sabato 5 gennaio 2013

Le parole sono importanti

Il rapporto che intercorre tra una definizione e l'oggetto è simile alla relazione tra la tangente e il cerchio: essa lo tocca, ma non può contenerlo. Tuttavia, una parola come "terra" ha un certo peso. (...) Se ci blocchiamo sulla tangente, non capiremo il cerchio. Il cerchio è movimento. Quando ci si arrende a ciò che accade, non si ha bisogno di fare riferimento alle definizioni, e si capisce meglio cosa sta succedendo.
Il linguaggio funziona quando, dopo aver sentito una parola, si prova ad applicarla alla realtà: vi si adatta perfettamente? In questo modo, ci si espone continuamente alla realtà finché non si trova la parola giusta. Bisogna essere disposti a dimenticare le precedenti parole, le precedenti spiegazioni e intenzioni e diventare uno specchio della realtà. Allora si rifletterà una luce che condurrà alla parola giusta.

16 commenti:

  1. In questa mescolanza impastata di realtà alienata e parola prevale la fantasmagoria delle merci, ulteriormente fomentata dal giornalismo. Da "femminicidio" ad "ascesa alla politica" etc. anche la satira trovo che sia completamente subalterna alla situazione corrente.

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    1. E' un'impressione che provo tanto anch'io, Matt: per meglio dire, patisco tanto; mi sembra di dibattermi in pastoie soffocanti che mi impediscono di respirare bene. Per questo sto cercando di sfrondare, di grattare a mani nude la polverosa superficie delle pietre d'ostacolo - gli "scandali" che bloccano il libero e autentico fluire dell'esistenza e costringono alla contorsione e ad un aggiramento che è raggiro - per eroderle, frantumarle, riportando alla luce una qualche nuda verità, ultima o prima, di senso: perlomeno uno stato in cui "terra" suoni proprio "terra" e risponda ad un basico, comune bagaglio comparabile al concetto di "terra"...

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  2. Altroché se lo sono,pensa alla parola "silenziare" detta da monti, che vuol dire ridurre al silenzio, impedire di parlare, tappare la bocca, come ai tempi di mussolini, vedi fratelli Rosselli, Gobetti,
    Giacomo Matteotti, ecc.
    Questto m'insegna mio figlio Massimo su FB.

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    1. Allora stasera andrò anch'io a sentire la lezione :D
      (Non so cosa ha detto Monti. Vivo da anni in una perenne snobistica attitudine di Cincinnato, e pretendo pure di saper tutto delle cose del mondo lo stesso. Per fortuna recupero con gli amici più informati di me; anzi, diversamente da me, informati sul serio :D )

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  3. Muore la parola
    appena è pronunciata:
    così qualcuno dice.
    Io invece dico
    che comincia a vivere
    proprio in quel momento (Emily Dickinson)

    Questi versi per celebrare il pensiero, il sentimento e l'etica.

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    "Bisogna essere disposti a dimenticare le precedenti parole, le precedenti spiegazioni e intenzioni e diventare uno specchio della realtà. Allora si rifletterà una luce che condurrà alla parola giusta."

    Questa tua asserzione, Cri, mi sembra un completamento.

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    Per chi uccide un uomo o una donna c'è la parola omicidio. Per chi uccide una donna per motivi sessuali hanno coniato questo orribile termine che mi rifiuto a pronunciare e a scrivere. Una volgarità insopportabile a mio avviso in quanto definizione, e tragica nei fatti.

    Un abbraccio
    Nou

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    1. Anche a me il termine femminicidio non piace, per un sacco di motivi, e principalmente perché la sento una "finta" e pertanto negativa semplificazione negazionista di quello che invece, magari nelle migliori intenzioni di tanti - e pure di molte donne impegnate in sacrosante rivendicazioni di rispetto e tutela delle loro più deboli ed esposte "sorelle" - vorrebbe mostrare di voler rimarcare e denunciare, con quel suo sconcertante derubricare la donna da essere umano a "specie" minacciata (e, sia pure con altre sfumature ed intensità, mi suscita un disagio che si apparenta a questo anche la "festa della donna" dell'otto marzo).

      In quanto agli splendidi versi della Dickinson: io credo nella forza generatrice e creatrice della parola, che mentre si spegne sulle labbra di chi l'ha pronunciata inizia il suo viaggio terreno come il Verbo che si fa carne. Per questo mi pare così importante che sia "definente", per quanto possibile, la realtà, o meglio (poiché la realtà "oggettiva" non è dato sperimentare nella nostra limitata condizione), la percezione di essa che più favorisce l'equilibrio nella mia verità esistenziale in armonico rapporto con l'esistente al di fuori di noi. Per animali senzienti quali noi esseri umani siamo, pensare parole e vivere è tutt'uno. E più i due processi coincidono, assottigliando lo spazio di divergenza, più ci si avvicina, forse alla felicità, sicuramente alla serenità e al benessere...

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    1. Ecco, Dan, io aspiro ad arrivare alla tua sintesi. E non sto scherzando (anche se detta da me davvero pare una boutade) :)

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  5. Certo che sono importanti, sia quando dicono di più sia quando non bastano. Ho provato a dirlo nei commenti al mio post di capodanno ;-)

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    1. E' verissimo: le parole incidono sulla realtà. Non solo la definiscono, spesso la anticipano, o la tramutano concettualmente in altro. Ogni parola produce effetti :)

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    1. Eh, Tazza, sono riflessioni di cui sei responsabile anche tu in qualità di detentrice del copyright del termine oggi al top del mio vocabolario (formidabile spinta propulsiva a cambiare prospettiva, e dunque a "guarire"), che va gradatamente ma incisivamente diffondendosi tra amici e conoscenti al punto di indurmi a prevedere che diverrà di uso comune e di pubblico dominio (e a quel punto magari ti pagherò le royalties). Non ti ho mai ringraziato per questo, ne approfitto per farlo ora: vedi che effetto di chiarezza, comprensione e dominio sulla realtà importante può avere coniare una parola nuova, se è la parola giusta? ;) )

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  7. E' forse un estratto da un libro di Henninger.
    Vedo la parola da un altro punto di vista. E' importante perché può far male tanto da ucciderti.

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    1. Ed eccomi arrivata al commento più difficile :)
      Allora: sì, è lui. E' la figura di riferimento (in mezzo ad una formazione molto complessa e ricca delle più disparate esperienze) del mio terapeuta, per cui a Natale, visto che di psicologia ho letto un minestrone di un po' di tutto, da Freud a Lowen, da Jung alla Miller, da Hillman a Bettelheim, mi sono regalata anche un libro suo. Da buon prete spretato ha un approccio re-ligioso alla sofferenza psichica; da buon tedesco un linguaggio spiccio, privo di fronzoli e infiocchettamenti, che tende ad andare al sodo, il che per me che sono barocca è sempre un bene :)
      E quasi subito ho trovato questo brano, e mi è parso molto rispondente alle mie attuali esigenze di "pulizia" mentale, nell'orizzonte di una concentrazione, un "auto-centramento" interiore che sento indispensabile alla sopravvivenza :)
      E' un bisogno che ho da sempre, obbligata come sono da quando sono nata a parlare prima ancora di agire, costretta dalla costante sollecitazione di una madre cieca e drammaticamente apprensiva a spiegare ogni dettaglio di ogni cosa, dal vestito che andavamo a comprare all'ampiezza della porta sotto la quale stavamo passando, dalla sequenza dei gesti che stavo compiendo nel giocare con la bambola all'entità del danno che avevo provocato al tavolo del salotto con l'esserci andata a sbattere contro col triciclo. I silenzi non erano ammessi a casa mia. Se tacevo, mia madre mi chiedeva subito: "che stai facendo?" e allora dovevo ripigliare a parlare. Dovevo continuamente descrivere e narrare, descrivere e narrare...
      Forse per questo, poi, sono stata sedotta sempre in primis dalle parole che dalle persone in carne ed ossa. Da quello che mi portavano sulle ali delle parole, invece che dai loro atti concreti. E anch'io mi sono sempre raccontata la vita prima ancora, e spesso invece, di viverla.
      La parola può ucciderti, oh, e come. La storia, universale e personale, degli uomini, ne è piena di esempi. La parola non è mai "neutra", asettica: essa si imprime nell'anima di chi la pronuncia e di chi la ascolta. "Benedire", "maledire", non sono solo astrazioni. Per questo è importante. Per questo è altrettanto importante, essenziale, ricerca un'etica della comunicazione, e un'igiene del pensiero.
      Perché la parola può ucciderti anche quando apparentemente è benevola. Anche quando è seduttiva, attraente, irresistibile. Quando pare aprirti il cuore, riempirti di emozione.
      A me è successo di morire, quasi, per aver dato credito a parole bellissime, piene di pathos e di intensità, ricche, elaborate, gorgoglianti come un oceano di vita, quando ho scoperto che erano solo parole, senza nessuna attinenza con la realtà. Chi le ha pronunciate l'ha fatto con fluente, verbosa leggerezza, inondandomene, dandomele a bere, anzi, a mangiare, fino a scoppiare. Ne ho fatta una tale scorpacciata che ne sono nauseata, credo, per la vita, grazie al cielo. E ora sto facendo un cammino di recupero :)
      Nell'ambito della psicoterapia, poi, la narrazione è il fulcro del rapporto tra il terapeuta e il paziente. Quest'ultimo non sta vivendo la sua sofferenza, essa appartiene al suo vissuto passato, fosse anche quello di dieci minuti prima di entrare in seduta. Lui ne fa narrazione. Che non è oggettiva, nemmeno nella sua soggettività. Che è influenzata dai rimossi, dai lapsus, dall'emozione del momento, da una miriade infinita di micro variabili che la condizionano, rendendola realtà "diversa" dall'altra, primigenia realtà da cui deriva.
      Alla fine solo la parola ci resta. E' questa con cui dobbiamo fare i conti. Una parola uccide, un'altra parola salva.
      E con questo ti saluto e vado in terapia. Edoardo mi aspetta ;)

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  8. Concordo sia col tuo titolo che con la citazione di Nou! :)

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