sabato 31 agosto 2013

Feria d'agosto

E finalmente finisce agosto. Il mese della feria per eccellenza. 

Un mese che si dovrebbe poter cancellare dal calendario.
Le feste natalizie inducono depressione e in casi particolari pensieri suicidi, ma agosto uccide proprio. E porta alla paranoia i superstiti.
Ci si arriva sfibrati da almeno un mese pregresso di giornate infinite di caldo torrido (quello sì, vocato con ogni evidenza allo svago e al riposo e a rinfrescanti villeggiature in alta quota o in ventilate località di mare, e invece per i più passato a dannarsi in città lavorando, ora esponendosi negli uffici ai deleteri gelidi getti di impianti di aria condizionata, ora boccheggiando nelle pause pranzo nei quaranta gradi all'ombra che squagliano l'asfalto sotto i piedi, e così via da capo, in ripetuti cicli di docce scozzesi assai poco salutari), ciascuna composta da mille ore di luce e spezzata da una notte troppo breve per arrecare refrigerio, e così snervati e prostrati si è costretti ad affrontare l'apocalittico evento dell'esodo di massa.
Se si vive in città è impossibile andare contro corrente: uno dopo l'altro, ogni ingranaggio dell'economia si blocca: i commercianti, e i grossisti da cui si riforniscono, e le industrie che producono i beni che i grossisti trattano, e i professionisti - commercialisti, avvocati, notai - che curano gli interessi di tutti costoro. E allora la gente s'è abituata a migrare. E allora quelli hanno l'alibi per continuare a chiudere. E' una sorta di serpente orfico, quello che si morde la coda. Chiudono gran parte degli ambulatori specialistici e di analisi, chiudono i cinema, i teatri han chiuso da un pezzo, anche nella pubblica amministrazione si lavora a ranghi ridotti, e solo per l'ordinario, o per le emergenze. Ogni affare, ogni progetto, tutto è rimandato a settembre.
Un mese morto, letteralmente.
Ora si dice che si assista ad una timida inversione di tendenza. Grazie ai grandi supermercati, ai centri commerciali e ai negozi degli stranieri non è del tutto impossibile la sopravvivenza dei molti anziani che restano in città, e anche delle famiglie che, morse dalla crisi, hanno rinunciato anche loro a partire. Posso testimoniare che in certa misura è vero. Sono stata in città fino al quattordici a sera, ripassandoci il diciassette e il diciotto, e ho sempre visto, nei palazzi e per le vie, un certo movimento, una minima ma costante vitalità. Molti esercizi commerciali hanno ridotto il periodo di inattività. Persino qualche farmacia ha optato per una turnazione, evitando la chiusura completa. Ma è comunque ancora ben misera cosa, rispetto al grosso del fenomeno.
L'apice della desertificazione si raggiunge al fatidico giorno 15, il ferragosto: le due settimane a cavallo prima e dopo di quella data sono una prova generale di pace eterna. E si è costretti a scegliere tra minestra e finestra: o resistere eroicamente in deprimente solitudine tra le serrande abbassate, incrociando le dita nella speranza di non aver bisogno di nulla, o capitolare e rincorrere gli altri rappresentanti del consesso civile nei luoghi di vacanza, dove assoggettarsi agli insopportabili riti caotici del volgo in cambio di umana compagnia, nonché della garanzia di funzionamento di surrogati più o meno accettabili di tutto ciò che si è abituati a considerare necessario nella vita quotidiana.
In ambedue i casi si sta male. E si contano a denti stretti i giorni che mancano all'alba.
Mentre ogni giorno il sole declina prima all'orizzonte, e l'estate vive una sfilacciata agonia.
Si torna dalle ferie, a fine agosto, e si dice "l'estate sta finendo". Mica vero: l'estate è già finita lungo tutto il mese precedente, nelle giornate progressivamente sempre più corte, nel cambiamento di clima in montagna, e nella non infrequente instabilità in varie zone costiere; nell'insorta punta di rigidezza della temperatura notturna, e nel frescolino della prima mattina.
La bella stagione, quella vera, quella piena, era terminata da un pezzo. Ad Agosto si sopportano scomodità assurde per goderne solo un'illusione.
Per fortuna domani entra Settembre: il mese più dolce e più bello dell'anno.
(Difatti, non faccio per vantarmi, ci sono nata in mezzo io!)

6 commenti:

  1. Ho sempre pensato - e detto - a chi mi stava intorno che se odio il Natale, peggio mi sento con l'estate, più precisamente con le vacanze.
    Arriva il tempo e d'improvviso ognuno se ne va da un'altra parte, perdi gli amici, perdi i tuoi punti di riferimento, uno va a Cortina, l'altro in Venezuela, un altro ancora a Tahiti. Neanche a parlarne di telefonarsi come d'abitudine, di sentirsi ogni tanto. Ma ogni volta che ho espresso questo pensiero ho trovato incomprensione dall'altra parte, sorriso di circostanza e silenzio.
    E' un rituale assurdo, di tipo carnascialesco, una rottura forzata che oggi significa anche l'abbandono dei vecchi. Non mi piace.
    Il tuo post è una magnifica analisi, ricca di immagini, di questo rituale.

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    1. E' proprio quello che provo io! Abbiamo davvero una consonanza di sensibilità comune su parecchie cose ;) :)

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  2. Sai Cri, quando la solitutine dura da tempo, troppo tempo, ci si abitua e agosto non mette tristezza, non fa più notizia.
    Non per tutti naturalmente.
    Pensa se le tue sensazioni agostane che riporti in questo post durassero tutto l'anno.

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    1. Capisco bene cosa intendi, Aldo.
      "Pensa se le tue sensazioni agostano che riporti in questo post durassero tutto l'anno.": non devo mica sforzarmi, basta attingere ai miei ricordi di bambina...
      :*

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  3. Per me è un po' diverso. Rivedo amici e amiche a cui tengo dopo un anno ed è un bel raccontarsi di quello che ci è successo dall'ultima volta, anche se a grosse linee lo sappiamo, ma a voce e volto diretti è un'altra cosa. Riconosco che è un mese inconcludente, di trapasso, che taglia l'anno in due. Il vero capodanno. Domani è settembre e qui a Milano c'è una temperatura ideale. Ciao.

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    1. Praticamente tu vivi un'esperienza opposta a quella che fa soffrire me ed Ambra: non uno sparpagliamento di affetti, ma una coagulazione! I tuoi agosti allora sono una cosa bella, vera e concreta, e hanno il sapore e il profumo delle estati di una volta, quando il tempo di vacanza significava l'occasione per ritrovarsi. Vale assai la pena viverli, per questo.
      Poi, però - anche se capisco bene la difficoltà di riuscire a conciliare gli impegni di tutti, data la varietà delle situazioni esistenziali - quanto mi piacerebbe che simili care rimpatriate potessero verificarsi in modo estemporaneo anche in altri periodi dell'anno, senza esser vincolati sempre e solo ad un dato mese; e credo che, testamatta adolescente come sono, non riuscirei a sopportare il peso di un anno intero da passare per rivedere un amico, non resisterei per la nostalgia, e farei dei colpi di testa (li ho fatti, ultimamente) per andarlo ad abbracciare di persona anche prima della scadenza :D

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