giovedì 4 ottobre 2012

Felicità tà tà

Ti ricordi, Cri? Di quando a cinque anni fosti spedita in prima elementare?
La classe, le compagne collegiali in divisa, i brutti grembiuli di nailon verde bottiglia, quei banchi neri, antichi, con il buco per il calamaio, troppo alti per una bambina tanto piccola. Suor Maria Rosaria, severa, brusca e distaccata come un sergente maggiore, ma rassicurante nella sua mancanza di tenerezza che ti risparmiava vischiosità emotive. L'indipendenza di sentirti lì una persona, un minuscolo individuo compiuto e autonomo. La meraviglia, la sorpresa, le scoperte. Il sillabario, le letterine da staccare, e da pescare nel grande sacco di riserva al centro dell'aula quando ti erano finite...
E quelle più usate di cui tutte facevano costantemente incetta, e per questo scarseggiavano, e allora tu eri costretta ad alzarti in continuazione e passare mezze mattinate immersa a testa in giù nel mare di cartoncini a rovistare, rivoltare tutti quei quadratini bianchi come chi cerca un ago in un pagliaio, borbottando.
"La mutolina, dov'è la mutolina? Uff, questa mutolina che va dappertutto, serve sempre e non si trova mai!"

E ti ricordi la tua erre moscia? Ti ci pigliavano in giro parenti e amici di famiglia da quando avevi cominciato a parlare. E tu, gran chiacchierona, ti ci irritavi e demoralizzavi, ma non riuscendo ad azzittirti mai non eri nemmeno in grado di sottrarti a quel gioco dove fungevi da zimbello.
"Cri, dai, diccelo ancora: giardino zoologico"
"GiaVdino zoologico"
"Ahahahahah!"
"GiaVdino, giaVdino, giaVdino!"
"Muahahahahah. Rrrosa, rrruota, rrrosso"
"Vvvosa, Vvvuota, Vvvosso!"
"Ihihihih. Dai, non ti dare per vinta, riprova!"
"Viprovo? Vvvvvvosa!..."
E giù risate.

Il dispetto e l'avvilimento per questo tuo difetto si era acuito a dismisura quando avevi dovuto cominciare a compitare il tuo nome e cognome gonfi di erre in classe, davanti a tutti.
"MaVia CVistina VecchiaVelli" avevi sbuffato, rossa in faccia per lo sforzo e la vergogna.

Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. E finalmente eri esplosa. Decidendo di risolvere il problema una volta per tutte.

"Perdindirindina" pensasti, perché nella tua mente la erre era sonora e perfetta "se gli altri sanno dire la erre posso farlo anch'io. Che sarà mai? Ci dev'essere un segreto, qualcosa che sbaglio. Voglio capire cosa"

Passasti così all'azione.

La prima operazione fu darsi ad una attenta e insistita osservazione dei movimenti facciali delle tue compagne mentre pronunciavano le parole incriminate. Scopristi così in breve che la criticità si annidava in una differenza di impostazione della lingua: mentre tu la appoggiavi all'arcata superiore dei dentini (ancora da latte), loro invece la ponevano a vibrare all'inizio del palato.

Il passaggio successivo fu sperimentare nella pratica ciò che avevi visto.

E come una logopedista consumata cominciasti di slancio tentativi di autocorrezione, badando bene a posizionare in modo ortodosso quel tuo piccolo e vivacissimo organo fonetico.

Ci riuscisti quasi al primo colpo.

Così, un pomeriggio di ottobre, tornasti a casa da scuola cresciuta di una spanna, fierissima, giubilante di felicità, e ti piazzasti davanti a tua madre per il tuo momento di gloria.

"Mamma, senti: GiaRRRRRdino zoologico! RRRosa, RRRuota, RRRosso! MaRia CRistina!!!!"

Persino tua madre strabiliò. Venne chiamata tua nonna, e strabiliò anche lei. E per una settimanella parenti ed amici dovettero ascoltare, come pena del contrappasso per i loro pregressi sbeffeggiamenti, schiocchi argentini, assordanti e prolungati, di rotonde e perfette erre ad ogni piè sospinto.

Passata la prima settimana di euforia, ti venne nostalgia della tua vecchia erre blesa. E una certa inquietudine nell'averla persa. Questa nuova Cri, diversa da quella di prima, un po' sconosciuta a se stessa, ti turbava.

Perciò tentasti di recuperarla. Che ci voleva? Non dovevi far altro che tornare indietro, rimettere la lingua al posto di prima e ripigliarti il tuo vecchio difetto di pronuncia. Era una cosa che potevi controllare, pronunciare la erre così o cosà. Questo pensiero ti rassicurò subito. E cominciasti a provare a far fare alla bocca il movimento di prima, a ritroso.

Solo che, per quanto ti sforzassi, non ci riuscivi più. Avevi compiuto un passo che pareva irreversibile. La Cri piccina era cresciuta, non poteva più decrescere.

"Mi piacevo di più prima" ti lamentasti, spaurita. Ma poi anche questo piccolo malessere passò. Rimase la tua bella erre sonora, testimonianza di una tua piccola grande impresa andata a buon fine senza l'aiuto di nessuno, solo con la forza, la capacità e la tenacia di una bambina di cinque anni.

Ora è uguale ad allora. Quello che hai capito ieri, quasi folgorata, il decisivo passo avanti che hai compiuto, è irreversibile. Non si può e non si deve fare retromarcia. Il velo che sei riuscita a toglierti dal viso non potrai più riappiccicartelo. Ancorarti a nostalgie, a vagheggiati rimpianti di affetto per un difetto non ti serve, è un tiro mancino, un dispetto che ti fa la tua mente. Non aver paura di essere cresciuta, e vai sfoggiando per il mondo a testa alta la felicità e la fierezza che ti senti dentro: la rotonda e sonora erre di "libertà".









23 commenti:

  1. Insicura sul commentare. Vederti felice mi fa contenta, però... quella "R" moscia era bella, eri tu.
    Io ho passato una vita a cercare di correggere cose che ero e che non andavano bene agli altri. C'era sempre qualcosa che non andava, perché in realtà ero io che non accettavo quello che ero. Le mie erre mosce.
    Adesso me le tengo tutte. So che non piacerò a molta gente con le mie peculiarità, ma tanto era così anche prima.
    E poi io sono una guastafeste, sai che alla felicità non credo :)
    Però spero che tu abbia ragggiunto una serenità di fondo. Un "centro di gravità permanente".
    Io ci dovrò lavorare ancora un po' tanto. Spiegami come hai fatto ;)
    Abbracci forti.

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    1. Dunque: io ero piccolissima, ma ricordo distintamente di non aver voluto "correggere" la mia erre moscia per essere accettata dagli altri. Che non era affatto quella la mia - fortissima - motivazione.
      Me lo ricordo proprio perché di norma era questa la mia modalità di comportamento. Dunque percepivo la differenza in maniera molto netta.
      La vissi, all'epoca, proprio come una sfida. Un'emancipazione. L'acquisizione di una competenza.
      Tieni conto che avevo una sorellina minore nata l'anno prima, e questa peculiarità mi rendeva, ai miei occhi, incapace e "piccola" come lei. E questo, probabilmente, era il messaggio che mi passavano gli adulti: i quali non solo ridevano, ma sorridevano vezzeggiando con edulcorata tenerezza l'erre blesa di una Cri di cinque anni che in tal modo rimettevano "al suo posto" di infante, quando in molte altre circostanze della vita le richiedevano invece ingiustificate, terribilmente premature, egoistiche prove di maturità.
      Io ero una bambina a cui era stato negato di poter essere tale. E venivo usata a piacimento degli adulti, che, secondo i loro esclusivi bisogni, ora mi chiedevano di essere più grande, ora più piccola della mia effettiva età. Mai degnandosi di vedermi, di trattarmi, per quella che davvero ero, in maniera adeguata, armonica, rispettosa del mio sviluppo.
      Per questo i miei aguzzini, per svagarsi un po', non disdegnavano ogni tanto di trattarmi da pupattola, e di sdilinquirsi davanti al mio difetto di pronuncia, che in certo modo tacitava la loro coscienza sporca. E io ero abbastanza sana da cercare di non consentir loro di spadroneggiare sulla mia pelle, di spezzare quante più dinamiche riuscivo, di ripigliarmi tutto quel che di mio riuscivo a ripigliarmi, con le forze e le capacità minime di una bambina.
      Per cui tante cose terribili non ho potuto evitarmele, e ho dovuto assoggettarmi. Ne andava della mia vita. Ma la erre moscia, quella sì, potevo evitarmela. E, almeno in quello, la mia vita me la sono ripresa.
      E quando, dopo esser stata in grado di affrancarmi, di sottrarmi almeno in quella piccola cosa al loro perverso divertimento, ho provato, per lo spazio di un breve pomeriggio perché poi in effetti non ci ho pensato più, nostalgia per il mio microscopico problema risolto, ebbene, quella era la spia del mio malessere.
      Ero già una bambina masochista. Che non era amata, non era vista. E allora rimpiangevo persino un'attenzione morbosa, cattiva, umiliante, perché era meglio quella che niente.
      Meglio quella che niente.
      Straziante, vero? Per fortuna, sul serio, durò davvero solo poche ore, a quanto mi ricordi, quella tentazione di regredire, e poi me ne dimenticai. La gioia di aver ottenuto una vittoria fu più potente delle mie resistenze psichiche.
      Si vede che davvero dentro di me c'è una forza buona, positiva, che mi tira sempre fuori per il rotto della cuffia dal pozzo nero dell'autodistruzione.
      Credo che per questo io non sia stata capace di ripigliarmi la mia erre moscia. Perché dentro di me c'era un'ambivalenza. La mia parte malata agognava tornare alla familiare sofferenza, che - orrore - le dava conforto e sicurezza. Ma la mia parte sana non voleva, e boicottò quel proposito.
      Vincendo.
      Da allora in poi mi sono sempre salvata così.
      Anche stavolta, credo. Difatti a seguito di quello che dentro di me è maturato e sbocciato da ieri mattina a ieri sera mi è tornato in mente, prepotentemente, del tutto incongruamente, proprio questo episodio qui.
      (segue)

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    2. Che mi è successo ieri? Nulla, in realtà. Niente di eclatante.
      Semplicemente, come quando si smette di opporsi alle contrazioni e invece di provare dolore si sente uscire il bambino, così io ho smesso - non per atto di volontà, per istinto, proprio - di oppormi alla mia sofferenza. E improvvisamente ho capito. Dove non sono bastati mesi di rovelli, di discussioni, di pianti e stridor di denti, ha potuto un solo insignificante dettaglio.
      Che ha aperto una crepa nella diga.
      Ci metterò tanto tempo per svuotarla, questa diga, eh. Mica sono arrivata ancora da nessuna parte, sia chiaro.
      Però il processo è iniziato, lo sento. E mi batte il cuore di esaltazione, di speranza. Che non è un'illusione, perché stavolta non si appoggia su nessuno, tranne che su me stessa.
      Sta nelle mie mani. E' in mio potere. E non più in potere di alcun altro.

      Non so se sarà un centro di gravità permanente. E alla felicità non credo neanch'io. Ossia, non credo alla felicità perenne.
      Ma che nella vita esistano momenti di felicità per cui vale tutto il resto della giostra, sì, a quello ci credo.
      A gennaio ho fatto un post sulla felicità raggiunta. Questa è di tipo alquanto diverso.
      Quella nasceva da una dipendenza. Aveva bisogno di un'altra persona per risuonarmi dentro.
      Questa invece nasce dalla mia libertà. Nasce dal sentirmi integra, rotonda, perfetta, a posto.
      Come la mia bellissima erre.

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    3. (Ti abbraccio anch'io, Martina! Con altrettanta forza. Con tutta la forza che oggi mi sento dentro)

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  2. Io penso che se si cambia, non per gli altri ma per noi stessi è sempre un cambiamento verso il meglio e il rimanere attaccati al passato e soprattutto a sofferenze passate solo perché ci erano familiari è un errore e basta. Se la "erre" moscia ti dava fastidio, ti faceva sentire emarginata lo sforzo che hai fatto è stato utile e così dicasi per tutti gli altri cambiamenti di opinione, di idee, di sentimenti. Succedono e basta perché è giunto il momento che succedano, non si può rimanere sempre uguali senza imparare nulla dell'esperienza e senza cambiare mai. Diceva qualcuno "Nel libero sviluppo della loro personalità le rondini fanno il nido uguale da millenni".

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    1. Oh, Angie. Non aggiungo altro, perché hai detto tutto tu. Ripeto solo quel che tu già sai: il mio grazie per avermi aiutata. Perché la strada la sto facendo io, a ginocchioni, sbucciandomi la pelle. Ma tu mi hai sostenuta e mi sostieni in questo cammino, mi porti acqua e cibo, mi asciughi il sudore dalla fronte.
      Sono una donna fortunata.
      <3

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  3. siamo sempre pronti a puntare il dito sui difetti altrui, forse sarà arroganza o insicurezza, ma mannarino canta:

    quanno un giudice punta er dito contro un
    povero fesso nella mano strigne artre tre dita
    che indicano se stesso.

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    1. Caro Endi :)
      Figurati farlo contro una bambina. Che poveri fessi, davvero.
      (Grandiosi versi. E Mannarino piace parecchio anche alla Angie qua sopra ^^)

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  4. Anche adesso finalmente hai ritrovato la felicità come quando da bambina dimostrasti con la tua volontà di riuscire a sistemare le parole con la " r ".

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    1. :D
      Sai cosa, Aldo? Allora ho ritrovato la erre. Oggi mi sento di aver ritrovato me stessa.

      :*

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  5. Beh qui a Parigi non sarebbe stato affatto un difetto la tua R moscia, ma soltanto un fonema della lingua.
    Eppoi chi se ne frega, adesso sei felice. E comunque è importante non dimenticare la propria "cocciuta" vitalità.
    Un abbraccio amica Cri.
    Pierrot

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    1. Hai tanto, tanto ragione, caro Pierrot.
      E l'importante, alla fine, è che ho cambiato prospettiva.
      Un abbraccio, con le erre come vogliamo.

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  6. Mah. Indubbiamente provare il senso pieno della libertà è una sorta di ubriacatura che ti sfinisce. Però è bello.

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    1. Bello, sì! E sono stata talmente sfinita che un po' di ubriacatura mi ha fatto l'effetto di un bicchiere di acqua fresca :D

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  7. Con la "erre" moscia ... o con la "erre" arrotata, cara e amata @Cri, quelle stesse stelle "che te bbrilleno lassùùùùùùù
    nun so' bbelle come l' occhi che cj hai Tuuuuuuuuu .... " ! :-)
    E mi/ti domando .... "There's a place more beautiful than your soul, where your eyes are twinkling as the stars above" ???
    Mi sei mancata .... carissima Amica, in questo mio lungo peregrinare nei miei luoghi dell' anima e della memoria, ma - partendo io domattina per il ritorno a Roma - m' è già piacevole ritrovarti "@Cri che più @Cri non si potrebbe" !!! :-))))
    @Bruno ....

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    1. *.*
      Caro Bruno! Mi sei mancato anche tu, cavaliereerrante che più errante non si può :D

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  8. Sempre qualcosa da "r"it"r"ova"r"e...c'è!!!
    Per fortuna.
    E finché c'è...siam vivi.
    Abbraccio.
    Macca

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    1. Oh, Sandra! Davvero, con una erre arrotatissima!
      Abbiamo trovato, ci siamo ritrovati. Siamo vivi! Non è una sensazione meravigliosa?
      Abbraccione!

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  9. Erremosciato perenne all'appello. Mi manca proprio, è come se la mia lingua non riuscisse a entrare proprio in vibrazione, se non con la testa poggiata sulla testiera del letto. Ho anche il setto nasale leggermente deviato. Solo che, a differenza del tuo caso, io sono già 19enne. Non ti immagini che figuracce, che derisioni e quanto rancore serbato nel tempo, sin da quando andavo all'asilo nido, per non parlare delle interrogazioni orali negli ultimi due anni di scuola superiore, dove mi facevano continuamente il verso per distrarmi (ero il tipico secchione). Sono quasi uscito pazzo per la gioia di non vedere più certa gente, dopo aver conseguito la maturità.

    Aggiungici anche che sin da piccolo sono stato una persona piuttosto introversa e timida, e allora hai davanti ai tuoi occhi colui che gli altri hanno pensato e sfottuto erremosciato e anche, a volte, un po' tardo, grazie a numerosi episodi legati in qualche modo a questo difetto e alla scarsa autostima che ha causato. Da piccolo ero anch'io molto loquace, ma adesso parlo quasi con la bocca chiusa e velocemente, e ho paura che sia un automatismo (con lo scopo di evitare che gli altri notino il mio difetto di pronuncia) causato dal fatto che da piccolo mi sfottevano molto spesso.

    Grazie a questo difetto, che di recente ho provato, senza però risultati, a correggere, un po' come hai fatto tu, ho imparato che nella vita certe persone, con particolarità che di certo non ne fanno grandi oratori alle orecchie e alle menti degli altri, sono destinate ad essere persone capaci di farsi valere prevalentemente tramite i fatti e non con le parole. Persone e non venditori di fumo.
    Quello che non ho ancora capito, veramente, è se sbaglio io nell'impostazione della lingua, non capendo dove diavolo si trovi l'inzio del palato e la sua posizione relativa all'arcata superiore dei denti, oppure ho proprio problemi al palato. La vibrante dovrebbe essere un automatismo, e se non riesco a metterlo in atto pur con la giusta tecnica c'è sicuramente qualche problema.

    Quanto vorrei poter parlare normalmente e in modo da essere capito da tutti e alla prima botta, senza spelling e prese in giro del cavolo. Soprattutto al telefono. E agli esami. E poi al lavoro.

    Giuseppe

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  10. Aggiungo una cosa: adesso che studio all'Università mi sto sentendo come un autobus che dopo un lunghissimo servizio ha finalmente il tempo per tabellare fuori servizio e rientrare in rimessa per farsi vedere dai meccanici per una profonda revisione.

    Questo per dire che adesso penso nonostante tutto il passato di aver molto più tempo per pensare a me stesso e cercare di risolvere questo mio difetto, da solo, e diventare finalmente adulto, se non lo sono già.
    Spero di riuscirci.

    Giuseppe

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    1. Caro Giuseppe che hai l'età di mio figlio, leggendo le tue riflessioni ho pensato che peggio della erre moscia c'è la zeppola, che invece a lungo ha afflitto mia sorella: e allora mi è venuto in mente Jovanotti, che zeppola allegramente. O Vendola, ancora di più. Lasciamo stare Silvio Muccino, che peraltro ha pure fatto allenamento dal logopedista per recuperare qualche consonante tra le varie che gli mancavano in bocca. E mi sono detta che evidentemente c'è gente che di queste peculiarità fa un punto di forza, di distinzione. Vendola, a parte che se gli stai davanti devi avere un ombrello, con la sua zeppola ci infiamma le platee. E concetti complessi e articolati acquistano ulteriore fascino così mal pronunciati. Se penso a lui che dice "massificazione" mi tremano le ginocchia, pensa.
      Io sono riuscita, forse, perché ero così piccola, e ancora dunque molto malleabile. Molto meno permeabile al giudizio della gente, molto più agguerrita di oggi. Oggi, forse, non ne sarei proprio stata in grado. E se mi faccio post del genere è proprio per pomparmi iniezioni di fiducia con questi ricordi di passato splendore perché invece oggi sono inibita, e pavida, e sfinita dal mio essere inibita e pavida, in modo pazzesco. Spesso mi sento prigioniera di un ostacolo invisibile: qualcosa che mi condiziona la vita e che non posso affrontare perché è inconsistente. Eppure è determinante.
      Il liceo è il momento più intenso della vita. Forse non sarà il più bello, ma è il più significativo. Andando avanti mi darai ragione. Però è vero che l'università è un bel cambio di pagina. Anche per mio figlio sta andando così.
      (Io pure parlo velocissima, e non si capisce niente. Solo che, diversamente da te, io urlo. Per cui supplisco così alla disattenzione altrui, è impossibile non farmi caso. Non potrei nascondermi manco se volessi...)
      Ti auguro di diventare adulto prima di me. Di cuore.
      In bocca al lupo. E in culo alla balena. E tutto, come vedi, senza erre.

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  11. Il fatto è che sono giunto a questo splendido post da Google effettuando le mie solite ricerche sull'argomento.

    A prescindere dal fatto che chiunque sia stato in passato caratterizzato da difetti di pronuncia sia poi eventualmente riuscito a guarirne (questa condizione va impostata perché altrimenti sarebbe invidia, che è un peccato capitale), il leggere di questa tua esperienza mi conforta notevolmente perché mi convince, al di là di quello che continuano a dirmi i miei amici più seri e i miei genitori, che non sono il solo ad aver dovuto affrontare situazioni critiche per via di un qualcosa che può essere quasi considerato quasi come intimo (un proprio punto debole) e che altri hanno sempre l'opzione di sfruttare come fulcro per sbeffeggiarmi in caso di eventuali contrasti di opinione (ad esempio, il fatto che io preferissi, quasi ostinandomi, fare le interrogazioni tanto temute, per di più con un professore abbastanza atipico per non usare termini offensivi, dato che non faceva molto per evitare che mi facessero il verso, piuttosto che uscire in anticipo).

    Ecco, senza tirare in ballo politici o comunque chi è arrivato a un lavoro, per quanto esso sia più o meno utile per la società, e anche pagato molto bene, secondo me riuscire ad affrontare situazioni simili mantenendo la calma interiore è da uomini veri, uomini di azioni e non solo di parole come alcuni politici, pazienza se poi il tentare di esporre le proprie idee anche in modo moderato è reso difficile da un difetto di pronuncia (che può anche limitare e non poco in ambito lavorativo, ad esempio, nei VVFF o nelle forze armate, come poter comunicare per radio in una situazione di emergenza se sono possibili misunderstandings? Come comunicare con una torre di controllo?), quel che conta è il proprio cuore.

    Vorrei cercare di far capire agli altri la bellezza di alcuni concetti come quello della Primavera, aldilà delle varie strumentalizzazioni, quelle della moda in primis in questo caso, ma sento che il mio difetto mi limita comunque molto nell'espormi agli altri per quel che sono, e che mi limita a farmi valere per azioni e non attraverso molte parole.

    Grazie mille.

    Giuseppe

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    1. No che non sei solo, Giuseppe.
      E' questa la chiave di volta, il punto di svolta.
      Quando capisci che tu magari hai una criticità che ti risulta tanto evidente, ma che tutti gli altri, TUTTI, nessuno escluso, ne hanno altre. Magari molto meno evidenti, ma molto più grandi, più devastanti.
      Io ci penso sempre, ogni volta che mi sento giù. Penso a tutti quelli che sembrano soddisfatti, sempre sorridenti. Gente a cui, come diceva mia nonna, "va l'acqua per l'insù". E me li figuro anche loro seduti, la mattina appena alzati, o la sera prima di dormire, seduti sul letto con gli angoli della bocca abbassati, col loro fardello nel cuore, magari anche più pesante dell'effettivo perché dissimulato dietro quella patina di leggerezza e compiacimento di sé che mostrano al mondo.
      Sono certa di questo. Siamo esseri umani, e tutti imperfetti, tutti incrinati, tutti fragili, in uno o più punti di noi. Nessuno escluso.
      Nessuno escluso. A meno di non essere disumani. (Ne esistono. Ma quelli sono i più disgraziati di tutti.)
      Ti consiglio, se non l'hai mai visto, un film che mi ha commosso nelle fibre più profonde del cuore, di cui ho parlato più volte in questo blog: Il discorso del re.
      Giorgio VI soffriva di una terribile balbuzie, spia della sua ipersensibilità e delle ferite emotive ancora sanguinanti infertegli quand'era bambino. E nel film si vede il suo percorso, sofferto ed esaltante, per vincere quel suo blocco invisibile ma terribile, quel corto circuito neuronale che gli causava spasmi incontrollabili.
      Lui ci è riuscito, anche grazie all'aiuto di un altro essere umano.
      Ma ci è riuscito lui. Ci è riuscito perché era una persona, dotata delle armi che ogni autentica persona ha: coraggio, amore, impegno, ostinazione, fiducia, umiltà, dignità.
      Tutte qualità che ha poi mostrato restando in mezzo al suo popolo durante i bombardamenti nazisti.
      Il Giorgio, VI, Bertie per quelli che lo amavano, che vinse la balbuzie, era lo stesso che non si piegò agli attacchi forsennati dei bombardieri nemici. Mostrando, in entrambi i casi, di che pasta era fatto. E divenendo re della sua vita.
      Cosa che auguro a me stessa, a te, e a tutti. Perché è alla portata di ciascun essere umano. Basta volerlo e, come dici tu, agire!
      Grazie a te. :)

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