sabato 25 maggio 2013

La grande bellezza

"E' tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore: il silenzio e il sentimento, l'emozione e la paura, gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza; e poi lo squallore disgraziato e l'uomo miserabile."


Ieratico non-luogo, è il Gianicolo l'Olimpo che con le eteree geometrie monumentali dei suoi marmi introduce alla visione gli spettatori extradiegetici - fra cui, in sala, ieri sera, al Barberini, me in quinta fila e Lucia Annunziata in prima - e diegetici: comitiva di turisti giapponesi con pullman, autista e guida. E con sidereo distacco assiste "dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale", all'improvvisa morte di uno di loro, fulminato da un infarto mentre fotografa il panorama sottostante, il cuore esploso per il sovraccarico di tanta oceanica, oscena, insostenibile bellezza.

Ha quest'inizio folgorante l'ultimo film di Paolo Sorrentino, La grande bellezza. Che è un film su Roma, girato a Roma, nonostante Roma, grazie a Roma, millenario crocevia di arrivi e partenze, meta ambita almeno una volta nell'esistenza da tre quarti della popolazione mondiale, che un colpo d'ala del genio creativo del regista vuole assurta a naturale, simbolica e ideale galea di quel viaggio universale che è la vita.

Si presta bene a quest'interpretazione, Roma. Roma brodo primordiale, gigantesco calderone, serbatoio brulicante di prototipi di destini presenti e passati. Roma flutti sempiterni dove le cose più impensabili, nella finzione cinematografica come nella realtà, possono accadere a chi vi naviga dentro a vista: incontrare per strada di notte, emersa dalle brume di un sogno o di un mito, un'attrice che per un istante diviene incarnazione del fascino più impalpabile; assistere ai miracoli di una santa centenaria che hanno l'eccentricità e la grazia assurda di incantesimi; immedesimarsi rapiti e coinvolti nella fissità di una foto anziché nel contatto con una persona; straziarsi in modo imprevisto il cuore di pena e tenerezza per il funerale di una gioventù che non è la propria, ma la rievoca con ancora più struggente precisione, destando disperate nostalgie fuori tempo massimo, e poi scrollarsi di dosso quel patimento come niente fosse stato, incastonarlo nelle pieghe del volto, stuccarlo nell'espressione di disincanto che è assenza, e somma, di ogni sentimento. A Roma tutto può succedere perché tutto è già successo, dalla notte dei tempi - orrori e meraviglie, grottesche mostruosità e celesti armonie, intrecciate, declinate in ogni possibile sfaccettatura, in un prisma infinito di facoltà e contraddizioni. Roma ambigua e trasparente, Roma esposta e nascosta, Roma che sorprende e non è mai sorpresa, Roma che sconcerta e mai si sconcerta. Roma caotica e lucida. Roma barocca, dove ogni dettaglio non si amalgama, ma si affastella, a tutti gli altri, come gli strati che ne compongono le fondamenta, sotto i palazzi rinascimentali le case medioevali, e sotto ancora le insule romane, e sotto ancora le catacombe. Roma che non è né cinica, né "de core", ma solo indolente, indifferente e impietosa, poiché questa, e questa sola, è la sua pietas. Roma stregata, avvolgente, di fulgidezza così grandiosa da tracimare nella tenebra, di magnificenza tanto corrusca da risultare spaventosa. Roma viscere di madre amorosa e carnivora. Roma vampira, sonnacchiosa di giorno e desta di notte, l'utero dei suoi palazzi fuori dal tempo che biancheggia nel buio, nido conturbante e accogliente. Roma che è modo di essere, esperienza, arco teso tra passato e presente che annulla vertiginosamente distanze di secoli. Roma dove tutto è re-ligioso, legato da un senso, e dove niente sembra avere senso.

La grande bellezza, unico titolo possibile, ne contiene, evoca e rilegge altri, da La dolce vita a La grande abbuffata, in modo antico e nuovo, unico e originale. Sorrentino è un incantatore di serpenti, un mago che con le sue inquadrature a volo d'uccello e i suoi scorci obliqui dal taglio impossibile spiazza, stordisce, denuda lo spettatore come fa coi protagonisti del film, facendoli entrare, l'uno e gli altri, dentro quest'idea nucleare di Roma arcana, fiabesca, terrificante, mistica e misterica, eterna e mortale, brulicante di sacre meschinità e di banalità profane, ermetica sequela di porte (reali e riconoscibili) che per una felice idea di sceneggiatura si aprono su squarci (reali e riconoscibili) di altre dimensioni, e fa entrare Roma dentro di loro. 



Il film, lunghissimo, ridondante, eccessivo, cattura la verità di una gran parte dell'anima di Roma per mezzo di un caleidoscopio di suggestioni che tengono col fiato sospeso, un'infilata di inquadrature su inquadrature che saziano fino a scoppiare come un pranzo pantagruelico di cui non si riesce a dire basta. Ed è un incanto, una stregoneria, che restituisce intatta la sensazione ancestrale che spesso dà a chi ci vive la città, in bilico fra un tempo che non è più e uno che non è ancora, mai presente a se stessa, sempre stornata dal quotidiano per quell'atmosfera incongrua, volgarissima e sacra, infima e opulenta, ambivalente al massimo grado, attraversata da deserti di languore interrotti da attimi di intensità fulminante, sepolta sotto strati di vacuità, che ne fa coerente metafora della vita.

Uscire dal cinema di notte in pieno centro mi ha accresciuto, sortilegio nel sortilegio, la percezione di quell'atmosfera che io ho peraltro autonomamente avvertito sin da bambina, e così mi sono ritrovata ad ascoltare, nella prospettica fuga dei palazzi, nell'elevazione degli obelischi stagliati contro il cielo, la voce dello spirito di Roma, il sussurro del suo confuso e lineare enigma, che è l'enigma stesso della realtà.

A cui Sorrentino risponde, per bocca del suo alter ego Servillo, con la frase che ho copiato all'inizio di questo post. 

A coronamento di due ore e un quarto fatate di immersione in un film che non propone esegesi degli splendori e miserie di una città unica al mondo, ma solo la contempla come (im)perfetto paradigma dell'esistenza, colmo di tutta la (poca, tanta) umanità e tenerezza possibile e per ciò di autentica, incompiuta, mortale/immortale bellezza, metafora della grande bellezza della vita che si coglie solo nell'istante dello scarto, quando ormai è già sfuggita.

Un film davvero di rara - intollerabile, indigesta - irresistibile, grande bellezza.

29 commenti:

  1. Non ho visto il film e quindi lasciare un commento è inutile, so solo che la critica si è divisa tra chi dice che è splendido e chi dice che è una "monnezza".

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  2. Resta il fatto che l'Urbe è questa, dove viviamo e sopravviviamo e per nulla al mondo potremmo mai lasciarla per un'altra città di qualsiasi parte del mondo.

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    1. Ah, io posso e come, Aldo. Non la sopporto davvero più, ne sono ripiena da ogni poro della pelle. Il fatto che faccia parte di me non significa che io debba viverci in simbiosi. Se capiteranno le circostanze giuste me ne andrò, almeno per un po'. Io ci sono nata, a Roma, non mi serve di starci per esserci ;)

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  3. credo che roma sia solo la cartina al tornasole del casino di un pianeta intero, ed è così da sempre, perché da sempre c'è roma, il suo splendore e la sua decadenza, questo Tutto che solo qui esiste, tanto che non è considerata una città da molti terrestri, ma un simbolo planetario.
    sul film non so dire altro se non che spero di trovare qualcuno che venga con me al cinema e poi ti saprò dire (non è facile, non tutti sono disposti a raccontarmi ciò che non è parlato).
    "Roma che non è né cinica, né "de core", ma solo indolente" no dai, non sono d'accordo su questo: se c'è una città cinica al mondo è proprio roma, al tempo stesso da vera borderline è pure de core ma non è indolente, roma non se l'è mai potuto permettere.
    ciao, buona domenica, laura

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    1. D'accordissimo su roma cartina al tornasole e simbolo planetario. E' d'accordo anche Sorrentino, che fa dire al suo disincantato amorosissimo alter ego Servillo che i veri abitanti di Roma sono i turisti.
      Sul film ho discusso molto a lungo con mia madre: purtroppo non si può fare a meno della vista per "leggerlo". Sorrentino nasce scrittore, e come scrittore lui gira i film: usando la macchina da presa al posto della penna. Ma è anche vero, in questo film che è una successione di icone kitsch e trash e di inquadrature "cartolina" - non c'è niente che richiami alla vita ordinaria della metropoli, non una persona che cammina sul marciapiede, non un motorino, una pompa di benzina, un autobus - che persone ipovedenti, o non vedenti non dalla nascita come mia madre, fornite di un magazzino di nitidi e precisi ricordi interiori organizzati in una propria concezione della città possono farsi comunque un'idea apprezzabilmente valida della poetica del regista. Questo è un film che alla fine, al di là di quello che mostra, è più una tessitura di atmosfere impalpabili, invisibili, opprimenti, appiccicose, percepibili ben al di là delle (essenziali) immagini.
      In quanto alla Roma né cinica né de core, anch'io la pensavo come te, un tempo. Oggi rivendico la mia asserzione: anche sull'indolenza. Roma si è lasciata fare di tutto, si è fatta depredare dai Barberini, saccheggiare dai lanzichenecchi, sventrare dalle opere edilizie mussoliniane, calpestare da Hitler e dal suo seguito di fanatici nazisti, sgovernare dai fascisti, pascolare le vacche nei suoi Fori, fregandosene un cazzo di tutto e di tutti. Per me questa è sublime, divina indolenza. Che io ho trovato espressa in sintesi felice da un post di anni fa di Metilparaben: http://metilparaben.blogspot.com/2010/05/soli.html
      "...in quel momento, e in quella vita, sono le due di notte, e dal finestrino arriva un profumo incredibile di mandorle, di pioggia, di foglie bagnate: Roma, fuori, è una puttana col trucco disfatto che si è fatta fottere tutto il giorno e adesso è stanca, languida, sensuale.
      E siete soli, tu e lei.
      Il telefono continua a suonare.
      Che suoni."
      Io mi fermo lì :)
      (Buona domenica, Laura)

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    2. tra i tanti che hanno sgovernato e rovinato roma hai dimenticato tutti i papi: è vero, roma può sembrare una vecchia bellissima battona ridotta ormai a darsi a tutti per pochi spiccioli, ma ..c'è sempre qualcuno che ti ci mette sulla strada e, più che languida e sensuale, per me è disperata e chiede aiuto, non è indolente (è il dramma di chi è troppo bella!).
      il mio voto infatti oggi andrà a chi finora non ha mai messo le mani su roma, almeno se sbaglia potrò dire che ci ho provato, sarei scema a votare chi invece ha già approfittato (vedi i partiti di alemanno e marino, ma pure "arrfio" che dice di essere "libero").
      grazie per la descrizione cri, non so perché hai litigato con tua madre ma a me invece arriva preziosa e me ne ricorderò appena sarò in sala con qualcuno! ciao e, visto che oggi è giornata, posso dì "Forza Roma!" ? ;) laura

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    3. Eh, come ho finito il commento precedente ai papi ci ho pensato, che parlare solo dei Barberini era troppo riduttivo :D; ma in realtà il papato, anzi, meglio, la chiesa cattolica apostolica romana in toto, è qualcosa di mai "passato", e anzi contribuisce in modo determinante, endemico, a costituire il carattere della città (lo pensa anche Sorrentino, che infarcisce il film di continue incursioni di preti e monache giocondamente sorpresi in atti non stereotipati).
      In quanto alla disperazione di Roma che chiede aiuto, io sono totalmente in disaccordo con te per un motivo essenziale: perché non credo alla sua innocenza. Roma non è una vittima, non è nemmeno un carnefice: ma di certo non è innocente, e sa di non esserlo. Nessuno è innocente, né a Roma né nel mondo. Roma ne è consapevole, dall'alto della bellezza costruita sulla bruttezza dell'abominio, tra archi di trionfo che celebrano genocidi ante litteram, Colosseo e Circo Massimo impregnati del sangue di uomini e bestie che vi hanno trovato la morte in nome del "panem et circenses" e della delizia degli imperatori e delle loro corti, mura rinascimentali serrate su intrighi indescrivibili, obelischi che celano le mani amputate coloro che li posero (è la storia vera di quello di Villa Celimontana). Per questo non cerca pietà né ne offre: vive e lascia vivere, altera e sorniona, senza illusioni né sogni di magnifiche sorti e progressive, il paradosso di rappresentare un paradiso in terra che a niente si avvicina di più che ad un inferno "che non ha vergogna, che non ha giudizio", per dirla con Ivano Fossati.
      (Non ho litigato con mia madre, ed è un fatto anzi alquanto insolito! Ho passato un paio d'ore a raccontarle, fotogramma per fotogramma, l'intero film. E' stata un'occasione unica per trovare con lei un breve istante di sintonia, almeno una volta nella vita)
      Forza Roma, sì! In ogni senso possibile ;)

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  4. Mi devo cercare "extradiegetico" e "diegetico" nel dizionario. :D Per il resto mi piace la recensione barocca di un film barocco, mi sa che torno a vederlo.

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    1. Visto che coerenza, disse la donna barocca alla luminosa giovane rinascimentale ^_^? (Te l'avevo detto che il film per me ci aveva preso, e mi aveva preso :D
      E davvero, sapessi che stralunamento quando sono uscita dal cinema. Un'esperienza woodoo, più o meno :D )

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  5. Il film non l'ho (ancora) visto e quindi mi astengo. Faccio una mia considerazione. Roma in fondo rappresenta la nazione allo stato delle cose. Noi qui a Milano non sappiamo più chi rappresentiamo.

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    1. Perché voi, Alberto, avete una illustre e illuminata tradizione di civismo alle spalle. Noi a Roma non abbiamo mai rappresentato nessuno, disconosciuti come capitale, mal sopportati(manco sempre a torto) dal resto d'Italia. Allo stesso tempo, ovviamente, Roma è estremamente rappresentativa, per continuare la sarabanda di contraddizioni. Lo spiega in modo per me efficacissimo e profondamente emozionante Riccardo Bocca in questo suo fantastico post sul film di Sorrentino: leggetevi questo, in confronto al quale il mio è un pensierino di un bimbo di prima elementare! http://bocca.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/05/27/12083/
      (Ne cito il cuore, come estratto significativo ma assolutamente non esaustivo:
      "Soltanto questo, infatti, può essere il premio di consolazione per chi ha provato a negare un’innegabile veritas: il fatto che Sorrentino abbia girato un capolavoro assoluto, che non appartiene soltanto alla grande storia del cinema ma anche alla piccola storia di noi tutti italiani.
      Il guaio unico e immenso de “La grande bellezza”, è che non può essere -anche volendo- catalogato come l’ennesimo film su Roma.
      Trattasi invece di opera sulla dannazione umana, che non si ferma alle stupiderie dei soliti mondani e al loro attendere la fine del mondo tra trenini e coca party.
      Qui l’argomento è un altro.
      È il demone che ci ha risucchiati; l’automiseria che ci ha portati a disattendere le nostre stesse aspettative, e che si riverbera in una Roma occlusa dall’indolenza.
      Merce tanto preziosa da indispettire la critica capitolina, complice fino al cuore delle meschinerie raccontate nel film.")

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  6. Come sarebbe possibile non vedere questo film, dopo aver letto quello che ne dici, con quella splendida profusione di immagini, aggettivi, parole in opposizione tra loro? Credo che il tuo, presumo insieme col film, sia uno degli omaggi più vivi, più intensi mai ricevuti da questa grande carnale Roma.

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    1. Ma io la amo Roma, Ambra :)
      Roma è per me quello che Procida è per Arturo. Roma è mia madre e mio padre, è tutta la famiglia che ho.
      Questo non toglie che la mia indulgenza verso di lei abbia subito una bella battuta d'arresto. Non la giustifico più, la detesto per la sua incuria, la sua immutabilità, la sua noncuranza che mi rende la vita tanto scomoda e faticosa. Però è parte di me stessa. Io sono lei, gli anfratti del Campidoglio, le pietre del teatro di Marcello, i platani malati e maestosi del Lungotevere, il Muro Torto, il cupolone, Castello, i vicoli labirintici del centro. E lei è me :)

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  7. cri vorrei porti una domanda, come vedi roma nel futuro? ed infine esistono ancora i romani?

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    1. Come è sempre stata :)
      Come è oggi. Roma non è mai cambiata né mai cambierà. E' un privilegiato malessere, uno stato d'animo, una forma mentis, un farmaco che guarisce dalla malattia ed è al contempo causa di essa, una eterna plaga di statuarie staticità riempita da un brulicare di insetti in perpetuo movimento, è l'assenza che è l'unica presenza possibile.
      Per questo motivo posso risponderti alla seconda domanda: esistono e come, i romani. Perché non sono mai esistiti. Quand'ero bambina ho sentito spesso affermare che i soli a potersi fregiare dell'appellativo di romani "di sette generazioni" sono gli ebrei del Portico D'Ottavia, discendenti di famiglie stanziate in ghetto da secoli. Non so quanto peso essi diano al loro essere campioni di romanità, concentrati come sono sulla loro cultura di appartenenza, e sulle dolorose memorie che la riguardano. Certo è che loro costituiscono una colonna secolare in una città che da altrettanti secoli si fonda sul potere dei rappresentanti ad una confessione religiosa che fino a sessant'anni fa li bollava e avversava come deicidi: un'altra delle profonde contraddizioni di Roma.
      Dunque chi sono i romani? Gli ebrei, i preti, gli inurbati del secolo precedente dalle province e regioni limitrofe, Ciociaria Umbria Marche Abruzzi Molise? I discendenti dei nobili latifondisti? La nuova stirpe dei nuovi immigrati, questi ragazzini figli di cinesi, bengalesi, filippini, sudamericani, che parlano romanesco peggio de noi, scorrazzano pieni di vita per la città e tifano Roma più accaniti degli ultrà? I turisti? Le migliaia di studenti universitari fuori sede che si accalcano nella zona di San Lorenzo e tracimano fino alla Tiburtina, la Tuscolana, l'Appia, la Prenestina, la Casilina, pagando fino a cinquecento euro un posto letto in nero? Roma è tutti e di nessuno, è chi se la vive e ci si sbatte. Roma è uno dei posti più accoglienti del mondo: chiunque ci arriva ci si trova bene, perché non ha un carattere marcato di comunità radunata sotto un'insegna, non ha una cittadinanza che si riconosca tale. Io sono romana non tanto perché qui ci sono nata (in una clinica al Colle Oppio, in fondo a Via Mecenate, davanti al Colosseo, sopra la Domus Aurea) quanto perché ci sono cresciuta, in tutti i sensi, fendendo ogni giorno la corrente in mezzo a questo casino indescrivibile di disservizi, burocrazia, legioni di turisti, cortei interminabili di manifestanti arrabbiati (tutti a Roma vengono a manifestare), pletore di pellegrini del Giubileo, questuanti dei politici, nugoli di aspiranti starlette televisive del Grande Fratello. Sono romana perché, tirando sin qui le somme della mia esistenza, trovo che la frase di Gep Gambardella/Toni Servillo mi legga nell'anima. Ecco, credo che chi se la sente così abbia uno spirito romano; anche se abita in Tasmania :)

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    2. ciao cri, ma se volessi postare una foto sul mio blog posso aggiungere questo tuo commento?

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    3. Sicuro! Il commento è tuo, puoi farne assolutamente ciò che vuoi. Ne sono onorata. Anzi, tutto il post è tuo, se vuoi. Ma sei proprio sicuro di volerti mettere sul blog un simile pippone? :D

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    1. Farai (sicuramente) bene.
      (By the way, questa notte ti ho sognato)

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    2. Spero di non aver fatto nulla di fuori luogo.

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    3. Ti dirò che non mi ricordo di preciso. Parmi di ricordare che fossimo solo in amena conversazione, tra dispiego di spontanei sorrisi ed affetto reciprocamente espresso (per cui sì, trattavasi di un sogno :D )
      Fuori luogo? Mah, eravamo comunque a Roma, dunque in ogni caso nel posto giusto :D

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    4. Sì sì, mi sa decisamente di sogno.

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    5. Ahimé. E vabbé: con la mia sorniona e indolente saggezza tipicamente romana me ne farò una ragione. :)

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  9. Il fil più bello degli ultimi tempi - per me.
    E immagino cosa voglia dire vederlo a Roma, uscire dalla sala e trovarsi dinanzi ROMA! Significa viverlo al meglio, sentirlo PROPRIO.
    un abbraccio :)

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    1. Sicuramente "pesa" molto di più :)
      E concordo col tuo giudizio sul film!
      Ricambio l'abbraccio :)

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