta aveva detto che non si conosce realmente un uomo se non ci si mette nei suoi panni e non ci si va a spasso.

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