domenica 19 giugno 2011

Tornando a bomba

La figura di Gesù contraddice tutti i principi della Pedagogia nera che la Chiesa insiste nel riaffermare: ossia l'educazione all'obbedienza e alla cecità emotiva mediante il castigo. Prima ancora di nascere, Gesù riceve dai genitori il massimo rispetto, riceve amore e protezione, e proprio in questa fondamentale esperienza primaria si sono radicati il suo ricco mondo emotivo, il suo pensiero e la sua etica. I genitori terreni si considerano al suo servizio né pensano di doverlo mai castigare. E lui, è forse per questo diventato egoista, arrogante, avido, dispotico o vanitoso? Al contrario: è diventato un uomo adulto forte, consapevole, saggio, capace di provare empatia, di esperire emozioni intense senza divenirne preda; capace di riconoscere la falsità e la menzogna e sufficientemente coraggioso da denunciarle.
Tuttavia, per quanto io sappia, fino a oggi nessun rappresentante della Chiesa ha mai riconosciuto il nesso evidente tra l'educazione ricevuta da Gesù e il suo carattere. Mentre verrebbe spontaneo di sollecitare i fedeli a seguire l'esempio di Maria e di Giuseppe non trattando più i figli come oggetti di proprietà bensì come figli di Dio. E in un certo senso, lo sono davvero.
L'immagine che un bambino amato si fa di Dio rispecchia le sue prime esperienze buone. Il suo dio sa capire, sa infondere coraggio, spiegare, trasmettere conoscenza e mostrarsi tollerante nei confronti dei difetti del bambino. Non punisce mai la sua curiosità, non ne strangola la creatività, non seduce, non impartisce ordini incomprensibili, non incute paura.
Gesù ha trovato in Giuseppe un padre terreno simile a questo, ha predicato esattamente questa stessa etica. Gli uomini di Chiesa, invece, ai quali è mancata un'esperienza del genere nell'infanzia, non sono stati capaci di vedere in quei valori se non vuote parole. Come dimostrano in modo lampante le crociate e l'Inquisizione, molti di loro hanno agito in perfetta consonanza con le esperienze infantili: annientando, esercitando intolleranza e crudeltà nel senso più profondo.
(...)
Non abbiamo bisogno di figli arrendevoli, che domani saranno capaci di uccidere per ordine di qualche terrorista o di un folle ideologo. I bambini che sono stati rispettati da piccoli andranno per il mondo tenendo occhi e orecchi ben aperti e sapranno protestare con parole e azioni costruttive contro l'ingiustizia, la stupidità e l'ignoranza. Gesù lo ha fatto già a dodici anni e sapeva, se necessario, rifiutare obbedienza ai genitori senza per questo ferirli, come dimostra ciò che accadde nel tempio (Lc 2, 41-52).
Con la migliore buona volontà non potremo mai essere come Gesù, perché dovremmo avere alle spalle una storia del tutto diversa dalla nostra. Nessuno di noi è stato in grembo ad una madre che lo pensava figlio di Dio: per contro, troppi sono stati considerati soltanto un peso dai genitori. Ma, se davvero lo vogliamo, possiamo imparare qualcosa dai genitori di Gesù, i quali non hanno mai preteso arrendevolezza da lui e non hanno mai usato violenza nei suoi confronti. Abbiamo bisogno di usare il potere soltanto quando temiamo la verità della nostra storia, alla quale ci aggrappiamo nei momenti in cui ci sentiamo troppo deboli per restare fedeli a noi stessi e ai nostri veri sentimenti. Eppure, proprio la sincerità nei confronti dei nostri figli ci dà forza. Per dire la verità non abbiamo bisogno di alcun potere, che ci serve soltanto per diffondere menzogne e parole ipocrite.
Il giorno in cui un gran numero di genitori sarà raggiunto dalle parole illuminate di molte persone esperte e bene informate (per esempio, Frédérick Leboyer, Michel Odent, Bessel van der Kolk e tanti altri ancora) e saranno sollecitati dalle autorità religiose a seguire l'esempio di Maria e Giuseppe, quel giorno il mondo diverrà per i nostri figli molto più pacifico, più sincero e meno irrazionale di quanto sia oggi.

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