sabato 25 giugno 2011

Silly simphonies

Il mio ufficio, punta di diamante dell'amministrazione regionale, dipende dalla Direzione Agricoltura, e difatti, in linea con le sue competenze istituzionali, è popolato di animali da cortile come nella canzoncina de La Vecchia Fattoria del Quartetto Cetra buonanima.

Ci si incontrano papere iperattive starnazzanti, vecchie galline ché fan sempre buon brodo, una covata di imberbi pulcini appena usciti dall'uovo, qualche maiale, svariati asini, certi che si credono tori e invece sono tuttalpiù pii bovi, un paio di gatte costantemente occupate a leccarsi il pelo e affilarsi le unghie, due o tre topi di fogna, parecchi struzzi, conigli, pecore e capre in gran quantità; e ci sarei pur'io, che, dopo essermi a lungo creduta un'aquila - non tanto per l'acume, quanto per le grida acute e stridule emesse, anche in assenza di mia volontà, dalle mie corde vocali quando mi agito (il che capita spesse volte al giorno) -, solo di recente mi son scoperta mangusta, animaletto minuto ma tenace, capace di uccidere i serpenti.

E poi c'è pure (come poteva mancare ?) il cane da guardia. Un rozzo cubo di donna sessantenne dalle dimensioni di un metro per un metro per un metro, con quattro fili di stoppa giallastri sulla testa pelata, gli occhietti da faina e la bocca da mastino napoletano, di temperamento aggressivo e tracotante, fornita per beffa di un nome che, associato al cognome, evoca la dolcezza di giornate all'insegna del supremo sentimento che muove il cosmo, e a cagione di questa imbarazzante incongruenza familiarmente apostrofata coll'avulso e ben più idoneo appellativo di Cerbero.

Il Cerbero in questione alloggia in una cuccia di fronte alla porta d'ingresso - accanto alla postazione del vigilante pistolero che credo tenga l'arma scarica al mero scopo di evitare di esser tentato di usarla contro di lei - assicurata alla medesima da una catena di lunghezza tale da consentirle una fin troppo eccessiva libertà di movimento. Vero è che, pigra e sfatta com'è, e di scarsa fantasia, passa la più parte del tempo a vegetare nei pressi della tana: sfasciata su una sedia, lamentandosi delle correnti d'aria se è inverno e del caldo se è estate, schiavizzando il ritardato mentale dell'ufficio (funzionario apicale, essendo stato ai suoi tempi raccomandato dai buoni amici del padre generale) per imporgli ogni genere di commissioni, terrorizzando e molestando gli sventurati utenti sui quali è convinta di avere diritto di vita e di morte (come se avesse sospeso sulla testa un cartello colle terzine del padre Dante: Per me si va nella città dolente, per me si va nell'etterno dolore, per me si va tra la perduta gente... lasciate ogni speranza, o voi ch'entrate) e sparlando di tutto e di tutti, sarebbe arduo stabilire se con più protervia o più livore. Ma siccome, similmente a quando i raggi di sole penetrano talvolta a sorpresa in una cantina polverosa, anche nella sua mente angusta ogni tanto fa breccia un barlume di noia, o un fremito di smania, ecco dunque che, spezzando la piatta monotonia della sua esistenza, in quei frangenti prende a perseguitare qualcuno che le sta a tiro; purché sia molto vicino e molto visibile, posto che la sua accidia e la limitatezza della catena non le consentono di spingersi oltre l'orizzonte del corridoio tra la porta del piano e la stanza del dirigente, quattro passi più avanti del gabinetto. Di norma le sue torture hanno dunque come destinatari privilegiati: i già summenzionati utenti; le donne delle pulizie, verso le quali si atteggia a kapò; e in generale le persone che il suo bizzarro criterio di interpretazione del mondo le fa percepire detentrici di un potere che ostacoli il suo: fra cui colei che del dirigente è segretaria (che sarei io), verso la quale rivolge, con tipica italica codardia, anche gli strali diretti al superiore.

Già ad incattivirla, nell'ultimo anno, erano intervenuti diversi fattori destabilizzanti: in primis il fatto che, nel restringersi dei nostri spazi a seguito del forzato trasferimento dal primo al quarto piano, aveva perso l'uso dello stanzino alle spalle della sua postazione dove sbafava a pranzo vivande come fosse stata all'osteria, i piedi sotto il tavolone con la tovaglia di plastica a quadretti, i rivoli di sugo che scendevano ai lati della bocca, la TV accesa, e il fornello da campo sul quale era adusa scaldarsi le pietanze, tra le quali i broccoli del cui odore spesse volte impestava tutto l'ufficio, con disdoro del personale e sconcerto dell'utenza (anche se forse l'appartenenza alla Direzione Agricoltura dava un che di folkloristico alla circostanza, che sarebbe risultata probabilmente ancora più bizzarra in una struttura della Direzione Personale, o Cultura, o Sanità). Ma la situazione si è aggravata con l'avvicendamento dei vertici avvenuto a metà dello scorso aprile, quando al precedente dirigente coniglio che abbassava le orecchie al suo cospetto è subentrato l'attuale, più tendenza gattomammone incrociato con volpe e cane bulldog, davanti al quale ha dovuto riottosamente abbassare le orecchie lei. La situazione si è così fatta sempre più incandescente di pari passo con il montare del suo dispetto - sgarbi, musi lunghi, complotti alle spalle, risposte sfrontate, verso cui ho ostentato indifferenza e anche una certa dose di snobistico distacco -, fino ad esplodere due giorni fa.
E' quasi l'una di pomeriggio di un giovedì, il capo è fuori in missione come i tre quarti dei funzionari tecnici, siamo quattro gatti in un ufficio insolitamente tranquillo e io pregusto già l'incipiente week end (per il mio part time ad abbattimento verticale il giovedì è l'ultimo giorno lavorativo della settimana), quando mi si para davanti d'improvviso un giovanotto a me non sconosciuto, dipendente di un patronato che segue parecchi nostri utenti, con un sorriso incerto e un po' implorante sulle labbra e una pila di richieste di partecipazione al corso propedeutico all'ammissione all'esame per l'ottenimento dell'autorizzazione all'acquisto ed all'uso di presidi fitosanitari di I e II classe. Un fascio di domande, almeno una ventina, se non più.
"Scusa, Cri, se sono entrato, non sapevo delle nuove disposizioni. Domenica m'ha fatto provare, ché magari tu me le prendevi lo stesso le domande al protocollo... M'ha detto che mi faceva passare, che vedessi io, se per caso tu non ti arrabbiavi e me le accettavi lo stesso, per stavolta."
Io lì per là non connetto. Poi ricordo l'ordine di servizio, da me scritto su incarico del capo, che recita "a partire dal 1° di giugno, per motivi organizzativi, la documentazione recapitata a mano verrà accettata per la protocollazione solo nei giorni di apertura al pubblico, lunedì, mercoledì e venerdì dalle ore etc alle ore etc."
Mi monta il sangue alla testa. Cerbero è una che non fa entrare manco la Vergine di Fatima fuori orario. L'ha fatto passare, questo qui, perché sua figlia lavora nella stessa organizzazione, perché il capo non c'è e perché vuol mettermi davanti al fatto compiuto, per far capire al giovanotto chi comanda.
Cerco di star calma, perché non voglio prendermela col ragazzo, con cui ho sempre avuto ottimi rapporti. Ad aggravare il mio disagio c'è il fatto che, come del resto la maggioranza della gente che si rivolge a noi, lui è venuto da fuori Roma, dalla provincia. Si sarà fatto, boh, almeno trenta o quaranta chilometri sotto al sole, e ora sono io quella che deve dirgli che se li è fatti per niente. Doveva essere respinto alla porta - l'avviso ha motivazioni molto fondate, è stato affisso da molto prima del primo giugno non solo all'entrata ma in ogni curva del corridoio e ribadito anche oralmente a chiunque si sia presentato ogni volta proprio per evitare situazioni incresciose di questo tipo, il suo patronato sicuramente ne era avvertito, e se si deroga con uno poi lo si dovrà fare con tutti. Ma lui ora è davanti a me, e io devo dirgli che dovrà tornare domani. E non doveva arrivare da me. Non doveva proprio varcare la soglia, Cerbero sta lì per quello, per quell'unico motivo piglia lo stipendio.
"Scusami, sai, non è che dipende dal fatto che io mi arrabbi o meno. E' che, se adesso ti accetto queste venti e passa domande, sarà il capo ad arrabbiarsi con me. Non posso disattendere un ordine d'ufficio, tanto più in sua assenza."
Stiamo in un penoso impasse per una decina di minuti, poi mi viene un'idea. Gli faccio portare le domande sulla scrivania del funzionario competente, che lo conosce. Poi lui domani le porterà al protocollo, e la consegna sarà stata rispettata senza che il ragazzo abbia dovuto rifarsi tutta la strada un'altra volta.
Poi però, perché questo non accada più, e chi ha orecchi per intendere intenda, citofono a Cerbero, e le dico con tranquillità ma anche con severità che lei non doveva farlo passare questo ragazzo, e che il fatto non si ripeta, altrimenti sarò costretta a dirlo al dirigente.
Lei mi chiude il telefono in faccia. Faccio per richiamarla, ma non mi risponde più. Sto per alzarmi e andarglielo a dire di persona, ma non faccio in tempo a girare intorno alla scrivania che me la trovo davanti. E' venuta lei da me, e urla e fa gestacci, attirando l'attenzione di tutti i colleghi che si precipitano dalle varie stanze in mezzo al corridoio.
E' un fiume in piena: grida che non mi devo permettere di dirle quello che deve e non deve fare, che me la tiro, che non sono nessuno, che lei fa entrare chi le pare e piace perché tanto qui s'è sempre fatto così. Io mi altero e grido anch'io, le intimo di uscire dalla mia stanza. Lei risponde: "manco per niente! Esci tu!"
Il mio collega di protocollo osserva la scena tra l'incuriosito e lo stupefatto. Il ragazzo del patronato, che nel frattempo ha depositato come d'accordo le domande sul tavolo del mio collega, è imbarazzato e mortificato. Accorrono la mia amica Louisa, una dei responsabili dell'ufficio, e Adriana, la responsabile del personale.
Cerbero è un cane, io son mangusta. E' una lotta per la supremazia che ha davvero dell'animalesco. E se io adesso mi lasciassi trasportare, come mi è successo molte volte in passato, verrebbe fuori una piazzata dove l'avrebbe vinta il più volgare, il più arrogante, il più feroce: lei. Che, nella confusione, potrebbe pure alleggerirsi di torti, ed ammantarsi di ragioni. Quando si urla in due, è come nelle constatazioni amichevoli di incidente, quando le Assicurazioni, per non sbagliare, penalizzano tutti e due i contendenti.


E allora faccio una cosa mai fatta prima: e mi accorgo di stare per farla, e di volerla fare, per un senso di luminosa consapevolezza che mi accende il cuore e mi schiarisce la vista, mostrandomi la strada per il cielo: mollo.
Tatticamente, strategicamente, mollo.
Mi avvicino a Cerbero. Le poggio teneramente una mano sulla spalla, con calore, carezzevole. Le sorrido.
"Va bene. Ci siamo dette tutto. Adesso esci, Domenica. Va', cara."
Lei impazzisce, ed esplode. E nel momento in cui esplode so di aver vinto. Lo so, e lo sento pure, perché si gira, divincolandosi, mi guarda con occhi spiritati, mi stritola il braccio destro con la mano sinistra - a distanza di due giorni lì ora c'è un livido di qualche centimetro - e con la destra molla pure lei. Mi molla un ceffone che mi scardina quasi la mandibola.
Per un millisecondo il tempo si ferma, cristallizzato nell'assurdo. Tutti, compresa lei, sembriamo statue di sale. Mi ha percosso, non per difesa, davanti al capo del personale, a parecchi altri colleghi e ad un utente.
Mi riscuoto io per prima. La sorpresa, e l'intontimento della botta, mi fanno salire alle labbra un risolino che pare imbestialirla ancora di più.
Per fortuna si rianimano pure tutti gli altri. In una sequenza tragicomica Adriana, sconvolta ma pacata, le intima di smetterla, e la minaccia di una lettera di richiamo. Louisa cerca di farla ragionare. Ma soprattutto il ragazzo, disperato per sentirsi causa del trambusto, d'istinto le afferra le braccia e la tiene ferma per quanto può, sudando come una bestia per lo sforzo, mentre lei, come impazzita, mi vomita addosso un ammasso di ingiurie e cattiverie e appare evidente che nemmeno ce l'ha più con me, ma con qualche suo fantasma interiore che deve perseguitarla senza pace, e se non fosse trattenuta mi salterebbe addosso per spaccarmi le ossa. E io, per converso, più lei alza la voce più l'abbasso, sorridendo, e ripetendole solo ossessivamente: "tu stai male, Domenica, tu stai male."
La portano via, finalmente, piangente di rabbia e di un'angoscia che le trabocca dalle viscere e si riversa fuori, squassandola, mentre io mi strofino il mento con una serenità che non ho mai provato prima, e una bizzarra simpatia per il povero Cerbero, per quel cuore di cane prigioniero del suo dolore infantile ed animalesco, che io conosco e riconosco perché è stato anche il mio, ma da cui oggi, con un colpo d'ali, mi sono innalzata.


Ed è così che scopro, con stupore e commozione, che, alla mia tenera età, forse sto cambiando davvero.







2 commenti:

  1. Madonna che mi ero persa!
    Cri batte Cerbero 7 a 0, la curva esulta e l'arbitro fischia la fine della partita! :D

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  2. Ahahahah, grazie, grazie (bow bow bow): sarà un caso, ma il giorno dopo è andata a firmare all'Assessorato Personale il suo collocamento a riposo a fine anno ;)

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