mercoledì 8 giugno 2011

Infinita letizia della mente candida

Ogni tanto, quando mi costringono ad abbandonare l'angoletto accanto al focolare, io, spaurito ed accidioso animaletto da cuccia, sono anche capace di apprezzarle, certe sporadiche sortite all'esterno.

Ieri sera è stata una di quelle circostanze. Avevo avuto una giornata emotivamente pesante, e non mi è dispiaciuto ritrovarmi, verso mezzanotte, all'aperto, ad attraversare una fettina sudorientale di Roma in compagnia di due bei autentici diciassettenni.

L'aria pulita e fredda della notte, la quiete sfatta delle strade finalmente deserte, l'evidente tripudio della mia pandina scassata lanciatasi festosa per la via come un cavallino sbizzarrito con la lingua di fuori, hanno stimolato in noi tre, e tra noi tre, un'affettiva circolazione e condivisione di meditazioni filosofiche, anche in assenza di supporto di bevute o fumate preventive.

Così non avevamo ancora coperto metà percorso che già io e uno dei due diciassettenni, l'adorabile cagacazzi amico di mio figlio, litigavamo di brutto.

Partiti dalla critica al divertimento di Pascal, si è finiti a fare a capelli sul concetto di (guarda tu) frustrazione. Io, sostenendo la bontà del pensiero pascaliano circa il fatto che gli uomini vogliono distrarsi per non pensare alla morte (pur senza condividere l'accezione negativa di tale enunciato, e la conseguente conclusione della primazia divina) son giunta a dire che la vita è un'esperienza di continue frustrazioni - biologiche, psicologiche e sociali -, ossia di costanti scostamenti tra il desiderio e l'effettiva realizzazione del desiderio, cagionati dalla finitezza dell'essere umano; e che anzi la vita medesima nasce e progredisce, psichicamente ed intellettualmente, dalla tensione tra le frustrazioni e le risposte del soggetto, in un continuo gioco di riverberi e rimandi che rende ogni individuo unico e determinato proprio dalle sue specifiche frustrazioni, e dalle sue conseguenti specifiche reazioni, le quali innescano altre frustrazioni, e così via; e per corroborare le mie affermazioni ho citato situazioni personali anche recenti in cui mi sono trovata a dover fare i conti con fattori di piacere simultaneamente rivelatisi nell'anima mia, in tutta la loro gloriosa ambivalenza, anche di frustrazione. Lui (con quella sua tenera e innocente presunzione che io conosco tanto bene e che me lo fa amare e detestare allo stesso tempo), sentendosi forte, oltre che della sua gioventù, pure, per la metà di sangue olandese che gli scorre nelle vene, di una presunta osmosi con Spinoza ed Erasmo da Rotterdam, mi ha ribattuto col dito alzato che ciò che stavo dicendo, e per estensione pure quanto diceva Pascal, era quanto mai confutabile in quanto all'umana esistenza non è affatto preclusa la possibilità di una piena e perfetta felicità perché, se c'è gente palesemente frustrata in quasi ogni frangente della sua vita, ce n'è altrettanta che non soffre frustrazioni di sorta; e che se io volevo ascrivermi alla prima categoria, ebbene, avevo sotto gli occhi in carne ed ossa un insigne rappresentante della seconda, nella persona di colui che giustappunto mi stava parlando. Io mi sono fatta una risata, e poi gli ho citato episodi di cui egli era stato protagonista che contraddicevano le sue asserzioni; lui ha replicato appassionatamente a quel mio tentativo di prendere terreno; e il battibecco via via s'è animato, le voci si sono alzate e sovrapposte, finché, per buona sorte, dopo esser arrivati a sparare nomi a caso - lui Cartesio, io Lacan -, siamo arrivati anche al civico di casa sua.

Il diciassettenne rimasto in macchina ha guardato sospirando l'amico che entrava nel portone, ancora concionante, con quel suo bel timbro di baritono che gli vale una distinta permanenza nel coro della scuola, e poi si è girato verso di me.

"Mamma, io non so come ti va di dargli corda così, ché lo sai com'è fatto. Che poi, tra te e lui, non vi si può sentire, per come argomentate alla cazzo di cane."

"Sì, scusami, lo so che poi ti fa innervosire fino al punto che ci litighi. E' che oggi sono agitata."

Silenzio fino al semaforo di Via Tuscolana. Rosso. Mi sento bene, adesso, finalmente. Poi mio figlio non pare arrabbiato, mi ha parlato pacato. Così mi viene di continuare la conversazione.

Verde. Passo. Giro a sinistra con disinvoltura.

"Vabbè, dai, non mi pare di aver detto cose assurde sulla frustrazione. Io poi ne faccio esperienza di continuo, tu sai come sono fatta, i miei problemi li conosci."

"Sì che li conosco."

"E sai che non mi godo niente delle cose divertenti della mia vita per pensare al senso di frustrazione che inevitabilmente so già che seguirà. Oltre al senso di colpa perché sottraggo tempo e pensieri alla mia famiglia... "

Lui si fa una risatina sommessa, dolce, indulgente. Non l'ho mai sentita prima.

"Senti, mamma, non preoccuparti, a me non importa di quello che fai. Ho quasi diciott'anni, la mia vita non dipende dalla tua. Stai tranquilla. Per me puoi fare tutto quello che ti fa piacere fare."

(Respiro di conforto, un po' commossa. Pure la macchinetta è sollevata, e imbocca agile e veloce il grande ponte che sale davanti a noi.)

"Però ora ti voglio dire una cosa che sembra una cattiveria, ma io non te la dico per quello."

"No, no, dì pure, lo so."

"Farsi gli amici è come imparare il latino: se non l'hai mai fatto prima dei vent'anni, dopo non ci riesci più."

6 commenti:

  1. Ahahahaha! Per la verità mi paoino abbastanza categoriche entrambe le posizioni, comunque bel match!
    Per quello che riguarda l'amicizia direi che è prematuro dire prima dei vent'anni cosa succederà dopo... :P :D

    RispondiElimina
  2. Eheh, vero. So' mangusta, io! ^^

    (Per quanto riguarda l'amicizia, vedremo che succederà quando li avrò compiuti, questi vent'anni... :D)

    :*

    RispondiElimina
  3. posizioni categoriche, le due e pure quella del figliolo

    ché poi a suonare la chitarra o imparare il latino si fa in tempo tutta la vita

    RispondiElimina
  4. Bello sapere di poter ancora sperare di imparare a suonare la chitarra ^ ^

    RispondiElimina
  5. Su codesto, caro Volpe, ho i miei dubbi: io a suonar la chitarra sono un disastro certificato (e ci ho provato prima dei 20). :D

    RispondiElimina
  6. Io ho imparato a suonare la chitarra a 30 anni. Infatti suono da far cagare :D

    RispondiElimina