giovedì 13 giugno 2013

Old and wise

Anvedi, ecco, Marino, il mio nuovo sindaco, ha moglie e persino una figlia, e io che avevo arguito fosse un bel zitello, vedendolo sempre accompagnato dalla mamma. La quale risulta nelle note biografiche di wikipedia essere svizzera; ciò che secondo me spiega, in parte, il carattere - non così tipico alle nostre latitudini - fermo, volitivo, determinato, coerente sino all'intransigenza con la propria etica, del figlio. 
Invece il suo aplomb, la signorilità un poco dandy, quel fare cortese, semplice ma suadente che talvolta fa balenare dietro l'apparente bonomia del suo sguardo d'acciaio sapidi guizzi di un sarcasmo graffiante, probabilmente gli derivano dalla sicilianità del padre.
Lui, poi, è nato a Genova. Non so quanto ci abbia vissuto, forse gli anni dell'infanzia e dell'adolescenza, visto che da universitario stava già a Roma, per laurearsi in medicina alla Cattolica Agostino Gemelli; ma certo degli schivi e sobri autoctoni di quella città ha assorbito caratteristiche per la maggior parte diametralmente opposte a quelle di Grillo.
Un bel mix, comunque, per un uomo d'ingegno brillante, d'indole forte e di nervi evidentemente molto saldi, che si appresta, non si sa con quanta competenza da spendere, a governare una delle città più ingestibili del mondo.
(A me, per esempio, già il suo tanto strombazzato annuncio che chiuderà Via dei Fori Imperiali al traffico ha fatto incazzare, anche perché oltretutto non mi pare un provvedimento prioritario. Questo per dire che non ho particolari aspettative - che non siano quelle elementari, minime, per considerarlo un amministratore onesto, e venendo dopo la gestione appena conclusa ci vuol proprio poco - o pregiudizi verso di lui, né in negativo né in positivo.)
Berlusconi, asserendo (in verità con poca passione) che non fosse un credibile candidato sindaco perché, a differenza dell'ingegnere delle biomasse - titolo che gli ho appena scoperto in seguito alla sua dichiarazione "andrò a rispolverare la mia laurea", stupefatta per la laurea e in surplus per l'ingegneria, ma non per l'interesse alle biomasse - Giovanni Alemanno (peraltro nato a Bari), "non è romano", ha mostrato al mondo ulteriori squarci dei suoi abissi di ignoranza, sia in merito alle qualità necessarie per l'amministrazione della cosa pubblica, sia specificamente riguardo a Roma, coacervo di culture e di origini sin dalla sua fondazione, mica paesetto all'ombra del campanile chiuso nell'angusto orizzonte delle sue tradizioni folkloristiche e dei suoi micro egoismi come, per dire, certi centri del trevigiano o del varesotto.
E dunque: come mi sento oggi, da romana finalmente liberata dall'insostenibile degradazione causata dal più sfacciato malaffare coniugato alla più tragica inadeguatezza nel catastrofico operato del penoso fascistello strabico nella maniera più supremamente sconcia che la storia ricordi?
Boh, moderatamente bene.
Essendomi preparata al peggio, non mi sono esaltata oltre misura per il meglio.
Non sono proprio più la pasionaria di una volta. Dieci anni fa, o anche solo sette, o anche solo cinque, per un avvenimento simile avrei stappato bottiglie di champagne, fatto caroselli per le strade, pianto di felicità.
Invece oggi l'entusiasmo è temperato dalla sensazione che tutto sia avvenuto non già per una resipiscenza dei miei concittadini - o connazionali, visti i risultati dei ballottaggi da Nord a Sud -, ma per mera consunzione dell'apparato di potere messo su da Berlusconi e sodali. Usurati dai mille scandali, dall'immagine della totale mancanza di decoro, dall'assoluta negazione di dialettica democratica, dalla macroscopica inidoneità e indifferenza alla gestione dei problemi del paese, alla lunga si sono sfilacciati anche i saldissimi legami coll'elettorato di liberi professionisti, piccoli imprenditori, industriali, adesso pure investiti anche loro dall'onda lunga della crisi, per troppo tempo negata e celata dietro posticce allegrie da paese del bengodi dove tutto va ben, madama la marchesa, quinte sceniche che alla fine sono cadute rivelando il baratro, sepolcri imbiancati che si sono spalancati, facendo emergere lezzo e putritudine. E poi alla lunga tutto stanca: la volgarità, l'insulto, il becerume, la sfacciataggine, ora che poi ci arrivano da più fronti, cominciano a stufare la gente, smettono di essere di moda, stuccano, non divertono più. Ci sono molte spie di questo fisiologico cambio di rotta, nei dibattiti TV, negli psicodrammi che martoriano il Movimento Cinque Stelle. E forse, chissà, è arrivato il momento di un nuovo Rinascimento, se non di sostanza, almeno di forma, nell'affermazione del galateo, della pacatezza, dell'educazione, dei buoni studi e buone letture, della dialettica un po' noiosa e soporifera di un Letta o di un Marino, che quieta, distende i nervi scossi, fa ripigliare fiato, dopo anni di cappi e mortadelle sventolati in Parlamento, facce di tolla del Cavaliere lider maximo, grugniti preistorici di Bossi, Borghezio o di Calderoli, provocazioni alla Feltri o Belpietro, gutturalismi gasparriani, irrisioni luciferine alla La Russa, diti medi di Santanché, e, per non risparmiare l'opposto fronte, sgrammaticature dipietresche venate di populismo, rotacismi bertinottiani o scempiaggini pupo-pieraccionesche di Renzi (del quale, visto il cambio di trend, spero presto declinino le fortune).
A proposito di Letta, egli è stato perculato da tutti per aver detto che il voto di queste amministrative rafforza il governo delle larghe intese. Certo, più o meno siamo dalle parti della battuta del genio burlone su twitter che vuole Berlusconi contentone perché, se pure lui ha perso ovunque, in compenso ovunque ha vinto il PD, suo alleato. In verità qui c'è poco da rafforzare o indebolire. In Parlamento c'è una maggioranza formata da due partiti che alle amministrative hanno corso in antagonismo perfetto, e all'opposizione ci sono due forze, la Lega e SeL, che alle amministrative hanno corso alleate, una ciascuna, delle due forze di maggioranza: un guazzabuglio. Io però mi sentirei di dire semmai il contrario, e cioè che il governo di larghe intese non ha danneggiato Letta, inteso come esponente del PD. Insomma, l'elettore del centro sinistra, di solito assai poco incline all'indulgenza con i suoi politici di riferimento, non ha evidentemente considerato l'attuale vituperato inciucio come l'ennesimo peccato imperdonabile da far scontare ai "suoi" ritirando la sua adesione nell'urna.
E a questo punto, fatta salva la solfa delle amministrative che non son politiche, del radicamento sul territorio e quant'altro, resta il fatto che Berlusconi ha toccato con mano la raggiunta volatilità del consenso popolare. E non può più crogiolarsi sugli allori dei sondaggi favorevoli in caso di scioglimento anticipato delle Camere. Senza contare che il marasma grillesco può pigliare direzioni imprevedibili, e nemmeno la Madonna può profetizzare l'impossibilità di un ricambio di maggioranza con pezzi di M5S e SeL e PD se il PdL, sfilandosi, dovesse far cadere il governo Letta.
In quanto all'astensionismo, io penso che anche il non voto è un voto. Tanto più in un sistema maggioritario. Ossia, è l'espressione di una volontà elettorale consapevole delle conseguenze di essa. Quando io, per non riuscire a votare la Bonino, annullai la scheda delle regionali 2010 scrivendoci sopra "Vendola", sapevo di star sottraendo un voto al centro sinistra, regalando così un vantaggio al centro destra. E avevo messo in conto che nella vittoria della Polverini (che io davo, se non per certa, almeno per alquanto probabile) io avrei avuto la mia parte di responsabilità. Ma all'epoca pensai "mai si rompe, mai s'aggiusta". E poi, mi perdonino i suoi estimatori, io la Bonino, per quanti sforzi faccia, non riesco proprio a mandarla giù.
Insomma, voglio significare che i cittadini romani, se fossero proprio stati pregiudizialmente contrari a Marino, avrebbero fatto lo sforzo di andare al seggio e mettere la croce su Alemanno. Non averlo fatto fa ritenere che essi avessero messo in conto, con la loro diserzione, di favorire, nella migliore delle ipotesi, ambedue i candidati, e che avrebbero potuto ritrovarsi sindaco indifferentemente l'uno o l'altro. Poi in realtà si capiva bene che l'aria tirava molto più a favore di Marino, indipendentemente dai suoi meriti. Ma questo, con ogni evidenza, non è bastato ad indurre i suoi oppositori ad andare a sostenere il sindaco uscente. E allora vuol dire che, se pure non erano entusiasti dell'ancora illustre sconosciuto Marino, lo erano ancora di meno di Alemanno, di cui avevano sperimentato cinque anni di operato. Più chiaro di così!
Sic stantibus rebus, io credo che, in ogni modo, stavolta abbiano vinto le forze del bene: che sia stata, questa vittoria, una vittoria della democrazia, della volontà di cambiare passo, della necessità di chiudere un folle ciclo di demagogia e populismo che ha stremato il paese. Magari verrò smentita di qui a un mese. Ma in fondo questa imprevedibilità non è un male: nessuno, nemmeno Berlusconi, può più essere sicuro di nulla. Il che, anzi, direi che è proprio un bene.
Il vantaggio di aspettarsi di tutto è che ti riempi di fiducia. Possono capitare catastrofi come possono accadere meraviglie. E le une e le altre sono destinate a finire, immerse nell'incessante variabile fluttuare delle cose della vita. E' una faccenda che, finché sei giovane, non comprendi, e allora ogni sconfitta è un assoluto che ti fa disperare, come ogni trionfo ti fa schizzare in cielo, destinandoti a dare una bella culata ricadendo, inevitabilmente.
Invece così sai che ogni sconfitta non è definitiva, perché domani potrebbe ribaltarsi in vittoria. Ma anche viceversa, e questo ti aiuta a restare coi piedi per terra, a circoscrivere, contestualizzare, dare contorno alle cose.
Dunque sono moderatamente soddisfatta, moderatamente ottimista e soprattutto serena.
Vado al cinema, guardo una commedia francese rutilante di romanticismo, colori pastello, amore per il cinema, e scopro che riesco a godermela come quando ero ragazza, con lo stesso calore nel petto.
Poi vado al Campidoglio, e lo scopro immutabile, da ieri ad oggi, nelle losanghe del pavimento michelangiolesco, nella statua equestre di Marco Aurelio che adesso è una copia ma nei turisti continua a creare l'illusione perfetta di quella ora custodita nel Palazzo dei Conservatori perché quello che conta non è l'oggetto, ma la sua funzione simbolica, il miraggio di magia che evoca, i cinque anni dell'era del sindaco più imbarazzante della sua storia passati come un soffio e già assorbiti, inglobati, digeriti.
Poi la mattina dopo vado in ufficio, e davanti all'ennesima meschineria provocatoria del capo, che fino a qualche tempo fa mi avrebbe mandato il sangue alla testa, mi sento così divertita, e così fiera di averla saputa supporre, e così contenta che lui non mi abbia smentito, che mi viene voglia di andare a schioccargli un bacio in fronte (anche lui, come Alemanno, è più basso di me) ed esclamargli con gratitudine: non mi hai deluso!
Non lo faccio, ma questo mi cambia tutta la giornata. Come Roma ho traversato deserti di abomini uscendone senza un granello di polvere addosso, serafica, intangibile.
E ho scoperto che, come Roma, posso diventare vecchia e saggia senza perdere la giovinezza e la bellezza. Alé.

(Edit: leggo ora che "Veltroni lancia Renzi a segretario". Cavoli, i miei auspici allora si avverano prima del previsto!)

10 commenti:

  1. Dopo aver letto questo 'manifesto' ti consiglio di accettare gli inviti di ballarò, otto e mezzo, in mezz'ora, piazza pulita e servizio pubblico, anche gratis.
    I loro rispettivi indici d'ascolto salirebbero alle stelle.
    Buona fortuna.

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  2. Godeteveli questi giorni, come noi a Milano ce li siamo goduti con Pisapia.

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    1. Giorni sospesi, lievi, spensierati. Grazie.
      Quelli di Pisapia me li ricordo persino io che stavo a Roma :)

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  3. Già, quello che conta è essere consapevoli.
    E poi voto per la proposta del monticiano.

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    1. :D
      (Come si sta bene consapevoli! Comodi e caldi. E' come avere un guanto che ti calza alla perfezione, un vestito che ti cala a pennello.)

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  4. E poi dicono che io sono lungo. Tornerò con calma.

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  5. roma è il centro del mondo, da qui puoi scendere nell'ade o salire sull'olimpo.
    per me la questione è che tra un calcio nel culo e un calcio nelle palle devi sperare nel calcio in culo, primo perché fa meno male, secondo perché magari puoi diventare (senza merito alcuno) anche un dirigente ben pagato o chissà cos'altro.

    adoro il paragrafo della statua equestre di Marco Aurelio.

    Invece per quanto riguarda il tuo capo, ricorda cri, su certa gente puoi fare sempre affidamento :)
    fortunatamente ci sono loro che ci fanno capire la differenza tra le persone.

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    1. No, grazie, calci in culo no: di culate ne ho prese già abbastanza, e non ho più il culo sodo di una volta ;)
      E adoro il paragrafo dell'affidamento su certa gente :D
      :*

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