lunedì 25 giugno 2012

La sera del dì di festa

Nonostante il titolo evochi Leopardi, io ieri sera ho fatto Foscolo.
(Al quale, tra l'altro, mi son sempre sentita assai più vicina che a quell'altro. Devo avere una vena neoclassicista non da poco. Non che non me la riscontri, eh. Sarà anche per questo che adoro il Bernini più ancora di Michelangelo, chissà? Barocca, ad ogni modo, lo sono. Sono romana, dunque barocca per antonomasia)
Alle otto di sera ho salito il Gianicolo insieme alla mia Pandina.
Non so com'è, di questi tempi ho sempre e solo voglia di luoghi elevati. Mi viene costantemente desiderio, necessità, smania, direi, di ascendere, ascendere, ascendere. Non credo sia da attribuire solo al caldo.
E' come se non mi bastasse più guardare il cielo, sentirmene schiacciata. Vorrei toccarlo, proprio, con un dito, e anche con tutte e due le mani, possibilmente.
Ad ogni modo, ieri sera tramonto di gloria. Io e la Pandina saliamo lentamente il vialone, gustandoci le trafitture dei raggi d'oro del sole che ci dardeggiano contro tra i rami scortecciati dei saldi, grandiosi platani, poi ci attestiamo senza fiatare innanzi al panorama di nuvole rosa che veleggiano senza meta nel cielo chiarissimo, sospinte da un insperato refolo di ponentino, mentre a mano a mano il disco fiammeggiante cala in un'apoteosi d'azzurro e le sagome delle persone davanti a quella sorta di schermo gigante in Cinemascope perdono tridimensionalità e umana gravità diventando gentili figurine di uno spettacolo di ombre cinesi, fino a che il fresco e vellutato manto della sera ricopre ogni cosa, e dalla parte opposta alla residua traccia dell'astro di fuoco ormai scomparso sale e si appunta brillando una perfetta falce di luna crescente che pare disegnata sulla volta celeste da una invisibile e precisissima mano titanica.
Che sensazione di pienezza.


Forse perché della fatal quïete
Tu sei l'imago a me sì cara vieni
O sera! E quando ti corteggian liete
Le nubi estive e i zeffiri sereni,
E quando dal nevoso aere inquïete
Tenebre e lunghe all'universo meni
Sempre scendi invocata, e le secrete
Vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
Delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
Quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.

6 commenti:

  1. "Chi troppo in alto sal, cade sovente, precipitevolissimevolmente", me lo ripeteva sempre mia nonna. L'importante è saper "scendere" a tempo debito.
    Un bacione, bella mia.

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    1. :D
      L'importante è anche non appressarsi ai baratri, quando si è molto in alto ;)

      Due bacioni, Luz luce degli occhi! <3

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    1. ^^
      L'ha guidata un sacco di gente che mi è, o mi è stata, cara, quella Pandina. La prossima volta la metto in mano a te, toh. :*

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  3. Immagino tu sia barocca nel senso più fantasiosa, bizzarra, che ne dici?
    Oppure, come al solito, non ho capito 'na cippa.
    Ah!la Pandina se potesse parlare e se io avessi la patente.

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    1. Tutte e tre: barocca, fantasiosa e bizzarra. Mi piacciono tutte e tre! ^^
      ( Uhm uhm, Aldo. Te e la Pandina non me la raccontate giusta. ;) )

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