domenica 20 novembre 2011

Old and wise

"Vedi, secondo me noi siamo simili in un paio di cose. Una è questa: la nostra necessità di quel che a noi pare essere "capire", o meglio, "comprendere", ma che in realtà è "poter dire che avevamo ragione".
La dinamica funziona così: una persona interessante ci si accosta, ci seduce; noi, affamati di amore, di considerazione, di stimoli, di emozioni, corrispondiamo il multiplo di quanto ci viene offerto; poi veniamo immancabilmente "fregati", frustrati nelle nostre aspettative, mortificati nello spirito; e allora cominciamo ad ostinarci, con quella nostra testardaggine di mangusta, a rimuginare, ad arrovellarci, a interpretare segnali, atti, parole, silenzi, in modo di arrivare a comporre un quadro che sia coerente al nostro ideale riferimento iniziale, che ovviamente è a sua volta direttamente proporzionale alle aspettative che ci eravamo fatti su quella persona, alla nostra esigenza di soddisfare la nostra fame, la nostra sete, per colmare il buco del nostro enorme, gigantesco cuore. Ma è, per dirla come Boccaccio, come gettare una fava in bocca ad un leone. Perché la mancanza che abbiamo dentro non è così che si può colmare. Nessuno ce la può colmare. Nemmeno le persone che più ci hanno amato nella nostra vita.
Allora giunge il momento che uno, se vuol salvarsi la vita, deve accettare. Accettare che l'altro io non lo posso salvare. Accettare che l'altro è così perché ha trovato un suo precario equilibrio, che magari è tutta finzione ma che lo fa stare in piedi, e allora chi siamo noi per sapere cos'è meglio per lui, non dico nell'orizzonte della vita intera, ma lì, in quel dato momento, con quelle date condizioni? Chi siamo noi per decidere del destino di un essere avulso da noi, noi che facciamo così tanta fatica ad occuparci del nostro, di destino?

Uno allora deve accettare, e mollare la presa. Smettere di tirare. Lasciare l'altro libero di andare dove vuole. Ma libero davvero, stavolta davvero. Soprattutto se sente di volergli bene sul serio.

Deve guardarsi dentro, e riconoscere che non è solo la salvezza dell'altro che sta cercando. Ma la sua attenzione, il suo sguardo. Voler ottenere il riconoscimento di essere, noi, significativi nella sua vita. Che è la cosa che più di tutte ci sta a cuore. E sulla quale dovremmo focalizzarci. Sul "perché" ci accada questo. Con una tale costante coazione a ripetere. Come se dovessimo tappare una falla che non si chiude mai. Come se versassimo acqua in un colino.

Deve guardarsi dentro, e riconoscere che la paura di essere sostituiti nei pensieri e nel cuore dell'altro da un'altra persona lo mette in ansia. Che prova gelosia, come un bambino è geloso delle attenzioni della mamma nei confronti di un fratellino.

Deve guardarsi dentro, e riconoscere che quello che crede essere amore è forse anche dipendenza. Attaccamento. Perché non ha una solida stima di se stesso, perché ha bisogno di continue conferme e rassicurazioni esterne. Perché fa una fatica dannata a volersi bene."

Attieniti, Cri. Molla, piccola. Apri la mano, lascialo volare, 'sto palloncino. Non piangere, su, asciugati le lacrime. Sorridi. Non aver paura.

Ci sono io, con te.



5 commenti:

  1. http://www.youtube.com/watch?v=khmKPycN2Ho&feature=related

    <3

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  2. ...

    E poi c'è pure chi si disgusta.

    <|3

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  3. Se ho ben capito da quel vecchio e poco saggio che sono, in questo tuo post c'è invece molta saggezza.
    Svaglio?

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  4. Forse "svaglio" è pure più azzeccato, perché io un po' così mi sento, "svagliata", qualunque cosa voglia dire :)

    Sì, c'è molta saggezza in questo post... Perché in origine questa è una lettera che non avevo scritto per me ;)

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