mercoledì 16 maggio 2012

Web killed the video star (again)

L'altro giorno, linkando il finale de Il tesoro del castello senza nome, mi è tornato in mente tutto il mondo di immagini e storie della mia infanzia, televisiva e non solo (e così ieri mi sono concessa di struggermi un po' sui DVD de Il segno del comando, e sgomentarmi al pensiero che sono passati quarantuno anni da quelle scene suggestive, dagli sguardi enigmatici dei bellissimi occhi della Gravina, da quelli smarriti degli altrettanto bellissimi occhi di Ugo Pagliai). Parallelamente a questo tuffo nel passato ne ho fatto, ieri sera, uno in un passato molto più recente, conversando un po' con un giovane uomo che non sentivo da qualche mese - uno degli appartenenti a quella generazione anni '80, maschi e femmine, coi quali ho una persino eccessiva facilità di comunicazione, per cui provo una simpatia e un senso di affinità spesso talmente smisurati e aprioristici da doverli costantemente monitorare e temperare, pena scompensi e squilibri emotivi che mi è poi particolarmente travagliato riassorbire.
Così mi sono ricordata di questo post, scritto a luglio dell'anno scorso, piena di entusiasmo e di appassionata empatia per loro.
Mi rendo conto di esser, oggi, una spanna meno indulgente di allora verso di loro. Un po' meno disposta ad aperture di credito in bianco nei loro confronti. Certe cose non so se le riscriverei. Ma nell'insieme ci credo ancora, e sono convinta che davvero a questi ragazzi la nostra epoca avara e folle ha rubato il futuro e fortemente condizionato l'esistenza. E che ne pagheremo tutti le conseguenze.
Il mio amico di stanotte mi ha dato una minuscola buona notizia. Si è mosso un ingranaggio che inciderà in modo infinitesimale sul suo avvenire, almeno quello a breve termine. Gli auguro che sia solo il primo che si rimette in moto, e che a quello seguano tutti gli altri. Lo auguro a tutti i suoi coetanei, e a tutti i nostri figli.

Sono una diciassettenne degli anni sessanta del secolo scorso, venuta al mondo nell'anno di punta del decennio del baby boom, assieme alla minigonna, al linguaggio Basic, ai bombardamenti a tappeto in Vietnam, al golpe Borghese e alla prima radio pirata inglese.
Un mondo antico, lontano anni luce.
Un mondo di drammaticità consolatoria, scisso nettamente tra opposte fazioni, polarizzato dalla Guerra Fredda e dalle fedi nelle ideologie.
Pervaso dall'euforico ottimismo per l'altro boom, quello economico.
Culturalmente arretrato, voglioso di modernità e progresso, e proiettato alla conquista di nuove frontiere, nello spazio come nei diritti civili, con il medesimo ambizioso, fiducioso, ostinato entusiasmo.
Influenzato dalla dottrina della Chiesa - soprattutto tra gli ampi strati di popolazione contadina divenuta operaia migrando in città, il cui attaccamento alle tradizioni formava con quello alla religione un tutto unico percepito imprescindibile alla conservazione della propria identità -, ma la Chiesa del Concilio Vaticano II, di Giovanni XXIII e di Paolo VI. La Chiesa con la faccia buona di padre Mariano e l'audace austerità evangelica di Don Milani.


Segnato dall'imprimatur della televisione di stato.
Una TV di spartano eppure scintillante bianco e nero, a due soli canali e senza telecomando, esclusivamente pomeridiana e serale, fatta di pause e tempi lenti,
sigle lunghe dei telegiornali,
tediose tribune politiche,
varietà del sabato sera lustri di paillettes e professionalità di magnifici presentatori e ballerine in calze scure,
telefilm polizieschi,
grandi sceneggiati,
spettacoli teatrali,
cartoni animati di Pippo Paperino e Topolino e Looney Tunes e Merrie Melodies e Popeye,
e della mitologica TV dei ragazzi, di racconti a episodi - tra tutti, per me, Pippi Calzelunghe, Vacanze all'isola dei gabbiani, Il tesoro del castello senza nome - a cui affezionarsi al punto di separarsene con struggimento (guardando, in quell'epoca primordiale senza registratori né DVD, l'ultima puntata col lutto nel cuore per un distacco di cui non si sapeva la durata, aggrappati alla sola speranza, incerta e nebulosa, di una messa in onda delle repliche)
ma anche dei documentari di Immagini dal mondo,
di Carosello,
e persino del monoscopio, dell'Intervallo con le pecore, dell'Ora esatta, del colonnello Bernacca con le sue Previsioni del tempo,
e della cornice che era la sigla d'apertura e chiusura dei programmi, con le magnifiche note del Guglielmo Tell in sottofondo, e quelle fantasmagoriche immagini di onde che solcavano le nuvole.


Quel mio mondo antico è finito. S'è frantumato sotto le spinte di simultanei mutamenti epocali - crollo delle ideologie, riassetto del nuovo ordine mondiale, aggressiva e inarrestabile espansione dei colossi asiatici, migrazioni di milioni di persone dai paesi più poveri della terra verso quelli più ricchi, globalizzazione - i cui processi il consesso civile si è andato scoprendo impotente a controllare.


Analogamente ai cambiamenti storici, ecco i cambiamenti televisivi: già nel successivo decennio di piombo, di pari passo con lo sgretolamento nei primi bagni di sangue delle stragi di Stato e del terrorismo nero e rosso dei residui dell'innocenza post bellica, prendeva piede il pionierismo anarcoide ed un po' sciatto delle tv locali.


Poi, negli anni ottanta, il ciclone. All'epoca del CAF, il nostro edonismo reaganiano in sedicesimo, è sbarcata sugli schermi, in tutta la sua potenza di fuoco, la televisione commerciale. La quale è riuscita ad operare un regresso antropologico dei suoi fruitori per mezzo di un coacervo di vizi ed abusi tutti riconducibili alla mera sostituzione del termine in un complemento di specificazione:
da TV di servizio (per tutti) a TV di profitto (per uno).


Ancorata al mio mondo perduto, io a questo ciclone ho resistito. Non così molti altri. Forse per paura, smarrimento, per lo smantellamento delle certezze nei valori del passato, gli anticorpi mentali di parecchi miei coetanei, ma soprattutto di quelli nati nel decennio successivo al mio, esposti per meno tempo ai benefici influssi della "buona" TV, non sono stati in grado di scongiurare il dilagare dell'epidemia di degenerazione dei neuroni.
Così, allettati da una visione affrancata dall'analisi, dalla riflessione, dall'elaborazione dei contenuti offerta da programmi sempre più scadenti e raffazzonati, atti a suscitare pianti e risate senza logica né pudore né rispetto, e fomentare i più bassi istinti di rabbia o arrapamento al di là di ogni limite di decenza, civiltà ed educazione, i contagiati hanno finito per accusare un danno cerebrale e psichico irrimediabile.
E' su queste basi che, anno dopo anno, si è compiuto il progressivo smottamento della percezione della realtà dal piano della scomoda concretezza all'assai più comodo livello del miraggio e dell'allucinazione, fino all'inversione di rotta per cui non è stato più il mondo a fare la TV, ma la TV a fare il mondo.
Qualsiasi avvenimento nazionale, mondiale o locale, è stato allora percepito o meno, indipendentemente dalla verità dei fatti, a seconda della rilevanza che gli è stata data in televisione.
E' in questo quadro che il potere di una televisione con fini di lucro, e pertanto intrecciato inestricabilmente col potere economico, è diventato la spinta propulsiva del potere politico. E con la televisione a fare da mezzo di indottrinamento e condizionamento delle masse, la catastrofe democratica degli ultimi vent'anni in Italia può ben dirsi una catastrofe culturale, e prima ancora ontologica; persino, a giudicare dalle cronache di questi giorni, a livelli ancora più profondi ed inquietanti di quelli che potevamo immaginare.


Ma anche questo, come ogni altro fenomeno umano, ha avuto il suo andamento di nascita, crescita e tramonto. Come nell'apice più fulgido del Rinascimento già covavano i germi della corruzione del Manierismo, e nello splendore del pathos del Romanticismo era contenuta in nuce la depressione del Decadentismo, così pure il populismo mediatico ha allevato in seno sin dai primordi del suo trionfo la sua nemesi: gli stessi ragazzini nati sotto la sua egemonia.


Questi neonati degli anni ottanta, così alieni dalla bambina ch'io ero stata.
Sradicati, immemori delle epoche storiche pregresse azzerate dalla fine dei blocchi granitici dell'URSS e degli USA contrapposti, il primo parcellizzato in una esplosione di micro Stati, con le geografie politiche stravolte di sei mesi in sei mesi.
Deprivati degli idealismi collettivi e delle aspirazioni alle battaglie di conquista di classe o di genere, tutte combattute prima del loro avvento, e forse anche per questo spesso intimisti, ripiegati all'ascolto delle loro soggettive solitudini.
Più liberi e disinvolti nei costumi come nei movimenti, ma per questo impossibilitati alla necessaria esperienza della trasgressione, e nostalgici di una purezza ed autenticità di rapporti di cui patiscono la penuria. Indipendenti, abituati a viaggiare, capaci di vivere al di fuori del recinto protettivo dei confini nazionali, eppure in certi momenti straordinariamente fragili, incerti, bisognosi di un nido e di cure e protezione.
Meno costretti agli obblighi religiosi, ma condizionati dalla figura titanica, ingombrante, di un papa retrogrado che tuttavia si offriva nella sua sofferenza ai loro sguardi ammirati in eventi oceanici degni di una rockstar.
Vissuti nella cattività della tv berlusconiana, prima sotto l'angusto orizzonte di Bim Bum Bam e degli stranianti cartoni animati giapponesi propinati solo perché a basso costo e pure censurati senza criterio, e poi di Amici, Uomini e Donne, Grande Fratello.
Ma anche protagonisti, al contempo, del boom delle nuove tecnologie multimediali, e dunque via via sempre più dirottati nel loro tempo e nella loro energia vitale dalla televisione al computer e alla rete. Per cui più aperti, informati, reattivi, coinvolti e costretti a formarsi opinioni e visioni delle cose da una molteplicità di stimoli indiscriminati, senza alcun filtro e alcuna censura, semplicemente impensabile per i loro coetanei di vent'anni prima.
Destinatari oggi, da adulti, del culmine delle conseguenze della catastrofe democratica avviata alla loro nascita: l'arretramento dei diritti civili e sociali, l'egoismo e l'avidità delle generazioni precedenti, la perdita di una prospettiva di futura realizzazione della propria vita. E nonostante questo ancora tenaci e capaci di vedere coi loro occhi nuovi e sentire colle loro orecchie sensibili, e di far librare i loro spiriti sulle ali dell'immaginazione, al di là del tunnel dove si trovano prigionieri.


E' sulle spalle di questi ragazzi di venti e trent'anni, definiti da un indegno rappresentante delle istituzioni "la parte peggiore dell'Italia", che poggiano le speranze del cambiamento che si è avviato.


Sulle spalle di queste creature arruffate e belle, generose loro malgrado. Perché, lottando per loro stessi, stanno lottando per tutti. E a noi, che abbiamo dato loro in eredità un pugno di mosche, loro stanno prospettando e mettendo in mano un futuro che hanno dovuto inventarsi dal niente e che noi da soli, indegnamente, pur avendone i mezzi, non avremmo saputo mai più guadagnarci.


Il web ha ucciso la star del video, finalmente. E se pure non si sa ancora se questo sia l'inizio di una nuova era, o solo di un tempo di minimi aggiustamenti, si sa per certo che, in ogni modo, è solo merito loro.

9 commenti:

  1. Ah, l'escursus nel passato di noi forty-something che ci avviciniamo al mezzo secolo con gioia e rimpianto... io come te sono cresciuta a quel modo ed ho vissuto tutti i cambiamenti epocali che elenchi, con mia figlia che mi chiede incredula "ma davvero sei cresciuta senza un cellulare"? eccheddirti figlia mia, il primo l'ho avuto a 28 anni e sinceramente sono cresciuta benissimo. Non saprei, questa generazione che citi è così divers ma forse così simile, il Web 2.0 ha minimizzato i gap, ci ha affraternato tutti nella globalizzazione culturale... è un bene? è un male? chissà... per ora ci commentiamo su Facebook ;)
    Un abbraccio.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Non c'è dubbio che noi ragazze degli anni sessanta siamo finite in mezzo al guado di epoche storiche parecchio incasinate e di evoluzione tecnologica ad accelerazione esponenziale...
      Nel 1980 ho compiuto sedici anni. Forse è anche per questo che li amo, questi ragazzi: vedo in loro un'impersonificazione del fiore della mia giovinezza così ricca di promesse sfolgoranti e così tanto sventurata e frustrata nel non vederle mai realizzate. In realtà il loro mondo non è il mio, culturalmente ci separa un abisso. Il web ci illude di minimizzare i gap, magari serve da ponte di collegamento, ci consente di avvicinarci e nutrirci scambievolmente gli uni delle esperienze degli altri, ma non di colmare le differenze di età, di necessità, di inclinazione (la maturità ricettiva e avida di stimoli di vivere ma più generosa e indulgente, soprattutto se ha le fattezze di una madre, la gioventù meno esperta ma più egocentrica e autoreferenziale, e anche spietata della spietatezza tipica dell'incolpevole incoscienza della sua età, i cui effetti avrà tempo e modo di sperimentare a sua volta sulla sua pelle nel corso dell'esistenza).
      Non so se nell'incontro, così facilitato dal mezzo virtuale, con tanti rappresentanti di questa generazione, il saldo per me sia in attivo. So che in termini assoluti è un bene potermi rapportare con loro; anche dal vivo osservo un venirsi incontro, tra trentenni e cinquantenni, con simpatia e curiosità, come se gli uni completassero gli altri. Con qualcuno di loro poi l'affinità è, o è stata, forte. Angela, la mia amica Syrys, ha ventun anni meno di me, eppure non credo di aver avuto mai tanta confidenza con un'altra donna come con lei, mia sorella a parte. Se questi incontri saranno significativi nel tempo, se davvero troveranno il loro luogo stabilmente nella mia vita, lo dirà il futuro. La velocità del web tende a bruciare tutto rapidamente come un fuoco di paglia. Vedremo se, alla fine di questi roghi, resterà solo cenere, o le rose, se erano rose, come dice il proverbio, fioriranno.
      Un abbraccio a te!

      Elimina
  2. "Quel piccolo mondo antico" l'ho conosciuto bene perché ho fatto e faccio parte di quella "egoista e avida generazione precedente".

    RispondiElimina
    Risposte
    1. E' egoista pure questa, Aldo caro. Quando ho scritto il post io, entusiasta di natura, lo ero un po' troppo. Il problema nasce dalla mia poca familiarità con la gente. Ma in questo senso il web è stato una formidabile, ancorché dura, palestra di vita :)

      Elimina
  3. ... hai scatenato un'incredibile tempesta di emozioni legate ai ricordi di un "giovane" come te. Te la ricordi, vedo che non l'hai citata, la trasmissione che andava in onda nel tardo pomeriggio, dal titolo "non è mai troppo tardi"? Magnifica, rimanevo incantato ad ascoltare quel "maestro" che insegnava ad adulti ciò che io iniziavo ad imparare alle prime classi elementari. Un pregevole esempio di quando la TV era, soprattutto, educativa e tentava, attraverso una diffusione capillare, di recuperare l'analfabetismo largamente diffuso nel nostro Paese dopo la II guerra mondiale.

    Una disamina di ciò che eravamo e di cosa siamo diventati, veramente interessante e sulla quale, per quanto mi riguarda, posso solo condividere.

    Sul futuro e sui giovani, ho meno fiducia di te ma, forse, è dovuto alla mia ritrosia a confrontarmi con gli stessi (lo ammetto!!!). So, invece, che se vogliamo sperare in una "salvezza", dobbiamo confidare in loro.

    Ciao Cri, veramente una bella riflessione. Buon pomeriggio a te.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Scherzi? Vuoi che non ricordi il grande Alberto Manzi? I miei figli sono andati a scuola in un istituto comprensivo dedicato a lui! E non è solo l'indimenticato maestro di "non è mai troppo tardi"... Per me è anche un illuminato cittadino impegnato politicamente (è stato sindaco del suo paese), nonché autore di Orzowei, bel romanzo di formazione e avventura amato da schiere di ragazzini... E, tanto per rimanere in tema, trasposto con buon esito sulla TV "dei nostri tempi" in un telefilm a puntate che mi sono vista, pure quello, con emozione.
      Sono contenta che tu condivida i miei ricordi. E' importante per me non sentirmi sola nella memoria, sentire che c'è gente che parla il mio linguaggio comune, che a sentir rievocare un nome o un titolo sente scattare dentro qualcosa che sento anch'io. L'illusione che il tempo non sia passato non è perfetta se non c'è nessuno a giocare con te lo stesso gioco :)
      E dietro alla mia apparente estroversione c'è la stessa ritrosia di cui parli tu. Sono perciò d'accordo anch'io con la tua riflessione.
      Buonanotte, Carlo, e buona serena e felice giornata per domani.

      Elimina
  4. Beh...sono parecchio più grande ma la matrice è quella, compresa la successiva evoluzione.
    Io ricordo - oltre a tutte le tue citazioni - il "Braccobaldo Show" della domenica pomeriggio e a questo ricordo è rimasta appiccicata l'angoscioso "oddio è già domenica sera e non ho ancora studiato per domani" (ero alle medie). E poi la paura - ma non mi schiodavo salvo poi faticare ad addormentarmi - per lo sceneggiato Belfagor...

    RispondiElimina
  5. Ma...mi son persa un sacco di post. Santa paletta perché mai non li ho visti nel blog roll??!!

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Il Braccobaldo show!!! Come ho fatto a dimenticarlo??? E anche l'angoscioso, spasmodico "oddio è già domenica sera e non ho ancora studiato per domani" lo rivendico tutto :)))
      (Ciao, Sandra, che piacere vederti!!! Santa paletta!!! :D)

      Elimina